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A sinistra, monitor permettendo il distinguo, la cosiddetta interpretazione (quale sanzione penale s’incorre in caso avverso?) a destra viceversa tutti i grigi possibili altrimenti non è “fine” manco “art” che somigli ai canoni, metti caso visto gli alberi di paesaggio, al Ansel Adams. E per non citare i very nice con i loro emuli mercanti d’arte da quatt’ e nu sold’, che ricorrono all’odierno digital (lastra o acetato che dir si voglia) Palladio, emulo in tutto e per tutto a certa passatista pittura, quindi, su carta rag mentre bevono liquori “inquinati” di chimica inquinata, e vivono in città-cloache a cielo aperto. Ma l’arte a kilogrammo non fa distinguo, Vittorio Sgarbi permettendo


Una interpretazione? E come vi permettete: allineati e coperti!

Web e corbellerie a man salva: siamo tutti fotografi, no? No. Ancor più se la stampa, di questo si parla, è su inkjet e non in darkroom.
Si diceva che la camera oscura, ecco, non la si insegna poiché impossibile se non a fronte di ore, giorni ed anni di pratica con le manine e gli occhietti. E parliamo di stampa “artigianale” ossia frutto sapienziale di tecnica e fegato, il cuore è finito e manco in macelleria se ne trova più.
Il rito, di questo si tratta, del bianconero in camera oscura è cosa che richiede tempo, e questo all'odierno complicato (impossible è meglio) per i minchiapixellisti. Perché questo? Semplice ché le varianti in camera oscura, la stampa finale, presuppone il controllo di molteplici e compresenti atti e procedure prima di dire l'idiota Wow! Fine pistolotto.
Bianconero in camera chiara senza scomodare Roland Bartheschi è di quelle cose semplici semplici, no? No e doppio. Non è che “desaturi” i colori in Pshop e Gimp (prossimo alla versione 3.0 era ora!) o quel soft che vi pare. E neanche se pazziate (gioco in sesu lato) con i livelli e questo e quello fare: none. Il bianconero nasce, alla lettera, già prima dello scatto, ossia un occhio affilato ed affiatato con le gamme del grigio. I settaggi in macchina, e per gli idioti che più idioti non si può, le Leica natural + mente Monochrom e/ o l’unica che tiene passo la Pentax XYZ che non sovviene.
Capirete, quindi, che è una catena e non vale “tanto Photoshop aggiusta tutto” con il c...omputer che maneggiato, vabbene, ok.
Infine, la stampa su inkjet e qui detta “domestica” altrimenti tutto quanto sin qui detto va a p...iantarsi. Tutt’altro che semplice norma di allineati e coperti: usi il profiletto colore (mai usato) già precotto per la cartina dello stesso brand(y) stampante e..na chiavica finale senza se e senza ma. Anche qui per stampare, poi il bianconero con ink pigmentati è pur sempre discreta impresa, figuriamoci gli uccelli (augelli?) che sparano “acqua” colorata formato dye drop. E ne sappiamo qualcosa quando iniziammo una quindicina di anni fa che sembra l’odierno paragone, quei tempi, caverne. Letterale.
Bianconeristi si nasce non si diventa, casomai ci si affina questo si. E ...non fa scienza senza ritener l’aver appreso...scrivere scrivere i dati/appunti retro stampa; provare provare le carte più disparate (ottimi i vari sample pack) fino a quella più congeniale (c’è differenza sostanziale se su lo stesso supporto, fogli separati va da sé, stampate il colore e il bianconero). Infatti ci sono tipi carta e di brand(y) diversi ottimizzati per i “grigi”. Si è provato il buon supporto della gloriosa e unica rimasta in circolazione (tanto analogica che ink) Ilford giacché la classe n'est pas l'eau e la Canson Baryta, prima la 340 gr. poi Prestige ed adesso marchiata 2 e di pari peso. E su la stampante Pixma Pro 200 veramente buone cose. Ah certo il cosiddetto “cast” o l’intonazione tanto del supporto che degli ink e...vedete mica na passeggiata la stampa inkjet digitale, tutt’altro: norma (!?) uniforme è serialità...fotocopia di altre e ancora manu militari? Alla faccia della sbandierata “creatività” per tacere dei creativi e quei perniciosi che salgono in Cattedra via...sottostante link e l'autore lo leggiamo da tempo, sebbene volentieri in aperto contrasto con le sue!


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Stampa in Bianco e Nero Fine Art
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Ps. Un caso personale. Milano Via Brera, Lanfranco Colombo patron de il Diaframma Canon poi Kodak nata fine Anni Sessanta passati. Galleria fotografica in Itaglia, privata, e solo decenni dopo, sempre a Milano, in forma nientemeno museale e funghetti notturni venuti su, galleristi con benda agli occhi. Mia-Photo viene molto, molto dopo, una decina di anni il suo essere in vita, in un Paese di analfabeti tout court, figurasi di Fotografia senza scomodare Ugo Mulas .
Lanfranco Colombo dall’aria già brizzolata, giacche e cravatta da venditore d’auto (donne a corredo) più che “estimatore” di fotografia, anzitutto.
Sul tavolo scorre il portfolio che mi ero portato: ventiperventiquattro di 3M/Ferrania in gradazione n. 3 ultracontrasto che oggi mi vergognerei. Vabbene era reportage, il puerile ed infantile street non esisteva manco con il pensiero ed oggi ha sue esegeti & pugnettari teologi mercanti d’arte con benda su gli occhi e che intruppano via Stars & Stripes all’agonia finale: vedi Harris che più bestiale di papabile presidente non si può. Tutto è spettacolo, no?
Bianconero, davanti Lanfranco, tale era che si distingueva per bianco & nero, letterale: era la moda sessantottina, non del tutto scema, proletaria e di un altro mondo (Giorgio Gaber: Qualcuno era comunista) possibile. E mai immaginarsi che un D’Alema qualsiasi ex Pci, ex Fgci (giovani comunisti qualche giorno prima Gioventù Italiana del Littorio di Mussolini “socialista”) ex Pds, ex Pd, ex Primo Ministro con il gladiatore Kossiga (si scriveva sui muri come le Schutzstaffel gotico font) a vendere armi: che si fa per la famiglia tale il film di Sordi “Finché c’è guerra c’è speranza”. Oggi al corrente il lecca lecca, su carta “fine-art” Canson e/o Hahnemühle à la page (senza scomodare le Awagami del Sol Levante, Banzai) di inchiostri, dicono, secolari, quando di secolare una enorme rottura di c...arte!





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Repertorio stock delle carte Manunzio utilizzate da un decennio e più, tanti gli anni trascorsi a trafficare con stampa e stampanti inkjet, e le Awagami eccelsi supporti giappones (destra immagine con provino-test di stampa). E ogni superficie di brand un modo tutto specifico di scrivere, con gli inchiostri, marcare quanto mai appropriato, un territorio: la superficie. E gocce ink, mille sfumature che siano colori o più ancora bianconero, anche quando c’è da combattere con le carte “martellate” Arches (destra immagine, verde copertina) non trattate, sebbene poi quasi vi riescono paro paro le neo Canson-Arches (retrostante pack a sinistra immagine) brand veramente notevole. E non si dice, a prestito H.C. Bresson, che testa-cuore-occhio, qui supporto, stanno/dovrebbero su lo stesso asse per dire ciò che s’intende, trasmettere quel quid energetico al cosiddetto troppo di sovente acefalo prossimo?



Traslitterazione ancora una e...più

Qualsiasi pezzo di carta, diciamo per capirsi, suscita un certo entusiasmo nello scarabocchiarvi sopra (un tempo lontano) o mo’ come mo’ stamparvi via inkjet questa e quella immagine. Si, vero qui c’è un abisso fra chi scrive e il resto dei cosiddetti, pensa te, fottografi (raddoppio parce que noblesse oblige). Questi figuri morti dentro, clicchete clichete, riprendono il circondario semmai con l’ultimo modello Sony, squallido e cadaverico brand(y) in ogni accezione del termine, o del caso l’ultimo (fine finalmente?) modello di iPhone o Samsug equivalente. E i “fail” che ne resta? Un beato c...ippone di legno come le teste dei richiamati. Capirete che per chi viene dai gloriosi giorni della camera oscura analogica pendant inscindibile: sì, si ci sono e tutt’ora teorici a salve (anche un nostro amico 'nbriaco fracico da mattina a sera) che pontificano sul fatto che la stampa è altra cosa dal negativo, sempre analogico. Disputa del sesso degli angeli o dell’intellettualizzazione del aria, di quei tipi tristi, ecco, pure quando ridono se mai vi riescono. Ma non è il caso se non parlare di carte da stampa. E diciamo subito: una Vandea di tutto di più come il binomio Hahnemühle-Canson. E se tanto mi da tanto nel novero, tuttavia, c’è da mettere Ilford gloriosa come un dì la sua Galerie e l’altrettanto buona Ilfobrom in scatoloni da mille pezzi formato dieciquindici che stampavamo per i clienti dell’allora Foto-Lampo detta pure AGL (Agenzia Giornalistica Lampo citata altre volte). Diciamo, scriviamo quel che sappiamo in corpore vili, ecco, e non de relato casomai via Web delle mirabilia.
Sia come sia carte che restituiscono l’idea aerea (virtuale?) dei “fail”. Sentirne il peso, proprio così: anzi provatevi a scuotere, cosa che facciamo spesso, le carte che è un piacere vibrazionale. Vibrazione Odifreddi cinico zombie matematico, vibrazioni non già numeri che sa dove metterseli!
Vibrazioni tattile e perché no: olfattive. Sì. E last but not least un modo per intrappolare un momento e renderlo eterno, si vabbè, e trasmetterlo al posteriore: o era ai posteri?


Ps. Lungi dal fare l’artista da quattro soldi, di quei conversi più che su la strada di Damasco, eh Paolo di Tarso furbo di tre cotte, fine dicitore inventore del cosiddetto cristianesimo, nonché munifica e remunerata Arte con tanto di sigillo (666 biblico?) Digigraphie, l’incorniciata immagine di frame (cover in alto) acquistata da un Bricofer qualsiasi, dà l’esatta dimensione, non certo fisica, di cosa l'immagine sia, dovrebbe. La traslitterazione CansonArches messa sotto vetro, meglio plexiglas, suona decisamente forse troppo paesaggistica e poco rispondente a ciò che s’intende suscitare nello spectator: sì, quell'imbecille di Roland Barthes intelletualizzatore dell’aria calda fritta o come vi pare. Tant’è vero che una seconda stampa, s’intravvede, sottostante l’incorniciata, meglio s’avvicina all’idea ma che tuttavia sotto vetro non regge. Morale anche la cornice vuole la sua. E meno male che le fotografie, diversa + mente, da quadri ed affini non bisognano di cornici barocche; anzi, queste, più lo sono e più piace alla gente che piace così il jingle dell’allora 126 Fiat, tanto che per soggetto, pure un topo morto (dixit Ando Gilardi sul numero di Progresso Fotografico Luglio-Agosto 1990 pg.27, cazzeggiandomi a mezzo reply di un fatto realmente accaduto a Napoli, però, al critico Lanfranco Colombo in quel di Milano; gallerista della primigenia Canon Diaframma poi Kodak, privata galleria interamente dedicata alla fotografia, senza raddoppio, mica fottografia della Milano da bere formato Mia Fair d’ora in poi in liaison, e nuova Dea Madre direttrice, con Parma Fiera) si mostrerebbe nel suo splendore, di chiavica, o fogna lingua ‘taliana








Fresco di stampa

Beh certo quando fu “accattato” acquistato in prima edizione: AD 1970. E del perché presto detto: fotografo mica poi dozzinale, o com'era d'uso da “scattin'” dalle foto seriale senza un minimo di impronta propria, da flashata in faccia tipo casellario giudiziario. Già 'na botta di luce flash Metz e pacco batteria portato in spalla, mentre la parabola grigioverde da “sbirro” fissata con staffa all'immancabile Rollei biottica caricata d'inimitabile Agfapan 100 by Agfa ca va sans dire.
Senonché il prurito di vendere le foto, eh, contrastava le distanze sino a Milano, piazza d'armi delle agenzie, troppo lontana assai, almeno sino ai primi del Novanta: “ventennio” dopo, oh in Italia sono famosissimi i “ventenni” da Piazza Venezia in poi!
E così, su le pagine di Progresso Fotografico, d'una volta prima di subire il re-branding da compulsivo consigli per gli acquisti; mensile del linguaggio fotografico, inchieste e retropalco, per scritto per lo più da Tomesani, sì, quello di Tau Visual, e che una volta abbiamo visto vis-a-vis alla “Sala degli specchi” a Milano, mi pare il ritrovo della Stampa presente l'istrionico Lanfranco Colombo per un incontro che manco ricordiamo più. Lanfranco che si spinse, pensa te, sino a queste contrade (!) a Rionero in Vulture sede d' un pimpante Lab colore, e presso cui dopo mezzanotte e un centinaio di chilometri andata e ritorno, portavo le EPR-64 Kodak, 35 millimetri e rulli 120, scattati la mattina, ora qui ora là slide che stanno (pisolano?) nell'archivio di Manunzio religiosamente in plasticoni: dodici tasche trasparenti opaline per seipesei.
Libro formato mignon, dunque, che tracciava quello che era il “excursus” per vedere le benedette foto: si vabbè non prima di “oliare” gli ingranaggi. Mazzetta cui il Tomesani richiamava ed intendeva per l'unzione...Mai piegati all'andazzo: da Grazia Neri decana delle agenzie, cui pure provammo il “giro”.
Libro a dir vero che, tuttavia, è ritornato utile a tener la “fiamma” accesa per quelle volte (vedi Ventiquattrore supplemento al Sole Ventiquattr'ore) anche se al corrente, ultima decade il Manunzio, s'è dato all'Arte inkjet e carta cotone, Ah com maiuscola, si capisce. Mah!


Mondi incomparabili, a destra la bellissima Canson Baritata Prestige II, che pare andare a nozze con ink Canon. La somiglianza, mettiamola così, con la classica baritata tipo Gallery Ilford è impressionante per i bianchi e profondità dei neri su superficie con debole riflessione, che esalta ancor più le scure tonalità. Superba per il bianconero, eccessiva per i colori: de gustibus. In questo la “camoscio” a sinistra ha neri lievemente d'ambrato e mai profondi neanche con la 609 Maimeri, spray che ravviva pure le “morti” nuance e che qui si ferma sul “limitar di Dite” restituendo, comunque, un bel Old Style per la parte bianconero del test; su i colori dello stesso giusto effetto “evanescente” che si predilige. A dimostrazione, infine, che la Carta non è data “solo” Brand, anzi, è funzionale alla narrazione. Sicché per Belle Arti o spalmato di Solfato di Bario inkjet, il supporto (acid free senza azzurranti Oba) è una questione di linguaggio/i



Si fa presto a dire carta, giusta

Per chi ha passato i migliori anni in camera oscura e ne conserva ancora i vapori, luci inattiniche, pose e viraggi...resta nella memoria la stanza buia e sue malie alchemiche, cui è del tutto orgogliosamente debitore Manunzio.
Carte Ilford Ilfobrom, soprattutto, e in formato cartolina bianconero per i clienti. E quando nel laboratorio (Agenzia Foto-Lampo cui ero garzone, a dirla tutta, factotum) non c'era anima viva, alé stampavo le cose mie con tutto il tempo necessario a sperimentare: tutto. Bagni (chimici cosiddetti per sviluppo, ma non solo) fuori standard e carte compresa la Oriental: sì, quella di Ansel Adams. E poi la Ferrania, una in particolare, che in epoca sessantottina faceva storcere il naso.
Uno stacco. Negli anni di “piombo” la stampa bianconero, tra l'altro, oltre ad essere estremamente contrastata in accordo con i tempi (bella in questo le Vega della Ferrania, che una volta sottoposta, certi reportage, al Mentore Lanfranco Colombo della prima Canon/Diaframma poi Kodak/Diaframma in Via Brera di Milano, le espose per non so cosa) la stampa aveva, doveva avere, i bordi al “vivo” senza cornice bianca “borghese”. E se vi par strano, ai tempi del digitale terrestre, ecco, si faceva quasi a scazzottate per questo: si era tutti su di giri poiché incombeva la Rivoluzione 'taliana naturalmente all'amatriciana!
Vega, di nuovo, in formato 18 x 24 che poi mandavamo così pure ai giornali stanziale e pure più in là anche al Corriere della Sera by “Foto Lampo Sudio's” per non citare la RAI. Anzi, l' Operatore con Arriflex 16 millimetri Mimì Abbatista, rosso iroso e rubicondo, a cert'ora del giorno veniva in Studio a salutare il Patron Rocco Labriola e il presenzialista Saro Zappacosta giornalista full time. E a volte veniva quasi l'intera Redazione stile happening (l'annunciatrice all'epoca e non già giornalista, Celeste Rago venne da noi per il giorno del si, ne riparliamo un'altra volta tant'è la spettacolarità della cosa). Un'aria di altri tempi, sì, di provincia niente affatto provinciale come a dirne una non a caso: odierna Mlano (scritto proprio così per chi intende) ahhh.
Ma insieme alla Vega, Agfa e se detto Ilford, anche baritata Gallery un mostro di carta silver halide, qualche stampa ci provavo su la Camoscio Ferrania per dare aria da Saloon fine Ottocento: si usava anche per ritratti e la posa, spesso ambientata in Studio, con sposi agghindati come nel reale giorno del sì.
E da allora mai più alcun produttore vi ha pensato ad una "Camoscio": sic transit gloria mundi? Si e no perché l'altro giorno da un pacco di carta per “Belle Arti” sotto una colonna di scatole Canson, Hahnemühle e Moab amerikana (k la scriviamo sempre per killer, non a caso ma qui non è momento) e volete voi? Eccola con echi della "Camoscio" d'antan inimmaginabile a vedersi a video/ monitor che dir si voglia causa proprio la “realtà aumentata”. E finiamo qui







Ora a parte “d'ognitorno altra argilla bianca, senz'alberi, senza erba, scavata dalle acque in buche, coni, piagge di aspetto maligno, come un paesaggio lunare” di leviana memoria del Cristo si è fermato ad Eboli, la seconda immagine a destra è piena di “pesci” fossilizzati a bocca aperta, in verticale de i tagli del terreno; ai piedi di questi volti e poi ancora altri su un terreno di squame, scaglie di Quaternaria Era, i contrasti di luce e la stampa inkjet Canon conferisce alla scena drammatica tridimensionalità gareggiante fianco a fianco una analogica stampa: chapeau all'interprete e printmaker


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Se il Buongiorno si vede dal mattino. L'abbrivo è un problema se la notte, notoriamente nera per ragioni diciamo tecniche va, l'avete trascorsa in “bianco”. Il che per un fotografo in “bianco&nero”...E veniamo alle foto, va e che non potete gustare in diretta manco con la più pallida e sfrenata “realtà” aumentata: de che? Bianconero da brividi, e tuffo indietro di alcuni decenni ai tempi della Dark-room: stampe in camera oscura, analogiche su carta Ilfobrom e certo alla bisogna l'insostenibile leggerezza di gray nuance grigio alias Galerie per gourmet.
Ilfobrom baritata carta in gradazione fissa: 2 morbida 3 con brio sino, a volte, la 4 contrastata e mai come la 3M Ferrania, da impallidire Lanfranco Colombo (paatron della milanese galleria Kodak-Diaframma poi Ilford) che le vide, tramite un amico nella non ancora Milano da bere, stampate su 24 x 30 (stamani diamo i numeri qualità certificata Manunzio) e di reportage duro e puro come era uso all'epoca della “contestazione generale” sì, eppur marcata alla Tomasi da Lampedusa: ho detto tutto.
Stampe bianconero analogiche a lume di lampada giallo-verde, rossa di messinscena funzionavano solo in epoche d'ortocromatiche emulsioni; luce rossa, infine, adatta più ad altre posizioni, si capisce.
E la sigla? Certo: AM sta per Annunziata Mario, che in famiglia chiamiamo da sempre Enzo suo secondo nome: vedete? Nomen omen del casato e terzogenito poco somiglia al Manunzio “artistico” e però...Bussa al citofono e chiede di salire: mo'? Ma mo' sto armeggiando con uno stil-life che poi servirà per prossimo post: ahi per lo squillo e post prossimo si capisce pure questa. Abbozzo. Entra con una rossa cartella prossima a sbrindellarsi, uhmm. Ma aperta: che dire paisà? Gli occhi si lustrano per le stampe digitali ottenute tramite scannaggio, incruento a dir vero, di negativi seipersei trentasei usciti fuori dalla sua monumentale Rollei 6008, rulli che si sviluppa da sé: tombola!
Ora come si descrive l'indescrivibile? Occhio per occhio non vale: abituati al monitor, e l'infame colonna scrollante “telefonica”; obliterati dei sensi, cosa questa da stappar bottiglie gaudio e spes di algoritmi transumani dei bravi Davos boys: cosa dire? Non scantoniamo. Infatti i Sensi sono 5 numerologia esoterica a parte vi si deve aggiunge il 6° (3+3 massoncelli infernali) dell'altra metà del cielo (Manunzio c'è l'ha poppato dalla mamma) si vabbè che si fa notte.
E quindi step by step più o meno i cm 40 x 40 che il fratello scorre fogli quello che è a tutti gli effetti è, sì, un calanco materano eppure più di colline sfarinanti di leviana memoria, luce che accarezza ogni piega del terreno come pelle ancestrale con dettagli incredibili anche con la proboscide del nasino azzeccato sulla materica superficie di stampa, Canon inkjet dice il fratello. Stampe vista a giusta e debita distanza, quantomeno a misura della diagonale fotografica dicono i Sacri testi, qui veramente si termina perché mai e poi mai è possibile gustarsi una stampa bianconero digitale stampata vieppiù con i contro c...ontrasti. Chapeau.
E prima che il telo cali bisogna dire che il Buongiorno inizia dal mattino. Buongiorno? Sì, Lab in quel di San Severo, landa del Principe esoterico e sua Cappella, però, in Napoli. Fine...cifratura.

La sinestesia (dal gr. sýn «con, assieme» e aisthánomai «percepisco, comprendo»; quindi «percepisco assieme») è un procedimento retorico, per lo più con effetto metaforico, che consiste nell’associare in un’unica immagine due parole o due segmenti discorsivi riferiti a sfere sensoriali diverse.Così, Pitagora associava numeri e suoni e Aristotele confrontava gusti, colori e suoni con il tatto. Treccani online


Ps. Il Lab Buongiorno cui riferisce il fratello Mario-Enzo (Giano bifronte ?) Annunziata fa cose turche, non solo stampe con Canon principe inkjet ché la classe n'est pas de l'eau, anche rilegature artigianali: musica per le orecchie, un po' sorde a dir vero ma mica f...uorvianti di Manunzio. Da farci un pensierino. Buongiorno, ecco


Pss. Scrive il fratello..."fatto 30 facevi trenta e uno indicando il Lab link:" presto fatto e, come già avvertito, un semplice copia incolla collegamento è meglio che non trovarsi la pagina per mille e una ragione esulante da Manunzio

https://www.gicleeart.it/


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Cibachrome (e non chiamatelo Ilfochrome)

Infatti così è passato alla storia (fotografica). Ciba e basta. Correva l’anno 1978 quando con due altri caballeros (fotografi) arrivammo a Mlan’ per il Sicof, così si chiamava il fotocinesalonedituttoedipiù.
Entrata a gratis per i fotografi di Mlan’ ma con noi a far cresta: sto piffero. Tanto facemmo e dicemmo e forse per disperazione altrui entrammo senza scucire un solo dané nella casba. Babele al confronto un giardino diciamo fatato per chi intende.
Breve allo stand di Ilford ci regalarono un borsone color “cacchina” lieve e con dentro tutti i manuali della Casa, e naturalmente del Cibachrome da trattarsi anche chez nous. Solo che i due caballeros si involarono allo stand di Hasselblad…i soliti esibizionisti a la page! Viceversa girammo in solitaria, sai che novità, alla ricerca di qualcosa che somigliasse a vaschetta termostata per il trattamento del Ciba. E lo trovammo, esausti, a fine giornata: mi rifiutai di tornare il giorno seguente in quella bolgia infernale, loro, sempre i caballeros e la Hasselblad! Insomma lor signori si erano mossi per la “svedese” e noi per tutto il resto e pure l’inglese, ecco, Ilford.
La prima serie di Ciba era dannatamente contrastata quella lucida (un filo di poliestere a mo’ di carta da stampa) un po’ meno la millepunti più maneggevole. Esperimentammo la Ciba e con discreti risultati, considerato che il Ciba era il supporto per le dia a muro, o gallerie fotografiche. Una pazzia se si immagina che la dia è già contrastata per costituzione fisica, diciamo così, e accocchiata al Ciba: ma l’arte è arte e va si rispettata! E sì era very nice per le gallerie fottografiche che già all’epoca fottevana alla grande (esempio Lanfranco Colombo Diaframma-Kodak in Via Brera de Milan’) e che digerivano la “plastica” Ciba per il semplice fatto che era carta di lunga conservazione grazie alla sbianca e non come la normale carta colori: si vabbè si fa tardi e per chi vuol sapere c’è Internet apposta. Uffa ai gradi, diceva il piccolo Principe, bisogna proprio dire tutto!
C’erano, tuttavia, dei lab che per la stampa Ciba creavano dal seipersei ai diecidodici (Gastell faceva eccezione con i ventiventicinque!) le “unsharp mask” che abbassavano il contrasto…ah come dite? Unsharp mask in Pshop et simila fa l’esatto contrario? E ben vi sta: fosse rimasta Urbi&Orbi la detta “maschera di contrasto” ok. No gli stramaledetti anglo-sassoni l’esatto contrario: allora atta taccatevi a sto c…ontrasto!
E tra i lab il mitico Graficolor all’epoca in Via della Bufalotta dell’Urbe. Uno degli stampatori filtrava (filtri colore per stampare) ad occhio nudo per stampe alla perfezione, indolenza romanesca a parte! E pure noi, s’è detto, ci provammo: senza testa colore ma inserendo di volta in volta nella “testa” dell’ingranditore o sotto l’obiettivo le gelatine, sempre della Ilford ché quelli di Kodak costavano un botto! Risultati artigianali nel senso autentico (a volte deteriore) di discreta fattura. Immagini a stampa che poi finivano su le riviste patinante e non: mica si poteva mandare in giro gli originali (nostri) seipersei di Zenza Bronica (altro mito). Vero è che i 135 si potevano duplicare a Mlan’ con la Duplicating Kodak, sebbene stramaledette filtrature poiché la pellicola era Tungsteno e bisognava filtrare né più né meno come per la comune stampa colore…eppure con un filtro di conversione (per capirsi la odierna taratura del bianco digitale!) anelli macro ottica Zeiss…casomai la prossima volta e se riesco a recuperare le prove, che stanno da qualche parte dell’archivio!
Man

Ps. La Ilford in seguito mise in commercio la seconda serie di Cibachrome, molto ma molto più morbido del precedente cui chimica andava smaltita in appositi bidoni e reagente per non far saltare, letteralmente, le tubature!



Non le mandiamo a dire: ancora una a Forma Milano da bere



" Caro amico di Forma,questa newsletter è diversa da tutte le altre. Lo è perché sono io a scriverla - non quindi una Fondazione ma una persona fisica che in questa Fondazione crede e lavora - e perché vuole comunicare un’iniziativa importante e diversa da tutte le altre.

Stiamo cercando di realizzare un nuovo progetto, ambizioso e bellissimo come tutti i progetti dovrebbero essere: aprire una Biblioteca di fotografia a Milano.

L’idea è nata qualche anno fa, quando ci siamo accorti che in una città ricca di iniziative e punti di interesse fotografico come è Milano, mancava comunque un luogo di silenzio, di ascolto, di lettura, di riflessione - solitaria o collettiva che sia - intorno ai temi dell’immagine fotografica.

Altre istituzioni prestigiose hanno lavorato in questo senso, e creato importanti biblioteche che per noi sono e resteranno punti di riferimento; ma nessuna è all’interno di Milano.

Così questa idea iniziale lentamente ha cominciato a strutturarsi e a diventare da semplice sogno, qualcosa di possibile: una biblioteca specializzata di fotografia nel cuore della città, che sia aperta a tutti, con più di 6.000 titoli a disposizione di adulti, ragazzi e bambini. Un luogo culturale importante per Milano e per l’Italia.

Un progetto del genere, però, non si realizza da soli.

Abbiamo quindi cominciato a cercare altri compagni di viaggio lanciando da poco una semplice campagna di raccolta fondi. In una settimana siamo riusciti a raccogliere più di 1.000 euro in donazioni, tanti consensi e partecipazione. Per questo risultato vorrei ringraziare personalmente tutti i primi donatori.

La strada però è ancora lunga e saremo felici se tu volessi percorrerla, anche solo in parte, insieme a noi. Vieni a trovarci a Forma, in via Meravigli, per conoscere meglio il nostro progetto e capire i tempi e i modi in cui intendiamo realizzarlo."

Grazie fin da ora per la tua donazione,
Alessandra Mauro
Direttore artistico di
Fondazione Forma per la Fotografia


Il nostro modesto (?!) reply


Grazie per la email in "carne&ossa". Sono cinquant'anni e più che, volere o volare, mi occupo di fotografia iniziata ai tempi dei pantaloncini corti anni Sessanta grazie ad uno zio fotografo che stampava, pensa te, pure il colore nei miti Sessanta nella provincia italiana alla Vittorini.
Quello che lei scrive pensi un po' l'avevo proposto da "straniero" alla Milano da bere formato l'Afip negli Anni Novanta secolo trascorso, e se fosse presente Alfredo Pratelli passato miglior gloria ne potrebbe testimoniare: veniamo da lontano, ecco, e andiamo lontano.
Quanto a donazione la cosa è per lo meno offensiva e desta sconcerto, ma in un paesello come il Belpaese forse non il formaggio, perfettamente consono alla "carità" cristiana: Carlo Maria Martini docet.
Pertanto se di obolo deve trattarsi, meglio un rastrellamento tramite una “bella” mostra (ammucchiata?) e di nomi famosi: Gastel corrente Afip Presidente nonché, riciclatosi, tricoter (in italiano magliaro) a sedicente "artista" avessi voglia a certo allure. E lo scampato dal Ponte di Genova Oliviero Toscani (il Padreterno o chi per Esso vede e però ceca o dimentica uso dire) che dismesso i panni ruffiani di sedicente "progressista" ogni minestra televisiva, e alla United Colors del sodale Benetton (anfitrione o mecenate fate vobis, sì, certo quello di Genova anch'egli e delle 43 vittime su la coscienza) altro cavallo di razza. Un Benedussi che come i precedenti oltre ad ammorbare l'aere sottraendo indebitamente ossigeno al prossimo (Padreterno dove sei?) disceso dalla Cathedra di Lectio Magistrale et Sublime, con le sue scosciate e discinte donnine a ricreare l'animo gravato e gravato della Milano da bere, non stonerebbe tra nastrini e maitresse che, di giorno e vieppiù la sera, taccheggiano, come una Grazia Neri qualsiasi per strada in attesa di clienti.
E l’’elenco potrebbe includere pure i morti alla Gabriele Basilico e sue città fantasma, Cesare Colombo e suo Naviglio, e Lanfranco che non lo era (poi tanto fotografo quanto imprenditore) ma una birba di “mentore” ante-litteram in quella Via Brera, prima Canon poi Kodak “Il Diaframma” . Un gallerista e ante prosopopea MiaPhoto accodatasi (dietro input Star&Stripes e annessi ritardi storici della Milano da bere) alla fottografia che refuso non è per chi ha orecchi non certo a spartire la testa…Ecco che la cosa è lunghetta, e al codazzo mi ci metterei con tante belle fotografie (gratis pro causa s’intende) mai viste per il terraqueo. E solo in questo caso l’obolo, pur sotto forma di lascito fotografico da vendere per l’autofinanziamento della Casa, una volta del popolo, oggi della Fotografia, sarebbe ‘na bella cosa.
E nel ringraziarla una preghiera per lei della Milano da bere: guardi che non abbiamo l’anello al naso e non andiamo in giro come i vostri “padani” adorni il crine di corna seppure ad elmo.

La saluto cordialmente
Michele Annunziata detto Man(unzio)

Forma fotografia

Un eterno istante (con tanto di benzodiazepine à la page, autobiografia a cavallo di Giovanni Gastell nipote Luchino Visconti)

Oliviero Toscani 1

Oliviero toscani 2

Oliviero Toscani 3

Date del bromuro a Toscani

United Colors of Benetton

I libri di Man




Abstract here to speak of books, and their reliable soul, when everything around seems to fall



Nella stanza “bunker” dove ci sono pure le Olympus, su la mensola la sfinita C 5060 Wz dell’archivio fotografico e di ciò che vedete su Getty Images; le analogiche Rolleiflex Yashica Electro ancora funzionate dopo più di cinquant’anni, poi cavalletti stativi dietro la porta, di fianco il divano la borsa con dentro le ottiche Olympus con la gloriosa E1, E3, E510. E più in là una borsa metallica (quella che serviva ai fotografi a bordo campo per starci seduti sopra e molti filmati d’epoca ne dànno conto) servita il giorno che il Presidente Sandro Pertini (un grande) nel post sisma ottanta venne ad inaugurare la tanto attesa Università di Basilicata (dove zitto zitto pure abbiamo tenuto lezioni di fotografia ma non ditelo a nessuno). E ora nella scatola metallica, passata per borsa, c’è di tutto e di più compreso una mini livella: quella da muratori che uso per riproduzioni. E piena di filtri Cokin con ancora attaccato il prezzo in lire, costavano all’epoca un botto e pure di plasticaccia ma con allure della griffe francese e made d’un fotografo, favore di un fotolaboratorio (un giorno venne a tener lezione tale Lanfranco Colombo da Milano, che rimase di stucco davanti le mie trentaperquaranta bianconero, lamentando solo che, noblesse oblige, erano stampate su Politenata e non su Baryta Ilford che pure usavamo) colore del Vulture che adesso non c’è più.
Bunker con il tavolo, a latere televisione panoramix, e l’immancabile Mac, noblesse oblige pure qua, che fa il paio nell’altra stanza del figlio grafico di Sky. Mentre il portatile Winzoze come uso dire, dell’altro figlio l’usa come…televisore: digital generation.
E ancora bunker (spesso dico ai profani che vi entrano di comportarsi come si va in chiesa e il grafico figlio fa l’esatto opposto, chissà di chi ha preso…) della mia Cancelleria lo scaffalone dei libri e paio del dirimpettaio, con Enciclopedie e saggistica fotografica, sopra la mensola fianco a fianco alle Analogiche macchine cui si è detto. Ma più in là, nella nicchia ricavata che prospetta la cucina (non di solo pane vive l’uomo, no?) altra scaffalatura di classici e su tutti la Storia della Letteratura Italiana e Storia della Fotografia per i tipi, uso dire, della Einaudi. Vero che anche il comodino ne è pieno, finanche la testiera del letto, una volta fatta, come minuscolo scaffale, a contener libri anzi la notte. E riviste fotografiche a tonnellate che un giorno ho regalato alla Biblioteca Nazionale del Capoluogo della regione che si (s)fregia alla Giano bifronte di due nomi: uno aulico l’altro da servo curiale bizantino. Biblioteca dove c’è un piccolo reparto di classici su la Fotografia che ottenni all’acquisto con le “buone” dal direttore, che non fiatò anche perché quando doveva riprodurre sue cose le voleva solo e soltanto da me, sebbene fosse circondato di impiegati “fotografi” o in città da fotonegozianti che si fregiavano del titolo, uno addirittura cacagl’ o balbuziente come Ernesto Salinardi, ladro di fotografo; e un giorno lo vidi fasciato la mano armeggiando, immagino volesse aprire come scatoletta di sardine, il suo pisciatur’ (pitale ma qui in senso lato) Nikon digitale che odiava da cacagl’ come tutto il resto).
Libri che quando c’è stato e per molti anni il cielo congiunto alla linea dell’orizzonte con in mezzo chi scrive, e del tutto innocente, han fatto compagnia più e meglio del pane che a volte è mancato per la pusillanimità di “certuni” che oggi sono stati rinviati a giudizio. E poi certi altri, sodali di quelli, non pensano che il Tempo è Galantuomo. Sempre!

Man

Una giapponese carina



Abstract reincarnation of a little myth named Olympus Pen a new number P9 a very nice dream machine

A volte o vengono i titoli o te l’inventi: che s’adda fa. Olympus via. Vabbene sono “olympico” ma questo non vuol dire nulla, e non riceviamo cachet: bill and not pill…Insomma ne scriviamo in quello stato di libertà di cane sciolto come siamo venuti a formarci (spiace Cia&Mossad semmai un’altra reincarnazione, forse) nell’esprimersi senza filtri e marchette ché a questo serve una vita ben spesa fuori da ogni logica di profitto. Dite? Sognatore romantico don Chisciotte: il problema è vostro mica mio che abbiam spalle larghe.
Sia come sia qui la nuova (re)incarnazione della linea Pen che tanta fortuna ha portato ad Olympus e ben meritata.
Un salto a ritroso: Era Analogica, mezzo formato sorta di ante litteram Aps e qualchecosa. Vale a dire da un formato intero (qui 135 detto pure Leica) tagliato a metà da avere non più trentasei canonici scatti, ma settantadue. Wow si direbbe, mah un francobollo (riferito alla noblesse oblige Rollei da cerimonia reportage etc etc etc) all’interno di un altro? Beh non proprio perché un bel 18x24 o spingendosi al 20x30 cm bianconero veniva fuori - sotto ingranditore Durst 659 cui slitta ottica per 135 e sino al formato 6x7 o nove formato Mamya RZ e simili – ben più che decente frame per giornali e pure su timide gallerie alla Lanfranco Colombo, dove a dir il vero padroneggiavano immagini da banchi ottici o “piccole” 6x6 dette Rollei, certo ci mancherebbe e da Kodachrome 25 da farci i famosi seipertre stradali; anche il Cibachrome dal contrasto stellare che non è un complimento tant’è vero che la Ilford che lo produceva mise in commercio un Ciba (che stampavamo in camera oscura) a basso contrasto a sostituzione delle maschere di contrasto esatto opposto e contrario di quel che si fa in Pshop; Ciba stampato da Graphicolor in via de a Bufalotta a Roma Capoccia ma fermamose qua.
Olympus Pen analogica anni Sessanta che si reincarna in digitale cinquant’anni dopo, più e meglio di prima: miracoli, il caso di dire, della matematica binaria.
Certo mo l’attrezzo (uno in più) c’è ed a leggerne si dice bene considerato ci si può “attacare” (brutto verbo italico) le ottiche Zuiko che rivaleggiano, e forse ne riparliamo un’altra volta, con Zeiss o le blasé Leica: meditate gente meditate…

Man


Olympus PEN EPL9

Durst D659

Ciba



Ps. Capiamoci al tempo corrente ci sono materiali perlacei come e forse meglio dell’originale Ciba stampati però a “spruzzo" di injet: niente da eccepire sebbene due cose diversissime. Uno si stampava in camera oscura dove la materia alchemica: vero frammassoni? L’altro lo si stampa al corrente su plotter inkjet il “ciba meccanico”. E di nuovo se uno ha da dì qualcosa poi il supporto, ecco, nun fa troppa differenza. A parte certi soggettoni danarosi e sniffatori che ancora…insomma state sicuri che un bel Ciba interessante se lo cuccano a suon di soldoni.Ah a pensarci…but I'm a Free Spirit paisà
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