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Le cose che non si vedono

E vorrei vedere, ecco, il contrario. Vale a dire che la “macchina” visiva che i minchiapixelisti scambiano, è una cosa e la Mente (che mentisce per statuto culturale) è altra senza scomodare Walter Benjamin**. A farla breve che in fondo siamo pur sempre fotografi, la bottiglia e quel bicchiere di vino (in copertina e per la verità liquore Montenegro annacquato) sono tutt’altro che due morte cose: in Italiano Natura morta per l’appunto, stupidità che solo l’italico pensiero può, per questo preferendovi l’inglese still life perché è tutto tranne che la Morte in campo.Tutt’altro che piaggeria esterofila. Still life che dovrebbe essere per Statuto ino + cul + ato a sedicenti fotografi come qualsiasi anti Covid per intenderci: mortale. Ma non nel senso di finale: vedete com’è difficile rendere anche con l’immagine scritta le cose che non si vedono? Bottiglia e bicchiere immersi nella luce mediterranea del mattino finale di Agosto incandescente, e giriamo per il set mezzo nudi...Si vabbene cosa ci sarà mai in quei due lì su fondale (che poi è il domestico soggiorno) e sottostante piano di marmo (in verità vile vinile) che non si vede? Vino che tale non è ma fa lo stesso per i boccaloni diuturni che tutto, ecco, bevono dal tubo delle meraviglie a reti omologate e mummificate! Tutt’altro tempo in cui si andava alla cantina a prendere vino, sfuso da grandi bottiglioni impagliati e rubinetto ottonato. Cantina immersa in perenne penombra piena di soffritto per avventori dalla gola mai sazia, di vino. Vino a spandersi sul grigio marmo (vero) del bancone mentre il mescitore (la moglie) urlava qualcosa a mezza via fra cucina e tavoli apparecchiati. Odori e miscugli da suk, e prima della ritirata per i trasportatori (in pantaloni corti) di vino, un bicchiere di inebriante Spuma simil Coca Cola che manco si sapeva se non nei fotogrammi dei televisori bianconero dei Sessanta passati a miglior gloria. Tutto questo invisibile sta dentro un “banale” still life

** “Si capisce così come la natura che parla alla camera sia diversa da quella che parla all’occhio. Diversa per il fatto che al posto di uno spazio elaborato dalla coscienza dell’uomo interviene uno spazio elaborato inconsciamente”. Walter Benjamin L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, pg. 41 Einaudi

Ps. Ne l’immagine bianconero di H. C. Bresson (qui a corredo) un ragazzo per strada con fiaschi di vino, immagine proprio per gli imbecilli glorificati (entrati nella Gloria del Paradiso ad essi, imbecilli, dedicato) che pure sta dentro la “Natura morta” in apertura
Retropalco



Storia d’amori e d’anarchia

Va tu mo’ a sapé se non era meglio ricordarlo prima: cosa Manunzio mattutino già alle tastiere fra Win & Mac? Di tre fotografi in mostra che il dottor Covid, ecco, farà mai vedere alla ‘ggente preoccupata a telecomando di quei contatti sociali specchiati, invece, nelle immagini di D’Amico Uliano e Battaglia: due uomini e una siciliana. E di questa a dir vero manco sapevo sino a non molto tempo fa, fotografa (anche) de l’Ora di Palermo. Tano D’Amico lo si trovava quasi quotidianamente sul Manifesto di Pintor Rosanna Rossanda ma pure Luciana Castellina e Valentino Parlato, mica sti utili idioti attuali e ci teniamo alla larga da decenni. Uliano Lucas se ne scritto già. Battaglia che di nome fa Letizia è oramai una “nonna” di ottantacinque anni e sin troppo grossa vista in un documentario dedicatole. Ma della siciliana a pensarci c’è un foto in particolare che è ritornata in mente e che, per altre drammatiche vie, ho visto da ragazzo: non ci ho dormito al ricordo. Le due immagini distanti tempo e spazio, condividono un lenzuolo sotto cui giace un corpo scia di sangue, che al solo ricordo forma nodo in gola. E qui da Battaglia in Trinacria alle nostre latitudini: sera d’estate viale e due ali di folla, che ancora ricordo per silenzio sospeso, un Lupetto (camionabile) e per terra lenzuolo bicicletta e macchia di sangue (pare che il camion in retromarcia non s’accorgesse del dramma). E ogni volta che in passato mi trovavo li, Parco cittadino con transito “macchine”, passavo dall’altra parte per non calpestare quel corpo di ragazzo, oggi avrebbe la mia stessa età. Il volto è impossibile a definirsi per i troppi anni e portavo i pantaloni corti. Forse come di quei passeriformi affacciato ad un balcone e sottostante non ricordo cosa dicevamo, e poche ore dopo il lenzuolo. Sit tibi terra levis
"Le indagini sociali e antropologiche sul lavoro, sulla città e sull’umanità varia che l’abita, sono una parte consistente dello sterminato lavoro di Uliano Lucas, fotografo e insieme storico e teorico della fotografia; l’indagine sul cambiamento di orizzonti e di sguardi negli anni della ribellione è facilmente riconducibile alla straordinaria alchimia che amalgama poesia e impegno civile delle foto di Tano D’Amico; il corpo a corpo di Letizia Battaglia con il mostro della Mafia, nella stagione dei morti ammazzati, dell’escalation della violenza ma anche della risposta indignata, dell’orgoglio antimafia, di chi sa rimanere impermeabile al Male"

https://www.sistemamuseo.it/ita/3/mostre/868/fermo-marche-la-strada-la-lotta-lamore/#.X03wHtwzaM9


Ps. A volte il tarlo torna utile, infatti, non già di Battaglia l’omicidio (immagine sovrastante) bensì lo scatto è di Franco Zecchin, dal libro “Il fotogiornalismo in Italia 1945-2005” edito da l’allora Fondazione Italiana per la Fotografia in quel di Torino


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Lo spazio di un mattino l’immagine vincitrice di non so cosa e quando spedita, certo tanto per celia. Ma non è questo, a dirla tutta nun me po’ fregà de meno, poiché conosco il valore “artistico” di chi scrive, ma tant’è. Insomma una bocca in agrodolce per quanto è banale la foto nella sua essenza tutt’altro che peregrina. Intendiamoci anche quando faccio il naif tutto è ponderato, vale a dire per usare metafora, poi mica tanto, quando uno è elegante tout court anche con una foglia davanti e una dietro, si sa mai, non dismette per questo certo allure. Manunzio non è fesso, lascia correre in spirito partenopeo dal basso profilo, ma quando c’è da dare la zampata, anch’essa tout court, attenzione alla sciabolata di Manunzio, che fa molto ma molto male.
Una tazzina vera di vero caffè bevuto in un giorno di inverno freddo e gelido con una “scherda” di sole, quel tanto di sole per creare la magia di uno still life venuto a “caso”. Qui Manunzio non procede oltre ché solo pochi fortunati, stavo per scrivere eletti, possono anzitutto vedere e poi intendere…e del perché non il 19 invece che l'odierno 17 kabalistico!


Ps. La fissa della mamma era di avere per il figlio roba di certo valore e per questo che a cadenza regolare ci arrampicavamo per una scale di legno, più che altro una parte di sesto grado, fino lassù da Mast’ Aniello sarto, fine napoletano chissà come catapultato tra le montagne lucane. Rito per un taglio su misura invernale ed estivo dai pantaloni corti che ancora indossavamo pur grandicelli


Il numero di Dicembre TF 1969, sebbene il primo è del Novembre precedente, con Giuliano Forti, passato in seguito alla Redazione di Fotografare di Cesco Ciapanna e da tempo cessata pubblicazione, poi a dirigere Reflex sino al 2016 quando anche questa chiude i battenti, in un articolo introduce i novelli fotografi allo sviluppo del negativo e quant'occorre ad esso con successiva stampa in bianconero. Nell'un come l'altro caso bisogna avere discrete conoscenze sull'argomento camera oscura, forse non proprio di un Ansel Adams o Alfred Stieglitz, padroneggiare dallo scatto allo sviluppo negativo e stampa, con quella “previsualizzazione” del risultato finale (teorizzata proprio da Adams) è viaggio che dura tutta una vita, tante le variabili in gioco e tecnologia che nel frattempo muta insieme al gusto di chi sta dietro lo specchio reflex, à la page telemetro Leica, guarda il mondo e ne dà forma


Panta rei proprio così tutto scorre via e non ci si bagna due volte nelle stesse acque (del fiume). Cinquant'anni che sembrano, ai tempi di Internet, forse cinquecento va mo' tu a sapé. Sia come sia una vita passata dietro la fotografia, iniziata ai tempi dei pantaloni corti e in modo sistematico dalle colonne di Tutti Fotografi della Editrice Progresso, che pure leggevamo con ingordigia, nel lontano 1969. Insomma Manunzio non è un funghetto nato oggi, casomai nella Milano da bere...ma grazie anche ad uno zio fotografo "ragazzo" di bottega di fotolaboratorio che negli Anni Sessanta della provincia italiana che è fu sviluppava e stampava anche il colore: 3M Kodak e Agfa (che seguivano ognuna un proprio ciclo particolare) e non ancora il calderone C-41 (altro step del Pensiero Unico) che tuttora sommerge le sempre meno pellicole a colori circolante ancora per il terraqueo

Man fotografo dal 1969



Dopo più di cinquant’anni di mestiere (mettendoci l’apprendistato precoce già con pantaloni corti Anni Sessanta) diresti essere diventato “cecchino” o ultimo podio in quei social fotografici: expert veteran guru eccetera. Yes I’m a sniper.
Sia come sia l’immagine che qui sta ben dice (anche senza scritta per i cretini a telecomando che non ci vogliono arrivare: tutt’ quant’ so’ buon’ a fott’ diceva in napoletano la nonna e non certo alludeva ad anatomie…) di un possibile Aushwitz libresco. O meglio la suggestione che quel cancello e binari produce. Poi c’è la nebbia a fare il miracolo, altrimenti si scoprirebbe il “trucco” di uno scalo abbandonato e proprio sotto casa: duecento metri più o meno.
Sarà pigrizia (!?) o cos’altro ma mettersi dal “vero” su aereo arrivare sul posto e fare una “fotografia” capirete non è per Manunzio troppo preso ad “inventare”. Capiamoci le virgolette sono l’unico modo per dire: attenzione! A cosa? Al fatto che le parole non seguono più alcun pensiero e/o concetto tanto si sono usurate e rese inutili, non solo, ma con la “realtà” pure virtuale…e ci siamo intesi.
Trucchi della mente: lì dal “vero” qui a migliaia di kilometri il “falso” e Quid est Veritas? E se pare una di quelle cose alla Manunzio, appunto, caschi male paisà non foss’altro che mission del Manunzio è proprio “giocare” sul vero-falso-verosimile come sempre!

Man


Ps.
Mente(nte) participio presente verbo mentire: verosimil + mente via. Ma se la mente già mentisce: che dire ancora?

Pss.
L’immagine qui posta non è della premiata ditta CaNikon, ci mancherebbe. E’ la solita Point & Shoot Olympus Camedia e non altrimenti. Per immagini così oltre ad annusarle per tempo (previsualizzare?) si va leggeri leggeri, e basterebbe già uno smartphone…
“Ecco il mio segreto disse il Piccolo Principe. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi” Antoine de Saint Exupéry

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E no eh, qui bisogna scendere in piazza, petizioni e proteste femministe a teleconado come sempre e con tanto di marchetta e planetarie in ogni dove: Leica M10 D maledetta + mente maschilista. E che cazzo: ‘nnamo ‘bbene…
Dunque la nuova costa, prestate orecchio eh, ben 16 milioni (!) di vecchie lire che tra non molto di nuovo in circolo, altro gli strilletti di un MoscoWC qualsiasi che rappresenta solo se stesso, e uno sciacquone lo manda via tra qualche mese!
Ancora, ci è stato spiegato (!?) che la leva di carica come su le analogiche non serve, eh, ad armare otturatore e far avanzare il fotogramma successivo: no. Serve ad avere una presa con solo mano! Senza Lcd che è na figata ma na figata da consegnare il Nobel all’ingegnere e/o designer.
E però l’immagine appena scattata la si può vedere: come? Ah umanoidi di poca fede: a smartphone. Insomma da remoto (post mortem?). E sia. Ma ci è stato appena detto che la foto che fa (!?) la Leica M10 D è a mano libera, nell’altra lo smartphone per rivedere lo scatto. Eppure la M10 D si dovrebbe, come nell’Analogica Era, tenere con ambo le mani: no? No sciocchini! Siché smartphone ‘ndo o mettemo? Ecco qui vi volevo: ma sul cazzo, che è cosa maschilista e da qui le proteste giuste e sante planetarie e teletrasmesse a reti omologate. E che cazzo, ecco.
Ora visto che tra i parvenu si trovano sempre (non sapendo che cazzo fare, e getta pure sedici milioni di vecchie lire) donne: ‘ndo o metteno lo smartphone? Converrete che nella parte bassa di esse verrebbe...introitata, la Leica M10D: allora? Ma su na zizza starebbe bene, si, dalla quarta misura delle coppe in poi! Vabbene e quelle al disotto? E se fanno a plastica al silicone, e visto che si trovano chiedono al chirurgo “plastico” una sporgenza atta all’uopo a contenere la Leica M10 D, senza Lcd, ma da remoto controllo smartphone, sì. E che cazzo. Vedete maschilisti (repressi masturbatevi nel cesso slogan Anni '70) voi che la nuova camera (funebre?) è proprio maschilista…che cazzate: daje!

Leica anuncia oficialmente la M10-D, sin pantalla y conectada al móvil por uno 8000 euros

A quando una Leica digitale senza sensore?

Man

Ps. Solo a ragionare, vebbè shhh nun ditelo in giro sinnò so’ uccelli senza zucchero, ossia caz…amari che vi risparmiate sedicimilioni e vi comprate uno smartphone dell’ultima (!?) generazione con tanto di palle sotto…e 4K 8K 16K 32K…senza acrobazie e manco ricorso alla chirurgia “plastica”! E a fotografare? Come cosa? Ohe gente qui stamo a lavorà pe a giostra degli acquisti e mica pe fa e fotografie: e de che? Oh nun ce state a fa perde tempo: Cesareee nartro litro de li Castelli che noi ce lo bevemooo e te risponnemo in coro: oste nun te pagamo, perché ci piacciono li abbacchi le donne e le galline che son’ senza spine e nun so’ come er baccalà…

Pss. Ma nun s'era detto che Venerdì (pesce?) ce se stava a riposà cor na cosa leggera leggera invece de sta scrive ste fregnacce? Ah Manunzio te devi da capacità che a giostra vole semp' artre cose, sinnò come fa a campa: mors tua vita mea, no? Manco per er c...e daje che stamani eh, e che ci hai mangiato peperoncino? Eh da quanno so' fotografo già co li pantaloni corti!



Non le mandiamo a dire: ancora una a Forma Milano da bere



" Caro amico di Forma,questa newsletter è diversa da tutte le altre. Lo è perché sono io a scriverla - non quindi una Fondazione ma una persona fisica che in questa Fondazione crede e lavora - e perché vuole comunicare un’iniziativa importante e diversa da tutte le altre.

Stiamo cercando di realizzare un nuovo progetto, ambizioso e bellissimo come tutti i progetti dovrebbero essere: aprire una Biblioteca di fotografia a Milano.

L’idea è nata qualche anno fa, quando ci siamo accorti che in una città ricca di iniziative e punti di interesse fotografico come è Milano, mancava comunque un luogo di silenzio, di ascolto, di lettura, di riflessione - solitaria o collettiva che sia - intorno ai temi dell’immagine fotografica.

Altre istituzioni prestigiose hanno lavorato in questo senso, e creato importanti biblioteche che per noi sono e resteranno punti di riferimento; ma nessuna è all’interno di Milano.

Così questa idea iniziale lentamente ha cominciato a strutturarsi e a diventare da semplice sogno, qualcosa di possibile: una biblioteca specializzata di fotografia nel cuore della città, che sia aperta a tutti, con più di 6.000 titoli a disposizione di adulti, ragazzi e bambini. Un luogo culturale importante per Milano e per l’Italia.

Un progetto del genere, però, non si realizza da soli.

Abbiamo quindi cominciato a cercare altri compagni di viaggio lanciando da poco una semplice campagna di raccolta fondi. In una settimana siamo riusciti a raccogliere più di 1.000 euro in donazioni, tanti consensi e partecipazione. Per questo risultato vorrei ringraziare personalmente tutti i primi donatori.

La strada però è ancora lunga e saremo felici se tu volessi percorrerla, anche solo in parte, insieme a noi. Vieni a trovarci a Forma, in via Meravigli, per conoscere meglio il nostro progetto e capire i tempi e i modi in cui intendiamo realizzarlo."

Grazie fin da ora per la tua donazione,
Alessandra Mauro
Direttore artistico di
Fondazione Forma per la Fotografia


Il nostro modesto (?!) reply


Grazie per la email in "carne&ossa". Sono cinquant'anni e più che, volere o volare, mi occupo di fotografia iniziata ai tempi dei pantaloncini corti anni Sessanta grazie ad uno zio fotografo che stampava, pensa te, pure il colore nei miti Sessanta nella provincia italiana alla Vittorini.
Quello che lei scrive pensi un po' l'avevo proposto da "straniero" alla Milano da bere formato l'Afip negli Anni Novanta secolo trascorso, e se fosse presente Alfredo Pratelli passato miglior gloria ne potrebbe testimoniare: veniamo da lontano, ecco, e andiamo lontano.
Quanto a donazione la cosa è per lo meno offensiva e desta sconcerto, ma in un paesello come il Belpaese forse non il formaggio, perfettamente consono alla "carità" cristiana: Carlo Maria Martini docet.
Pertanto se di obolo deve trattarsi, meglio un rastrellamento tramite una “bella” mostra (ammucchiata?) e di nomi famosi: Gastel corrente Afip Presidente nonché, riciclatosi, tricoter (in italiano magliaro) a sedicente "artista" avessi voglia a certo allure. E lo scampato dal Ponte di Genova Oliviero Toscani (il Padreterno o chi per Esso vede e però ceca o dimentica uso dire) che dismesso i panni ruffiani di sedicente "progressista" ogni minestra televisiva, e alla United Colors del sodale Benetton (anfitrione o mecenate fate vobis, sì, certo quello di Genova anch'egli e delle 43 vittime su la coscienza) altro cavallo di razza. Un Benedussi che come i precedenti oltre ad ammorbare l'aere sottraendo indebitamente ossigeno al prossimo (Padreterno dove sei?) disceso dalla Cathedra di Lectio Magistrale et Sublime, con le sue scosciate e discinte donnine a ricreare l'animo gravato e gravato della Milano da bere, non stonerebbe tra nastrini e maitresse che, di giorno e vieppiù la sera, taccheggiano, come una Grazia Neri qualsiasi per strada in attesa di clienti.
E l’’elenco potrebbe includere pure i morti alla Gabriele Basilico e sue città fantasma, Cesare Colombo e suo Naviglio, e Lanfranco che non lo era (poi tanto fotografo quanto imprenditore) ma una birba di “mentore” ante-litteram in quella Via Brera, prima Canon poi Kodak “Il Diaframma” . Un gallerista e ante prosopopea MiaPhoto accodatasi (dietro input Star&Stripes e annessi ritardi storici della Milano da bere) alla fottografia che refuso non è per chi ha orecchi non certo a spartire la testa…Ecco che la cosa è lunghetta, e al codazzo mi ci metterei con tante belle fotografie (gratis pro causa s’intende) mai viste per il terraqueo. E solo in questo caso l’obolo, pur sotto forma di lascito fotografico da vendere per l’autofinanziamento della Casa, una volta del popolo, oggi della Fotografia, sarebbe ‘na bella cosa.
E nel ringraziarla una preghiera per lei della Milano da bere: guardi che non abbiamo l’anello al naso e non andiamo in giro come i vostri “padani” adorni il crine di corna seppure ad elmo.

La saluto cordialmente
Michele Annunziata detto Man(unzio)

Forma fotografia

Un eterno istante (con tanto di benzodiazepine à la page, autobiografia a cavallo di Giovanni Gastell nipote Luchino Visconti)

Oliviero Toscani 1

Oliviero toscani 2

Oliviero Toscani 3

Date del bromuro a Toscani

United Colors of Benetton

La zia d’America & lo zio scapestrato




Figaro prima e postino poi deciso a mettere la testa a posto, uso dire, con matrimonio “combinato”. E da chi come e quando non è possibile ricordare ché son passati cinquant’anni.
Vi arriviamo, a casa della futura sposa, a piedi dopo la tratta ferroviaria lungo uno sterrato in salita, a verificare questa volta il corredo nuziale di casse ed armadi pieni di “dote”. Senza dire che la sposa accompagna il tutto con appezzamenti di terreno, su cui scorribando sino al fiume laggiù.
Sì certo la casa è rustica, eppure tenuta come una civilissima abitazione cittadina, e senza acqua corrente in casa (un fontanile per mandrie a poche centinaia di metri svolge il suo compito e ci si reca con gusto a far provvista d’acqua per l’abbisogna) così pure la luce elettrica, sostituita a soffitta, da lucerna a gas a certa ora della sera dalla “nonna” la sposa, vestita in abito locale: possente e presente tutto il giorno in cucina come Nume tutelare della famiglia.
E poi camere e soffitta dove curioso fra aromi di cipolle aglio e conserve per l’inverno, e sottostante stalla dirimpetto all’orto tenuto con geometrica precisione. Infatti il papà della sposa (poi mia zia) è un marcantonio mai fermo: ora qui ora là per il podere che termina a valle lungo la ferrovia, a monte tra rocce e orrido su fiumara nel caldo torrido d’un Agosto fine anni Sessanta.
Terminata la “rassegna” del corredo fra donne in nero della sposa da occupare una stanza intera, a latere nonna (madre dello zio) e mia madre (sorella dello scapestrato) che non ne lascia passare una, al solito rompiglione…mentre si prepara una tavolata per la “colazione” e sono appena le dieci di mattina quando escono dalla madia: caciocavallo salsiccia soppressata sottolio…pane nero buonissimo, tanto per gradire e si scusano (i parenti della sposa) per la poca roba in tavola (!). Naturalmente vino, acqua minerale aranciata a temperatura, così della piccola ghiacciaia (non c’è ancora il frigorifero) domestica in un angolo della cantina.
Fuori è caldo e pizzica la pelle, immancabile la romiglione madre non vuole prenda sole: vabbene che in mezzo a tutti loro mediterranei olivastri la mia pelle chiara occhi pari e capelli che virano al biondo, sembro un nordico, consiglierebbe cautela ai raggi solari, e però…sarò a sera di un color “aragosta” su viso braccia gambe in pantaloni corti a dispetto della “madre”.
E mentre il giorno scorre in cucina si prepara il pranzo della domenica (dopo la colazione mattutina!) con la zia d’America venuta apposta da New York. Messa a confronto con il babbo della sposa, sorella gli somiglia in tutto “stazza” compresa da corazziere. Impasta e stende con il mattarello la sfoglia come in un quadro fiammingo, mentre poco più in là seduto ad un pizzo dell’enorme tavolo da cucina, un tale con macchine fotografiche al collo. Solo molto più tardi quando avrò contratto il virus della fotografia (che non m’abbandonerà mai più, incurabile purtroppo) nel ritornare alla memoria di quel tempo saprò che essere Leica e lui, il fotografo, nientemeno che di Life…ma questa alla prossima e del matrimonio dello zio e la zia mai capacitata della sorte ricevuta, ecco, dello scapestrato ex figaro poi postino alle Poste!

Man


Ps. La zia americana preparò quel giorno una lasagna lieve e dolce, zuccherina esagerazione ma per capirsi, mai più mangiata. Anzi è proprio quel gusto morbido e dolce che, nell’ora meridiana del pranzo domenicale, fa riemergere dal quel tempo oramai lontano
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