Manunzio




ZZZ…

Lo still life risente gli ultimi scampoli delle feste natalizie. Da sinistra a destra (cover) la cinquantenne RTS prima versione Contax, massiccia e dal peso molto pro, così una volta. Attaccato il 24 millimetri Yaschica, vetro notevole che condivide con lo Zeiss (al centro 50 millimetri incerottato per l’abbisogna) pari bajonetta per l’interscambio ottico e non solo fra i due brand; in alto lo scatolotto, un buon pezzo di metallo K&F Concept Micro 43 (lato camera) e attacco ottica il richiamato Yashica/Contax. A destra la Olympus Ep-2 con attaccato il 12-50 f. 3.5 che alla massima estensione diventa un “buio” f. 6.3 che va bene per l'outdoor tout court.
L’intabarrato 50 mm Zeiss via adattatore, allora, s’innesta senza problemi alla Ep-2 (provato anche su Gh4). E naturalmente tanto i fuochi che i diaframmi sono da impostare come una volta in Era analogica a mano sfruttando casomai invece della M(anual) l’esposizione A o priorità dei diaframmi.
Sia come sia il 50 diventa magicamente “100 millimetri” per crop intrinseco al formato Micro 43. Ora tutto il, diciamo, fotogramma che restituisce è d'una cremosità molto gradevole; viceversa il “piccoletto” della Olympus ha un "taglio" micidiale. Certo parliamo di due ottiche diverse: lo Zeiss oltre gli anni, ma buona ricetta ottica, serviva il formato 24x36 che non è affatto il FullFrame detto, e si tira notte, no. Progettato per l’Analogico bisogna conviverci con il suo “farsi” anche digitale via adattatore, e ne vale la pena. Altrettanto certo il fatto che su cavalletto, non altrimenti e non sperimentato on street, la Ep-2 + 50mm è “a mort’ sua” uso dire o dell'accocchiata (accoppiamento, sinergia) e gradevole pastosità da gustare.
Infine il fatto che il 50mm Zeiss a diaframma “sparato” qui f. 1.8 non avete bisogno di menar trucchetti in Pshop o l’arzillo Gimp (complicato a dovere ma micidiale nei risultati) ché i bordi, considerato agli effetti pratici che è quel che conta in definitiva, il medio tele “100 millimetri” de facto restituisce dal centro alla periferia dell'immagine un godibilissimo sfocato, o Bokeh che dir si voglia. A diaframmi intermedi lo stesso e sino a f. 8 va che è un piacere, dopo c’è diffrazio. Cosa ottima, metti caso, per il ritratto che, tuttavia, fosse stato su pellicola analogica un filtro (fosse pure un pezzo di calzetta di donna uhmmm) per ammorbidire il volto più che consigliato, necessario. Per chi sa di fotografia (eh Munari) gli Zeiss quanto a "taglio" fuguratevi, e siamo la generazione Rolleiflex e Tessar, sì, il famoso Occhio di aquila quanto dire. E sul digitale, ancora, lo Zeiss da una incredibile pastosità lo si ripete. Quanto all'incartamento, o meglio un doppio paraluce “accocchiato” tanto per il test è tassativo per i riflessi ché la prima lente è quasi raso il barilotto. Tuttavia, non ricordo se il lens flare del caso veniva su pellicola, mai fatto caso e mai a dir vero presente grazie, comunque, a quella rossa T con asterisco a testimoniare per l’epoca di cinquanta e passa anni fa, l'eccellete rivestimento lenti Zeiss.
Ultimo ma non da ultimo il “piccoletto” Olympus usato a paragone (non trovate immagine ma vi basti parola) se la cava benissimo e, s’è detto dal buon “taglio” pur essendo uno zoom e gli Zuiko non sono acqua: vero Leica? E Zeiss & Zuiko fan cose turche!

Link immagine originale senza intervento alcuno sul file, Ep-2 adattatore e 50mm Zeiss, cui si apprezza il "pelo" delle foglie senza maschera di contrasto, un'altra notazione non di poco

Ps. Il richiamo a certi attrezzi, lenti e fotocamere nel post lungi dal costituire pubblicità è “roba” di Manunzio: di sua tasca. Zzz titolato è perché sono, le lenti, con pari lettera Z(eiss) Z(uiko) sempre cose turche riescono ambedue!




Vexata quaestio, ya, Fräulein Munari & Co. E si perché quando esci dall'urbs/street (extra moenia nulla salus?) e ci provi a fotografare...come chiami allora il davanti: cartolina, nein, reportage geographic style National? Nein. Travel? Oh ya wunderbar.
E vada per travel tanto per non fare il Manunzio quotidiano e inchiodare i minchiapixellisti che devono pure inventarsi, storpiando nomi nel barbaro inglese, qualcosa altrimenti la Giostra degli acquisti tout court s'incazza e di brutto. E i nomi, diciamo così, è Potere. Travel da travailler, altro che old english! e fermiamoci qui.
Travel, dunque. E di un luogo cui fatti tengo a tenermi lontano se non per le cose da presso. Arco riflesso, luogo comune dei soliti imbecilli tutti di andata e di ritorno, si mischierebbero nella solita “casella-pensiero” e buona notte ai suonatori.
Mi chiamò il Responsabile all'epoca EPT poi lestamente trasmutato alchemicamente secondo canone dei grembiulini (salve, come va?) in Azienda Turismo Basilicata, che noi vecchi nostalgici e filologico dire: Lucania. Nomen omen, qualche tempo fa.
Breve mi si chiedeva una veloce pubblicazione su Aliano, e non aggiungo altro e vedi sopra anzidetto, per i “camerati” germanici. Tourist für immer.
Ora dovete sapere che ogni volta che Manunzio provasse per una qualche pubblicazione “turistica” eh avessi voglia a filosofeggiare, ché il richiamato responsabile...sembrava un simposio fra Manunzio, lui, e cerchia di impiegati dell'APT, appunto. Si cominciava d'estate e si finiva a chiacchiere sine die; non vi dico per il calendario cui “discussione” iniziava in primavera e finiva, stampato a gennaio successivo. E d'altronde una volta l'anno iniziava a Marzo!
Caricate le Contax, 139 Quartz e RTS che ancora oggi, cinquant'anni dopo, funziona ancora (!) ed in una la EPR-64 Kodak slide, nell'altra AGFA Scala 200 e via verso la Valle dell'Agri di stupendi paesaggi e valle e acque...poi a salire che sembra una mulattiera verso Aliano, in Provincia di Matera, le nostre “Colonne d'Ercole” lungo a dirsi e non oltrepassabile.
Click di qua e click di là, al solito Manunzio non lesina su gli scatti: una decina di rotoli 135 pari a trecentosessanta immagini una enormità in era analogica e di solo colore, non vi dico la mitica Scala, di nome e di fatto d'armoniche note. E finiamo qui la prima parte


A latere nel riquadro il colophon segnato in rosso Manunzio/Michele Annunziata, ché non riferisce e fotografa “de relato” per chi intende


Banco ottico e dintorni

Immagine cover: Cambo dieci-dodici e pellicola Fujifilm 64T no Kodak Tungsten à la page. Emulsione nipponica bella e talentuosa. E fummo i primi sull'italico suolo a farne prova grazie ad un amico che a Bari ne aveva fatto, come in sordina, prime scorte e anche dell'ottima Fujichrome 100. Anzi di questa una selezione d'archivio ne inviammo ad una di quelle riviste (Bell'Italia?) che ancora lo pigliavano...il plasticone con trenta dia intelaiate. Senonché dovevano essere Kodak perché aggiunse la gentil donzella “abbiamo macchine tarate”. Tara mentale a dir vero. E tutto giocato su abile marketing, equivoco, eterodiretto al solito, anzi la chiameremmo oggi in orizzonti di guerra: sabotaggio. Certo vi era un che di vero nella taratura e stava nel fatto che i cosiddetti lab (uno o due sempre “tarati” per solo Fujifilm nella Milano da...bere all'epoca analogica) che calavano nel brodo simil Pensiero Unico per il terraqueo (lei capisce perfettamente Munari, eh) E-6; vi buttavano, anzitutto Kodak e non si chiede all'oste se il vino e buono. Le Agfachrome stupende stellari e dai grigi squisiti passate le Forche Gaudine del' E-6 unico “trattamento” per il terraqueo (pensare che prima i film li potevi “processare” a casa a venti-gradi ed inversione a luce**). E non così l'eccelsa Fujifilm che doveva stare uno o due minuti in più nella sbianca-fix sempre E-6 per avere colori giusti non affetti da “cast” magenta e bei verdi.Pure quei babbei di Progresso Fotografico lamentavano, in test aumma aumma, il “cast” richiamato.
E qui due cose: incominciammo a sviluppare da noi tanto le Kodak EPR-64: un must in brodo E6, via alternativa chimici Ornano (scomparsa la quale logo e chimica è ripreso da Bellini nazionalpopolare) che le Fujiifilm, allungando il tempo dello sbianca-fix...
La seconda è tragicomica mazzetta non altrimenti: “contrordine compagni” direte dai soliti compagni russi per noi sessantottini? Macché gli Yankee diedero disco verde (confezione Fujifilm lo sono guarda caso, come grigio le Agfachrome non a caso pure questo; giallo Kodak che su le stampe per carità di patria finiamo qui) e fu Fujfilm a sbancare con la gloriosa Velvia50, detta Kodachrome in brodo E-6 “tarato”. Una doppia pagina offset da pellicola trentacinque-millimetri da impallidire quei del National Geographic. E così tutti i lab e rotative a seguire si piegarono, al solito a novanta agli Yankee a gradi, ma vuoi mettere? Ma Fujifilm was is again the best(iale).
E ritorniamo a noi. Dunque l'immagine: Cambo camera si è detto Fujifilm. Luci? Semplice Nitraphoto sul fondo a sinistra e basso destra sebbene schermata. Props “caffettiera” fatta a mano e zampillo di cartone per “caffellatte” in tazza di latta e ovatta a mo' di schiuma: cornetto preso in pasticceria ché ancora non c'erano confezionati come appare, così, l'immagine in Manunzio.it/Still (se vi pare dateci un occhiata altrimenti amici come prima). Il solito Manunzio fra “vero” e finzione scenica. To be or not to be...beh ai posteri l'ardua sentenza, no? Mah che s'adda fa per chiudere il pezzo...

**Lungo a dirsi facile a farsi e per le Agfachrome l'inversione dopo un “normale” sviluppo in tank iniziale bianconero, consisteva nel far “prendere luce” con buona potenza luminosa artificiale: alcuni testi sacri volevano, addirittura srotolata l'intero rullino da le spirali Paterson (e con il piffero rimettere in sito) e continuare poi, al chiuso della tank, il successivo sviluppo poi sbianca-fix e lavaggio terminale va da sé. Il risultato, e che risultato, appagava la fatica di tenere a bagnomaria tutto: chimici e tank




Nb1. Epr indicava su scatoletta e rullino la dia “fresca” di giornata e si consigliava stoccaggio in frigo come per le uova appena munte...oops rilasciate. Senza la r finale, pur sempre Kodak slide, invece le diapositive già “maturate” pronte all'uso: friggi e magna. E fra pro e dilettanti emulsioni solo differenza di prezzo avec allure: archivio Manunzio docet. Vero è che dopo tempo il trattamento domestico con teutonica Jobo tank termostata da paura (!) trovammo il nostro buon Samaritano, non biblico bensì a pagamento, si capisce. Un paese alle falde del Vulture buon Aglianico, il lab che andavamo a trovare di notte quando nell'ora delle tenebre, ecco, si calavano non già strascinati orecchiette o manate caserecce, bensì i 135 e 120 diacolor (così un tempo la dizione e circolava per agenzie stile Grazia Neri la decana, qualcuno lo dica alla “pimpante” Munari: anzi che se vuole le facciamo in qualsiasi workshop a gratis un servizzietto, ma un servizietto da leccare la f...accia) del giorno. E portavamo: doppio corpo Contax e ottiche Zeiss, Asahi Pentax seisette e ottiche, Zenza Bronica...roba che neanche un sergente mangione usavamo dire durante la naja militare oserebbe
Nitraphoto 250 Watt di potenza in lampade opaline per luce artificiale simil giornata diurna velata, opalescente


Da sinistra a destra la famiglia Olympus e su la destra, or ora, la new entry FZ300. La C-5060 WZ (a sinistra) è quella che per anni ci ha accompagnato con bello e cattivo tempo in ogni dove, tant'è che l'archivio di 285.00 file è venuto su grazie a questa incredibile camera Olympus, nome che è una garanzia ancora oggi che non “esiste” più per le note vicende del brand. La seconda (da sx) C- 5050 è una non meno incredibile “Leica” con il suo trentacinque millimetri equivalenti full frame alias 135 di Barnack memoria. F 1.8 lente e pari apertura che si costruiscono solo e soltanto in questi giorni che pare la nuova Gold rush per i brand ancora in vita; la C-8080 CCD by Kodak ancora oggi con “solo” otto-mega-pixel comunque stellare. Infine la FZ 300 Panasonic con ottica Leica che non è uno scherzo, anzi, parente acquisito di Olympus, avendone adottato anche il sensore MicroQuattroTerzi



Il problema (di non poco conto)

La cosa è lunga e la dividiamo. E allora C- 5060 artefice dei 285.00 file d'archivio digitale.
Anzitutto mai avuto un problema, e la soletta porta batterie, per giorni interi uno dietro l'altro ha sempre erogato energia per il suo lillipuziano sensore, incredibile.
Ora per chi è nato adesso e non ha minima idea (Cancel culture docet!) dell'Era analogica, l'italica Ferrania (con cui si è iniziato fine anni Sessanta a sperimentare la sua P30) pubblicizzava le sue pellicole a colori con jingle: “Tempo bello tempo brutto con Ferrania riesce tutto” squisitamente equiparabile alla Oly WZ 5060 in esame.
Fianco a fianco nell'immagine panoramica la “Leica” C-5050, qui con il c...rotto, sì, l'alloggio portabatteria non più chiudibile ma con protesi sottostante, vite e pezzetto di staffa porta lampada degli Anni 70 (sic) avessi voglia ancora.
Quanto alle altre due ritorneremo a breve. Il problema, allora: come conciliare creatività, si vabbè...e armamentario? Ancora come portare per ore ed ore uno zaino pieno di ogni ben di Iddio senza poi, a fine giornata, causa stress e muscolatura dolente evitare il rosario di mannaggia? Impossibile, a meno ché non si è tra coloro che “fanno” i fotografi ad ore stile passeggiatrici ser(i)ali...Il problema, infatti, costoro non se lo pongono: semel in anno, no? Viceversa per chi ci ha la creatività come forma morbosa (!?) lo zaino, eh...
Passo indietro alcuni decenni fa e borsone fotografico analogico: due Contax, tre lenti normale-grandangolo e 135 ché mai andato oltre tranne qualche fugace “toccata&fuga” superiore sempre made Zeiss: noblesse oblige, no? Uhmm. E poi corpo Zenza Bronica SQ-A, magazzini pellicola di riserva, pentaprisma e leva laterale carica otturatore...quattro ottiche cui un padellone, letterale, quaranta millimetri niente male rispetto al pari Distagon 40 mm Zeiss Hasseblad o anche Rollei all'epoca SL-66, detta eine panzer! Poi pellicole 120 rigorosamente Pro Epr 64 tenuta, secondo canone, in frigo, pari pellicola e procedura per il formato 135 delle Contax. A latere, zaino, vettovaglie e non so cos'altro che uno zaino militare, per averlo provato in prima persona da milite, un peso piuma. E a sera, i sacramenti? Ni poiché ero giovane e pure incosciente come quella volta che mi arrampicai su un muro cadente e niente...fori di foscoliana memoria: avevo visto pari angolazione e ci avevo provato, sì, la dia sta ancora in archivio ma a vederla mette ora per allora i brividi di incoscienza! Qui ci fermiamo però e l'invesa risposta...alla prossima. Stay tuned paisà!

Ps. Quante volete scritto che le richiamate camere, eccetto la Pana, sono state nelle mani di Alex Majoli della Magnum Agency: si ma tu Manunzio non sei Majoli, eh. Transeat ma le (foto)camere...e poi qui link è ancora oggi sul sito Getty Images e “fatte” con Point&Shot finanche di Epson 850-Z di “solo” duemilioni-pixel l'immagine bianconero tre finestre con neve: che volemo fa?




Ei fu siccome immobile dato il mortal sospiro...Olympus

Giorno più giorno meno cinquant’anni sono una vita. E quella strana scatoletta che portava un ideogramma per Pen l’aveva ricevuto l’amico dal padre, diciamo venditore di macchie, un bell’uomo ma di tre cotte. Un regalo come tanti e gli fregava de meno, e me la prestò. E su le prime la cosa strana che invece di fare foto orizzontali, bisognava girare la camera e ottenere settantadue fotogrammi: infatti era la mezzo formato di Olympus appesa anche così al collo di Eugene Smith.
Agli inizi dei Settanta la Olympus scompaginò le carte con una miniaturizzazione ed un mirino eccellente per l’epoca per non parlare delle ottiche Zuiko, pari a pari con Zeiss di riferimento, il resto è Storia, quanto meno della Fotografia, con Om1 2 3 Titan 4 e la Om 10 furbacchiona: automatica di fabbrica ma con jack sormontato da ruota dei tempi pure manuale.
Poi l’oblio sino alle Camedia usate nel silenzio dei soliti ammanigliati Nikon (Coolpix) e non da Alex Majoli della Magnum Agency, e di lì a poco il “laboratorio” a nome E10 subito dopo l’upgrade E20, altro che Coolpix: un fotografo fiorentino incontrato non ricordo dove ma in Puglia, c’era Berengo Gardin a tenere un workshop, raccontò di averla usata, la E20, per riprendere una sfilata di moda! E all'epoca costava intorno i quattro milioni se memoria non falla. E di lì da quel “prototipo” venne alla luce, quanto mai adeguato alla camera fotografica tout court e tanto su argento d'antan che odierno silicio fa della luce la sua materia o anima; la E1 questa volta in formato 4/3 (l’E10-20 sono su base 2/3 Ccd Kodak ed ottiche non intercambiabili) che inaugurò suo malgrado uno sfortunato sistema passato per E3 altra ammiraglia, che aveva perso il fascino della “sagoma” strana del precedente modello, ma tozza e tracagnotta, sino al canto del cigno E5, tardivo ed inutile upgrade. Mentre parallelo scorrevano le piccolette E 400, 500, ecc. ottime camera di fascia popolare diciamo così: stesso attacco ottiche ed accessori, in controcanto invece del prisma reflex uno “specchio” brutto e fetente. E ciò non di meno portavano in dote il famigerato Live view inaugurato con la E 300: pietra miliare per chi intende e pratica la fotografia.
Siché alla legge del “signor” Mercato uso dire non si sfugge, anche se un unico hamburger dell'altrettanto Produttore amerikano, unico Motore di ricerca...e non ripetiamo la trafila di “unicità” il menzionato “signore” deve semplificare secondo tabellare babilonese per gli eterodiretti omologati che si fregiano, beati loro, del titolo uman(oidi). E d’altronde chi si contenta gode: chi cosa quando è perché appartiene ai posteri. Il Re è morto? Viv’ lu Re!


Immagine sovrastante
Da sinistra a destra in alto, Camedia C 5050 de facto una piccola Leica con il stratosferico equivalente in scala 35/1.8 camera usata per anni dal reporter Majoli della Agenzia Magnum, quanto dire circa affidabilità e restituzione della scena data sebbene a fronte di un sensore poco più grande di un unghia; C 8080 che viene in linea, anche grazie alla forma decentrata del grip stile E 10, qui a fianco la E 20 , quarta da sinistra. La Camedia C 5060 Wz, terza da sinistra, cui personale archivio digitale di centinaia di miglia formato Jpg è debitrice; Camedia che possono registrare in Tiff e Raw e grazie all’ottimo motore di rendering Jpg. Lo stesso che equipaggia la E1, quinta da sinistra in alto, e che senza altre elaborazioni può ancora oggi andare in stampa offset anch’essa in via di estinzione. Caratteristica unica del panorama fotografico la E 1, oltre la porta Usb, quella Scsi all’epoca super veloce, anch’essa passata a miglior gloria a vantaggio delle odierne Usb 3.0. Il cuore della E 1 fu una joint-venture Olympus Kodak che forniva un buon Ccd ancora oggi sbalorditivo su sensore “piccolo” 4/3 di solo cinque mlioni di pixel.
Flash di sistema e sotostante la seconda unità lampo la “piccola” E 510 che porta in dono l’ottimo Live view, scomodo da usare ma pur sempre utile per inquadrare esattamente la scena ad esempio gli still life. Su la destra sottostante E 3 seconda ammiraglia 4/3 di Olympus dalla linea tozza e ma più “centrata” della E 1. Anch’essa dotata di Live view e deciso passo avanti per l’AF.
Da sinistra in basso seminascosta E P2 e avanti essa la Pen E P5 gioiellino con Lcd ribaltabile che tanto fa comodità simile, e molto meglio del piccolo Lcd della richiamata Camedia C 5060 Wz. Reattiva veloce anche con adattatore: infatti la serie Pen non più con baionetta 4/3 nella versione Micro4/3, accetta e di buon grado le ottiche della E 1-E 3, soprattutto quelle dotate di motore ad ultrasuoni. La Contax in scena tutt’altro che peregrina con adattatore consente sui corpi 4/3 così pure M 4/3 di utilizzare ottiche Zeiss. Cavi e quant’altro sono “incroci” ben riusciti fra mondo analogico e digitale, sia M 4/3 che precedente baionetta nella logica che “niente si butta e tutto si ricicla”


Modelli camera Olympus digital
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Cibachrome (e non chiamatelo Ilfochrome)

Infatti così è passato alla storia (fotografica). Ciba e basta. Correva l’anno 1978 quando con due altri caballeros (fotografi) arrivammo a Mlan’ per il Sicof, così si chiamava il fotocinesalonedituttoedipiù.
Entrata a gratis per i fotografi di Mlan’ ma con noi a far cresta: sto piffero. Tanto facemmo e dicemmo e forse per disperazione altrui entrammo senza scucire un solo dané nella casba. Babele al confronto un giardino diciamo fatato per chi intende.
Breve allo stand di Ilford ci regalarono un borsone color “cacchina” lieve e con dentro tutti i manuali della Casa, e naturalmente del Cibachrome da trattarsi anche chez nous. Solo che i due caballeros si involarono allo stand di Hasselblad…i soliti esibizionisti a la page! Viceversa girammo in solitaria, sai che novità, alla ricerca di qualcosa che somigliasse a vaschetta termostata per il trattamento del Ciba. E lo trovammo, esausti, a fine giornata: mi rifiutai di tornare il giorno seguente in quella bolgia infernale, loro, sempre i caballeros e la Hasselblad! Insomma lor signori si erano mossi per la “svedese” e noi per tutto il resto e pure l’inglese, ecco, Ilford.
La prima serie di Ciba era dannatamente contrastata quella lucida (un filo di poliestere a mo’ di carta da stampa) un po’ meno la millepunti più maneggevole. Esperimentammo la Ciba e con discreti risultati, considerato che il Ciba era il supporto per le dia a muro, o gallerie fotografiche. Una pazzia se si immagina che la dia è già contrastata per costituzione fisica, diciamo così, e accocchiata al Ciba: ma l’arte è arte e va si rispettata! E sì era very nice per le gallerie fottografiche che già all’epoca fottevana alla grande (esempio Lanfranco Colombo Diaframma-Kodak in Via Brera de Milan’) e che digerivano la “plastica” Ciba per il semplice fatto che era carta di lunga conservazione grazie alla sbianca e non come la normale carta colori: si vabbè si fa tardi e per chi vuol sapere c’è Internet apposta. Uffa ai gradi, diceva il piccolo Principe, bisogna proprio dire tutto!
C’erano, tuttavia, dei lab che per la stampa Ciba creavano dal seipersei ai diecidodici (Gastell faceva eccezione con i ventiventicinque!) le “unsharp mask” che abbassavano il contrasto…ah come dite? Unsharp mask in Pshop et simila fa l’esatto contrario? E ben vi sta: fosse rimasta Urbi&Orbi la detta “maschera di contrasto” ok. No gli stramaledetti anglo-sassoni l’esatto contrario: allora atta taccatevi a sto c…ontrasto!
E tra i lab il mitico Graficolor all’epoca in Via della Bufalotta dell’Urbe. Uno degli stampatori filtrava (filtri colore per stampare) ad occhio nudo per stampe alla perfezione, indolenza romanesca a parte! E pure noi, s’è detto, ci provammo: senza testa colore ma inserendo di volta in volta nella “testa” dell’ingranditore o sotto l’obiettivo le gelatine, sempre della Ilford ché quelli di Kodak costavano un botto! Risultati artigianali nel senso autentico (a volte deteriore) di discreta fattura. Immagini a stampa che poi finivano su le riviste patinante e non: mica si poteva mandare in giro gli originali (nostri) seipersei di Zenza Bronica (altro mito). Vero è che i 135 si potevano duplicare a Mlan’ con la Duplicating Kodak, sebbene stramaledette filtrature poiché la pellicola era Tungsteno e bisognava filtrare né più né meno come per la comune stampa colore…eppure con un filtro di conversione (per capirsi la odierna taratura del bianco digitale!) anelli macro ottica Zeiss…casomai la prossima volta e se riesco a recuperare le prove, che stanno da qualche parte dell’archivio!
Man

Ps. La Ilford in seguito mise in commercio la seconda serie di Cibachrome, molto ma molto più morbido del precedente cui chimica andava smaltita in appositi bidoni e reagente per non far saltare, letteralmente, le tubature!




Analogica Era vs. Digitale: ancora?

Non c'è storia che tenga e lo sappiamo. Digitale che consente, quante volte già scritto, di collegare (adesso solo come metafora) in tempo reale (!?) mente-occhio-braccio operativo. Impareggiabile. Tuttavia il “fascino” dell'analogico, visto la moda retro imperante e che s'adda fa p' l'industria del consumismo, è particolare e “anti storico”.
Dunque tolto di mezzo inutile contrapposizione, è altrettanto indubbio che la manualità artigianale dell'analogico fotografico, inteso naturalmente bianconero, ha una sua precipua malia e fermiamoci qui. E tra il revival non poteva mancare il formato che adesso va per la maggiore: seipersei o formato 120 codice Kodak per Hasselblad et simila.
E chiariamo subito che lo scatolotto Hassel, concetto mutuato dalla Rollei altrettanto scatola ma “verticale” non ci ha mai preso più di tanto. E come altre volte scritto abbiamo usato il Panzer Rollei SL66: doppio peso della Hassel ma pari dettaglio marchiato ottiche Zeiss, il top. Ciò detto mentre la Hassel aveva ottiche con otturatore centrale, Rollei l'esatto contrario tranne qualche ibridazione molto malriuscita con otturatore incorporato, forse per i matrimonialisti che però usavano, a ragione, la Hassel ad otturatore centrale irrinunciabile per “alleggerire” le ombre in esterno con il flash.
Otturatore su piano focale in classica “stoffa” la Rollei, sempre di SL66 by Germany, che se guardo lo scatolotto elettronico odierno che ha il fratello con il pallino della fotografia (usa Canon digital) d'antan....siamo su altro pianeta.
Sia come sia l'essenziale è divertirsi, ancora, a prendere foto e con esse riuscire a trasmettere un qualcosa condivisibile anche per altri, esclusi teleguidati e/o minchiapoixellisti onanisti a tutto spiano per la gioia di CaNikon ma pure SonyFujifilm...per chi intende!

Analogico...trapassato

Man fotografo sin dal 1969


Ps. Se ne occupa già l'articolista nel mettere i paletti all'operazione "nostalgia" e già con il costo fuori umana comprensione: con pari spesa e non solo dorso digitale acquistate le miglior full frame accessoriste di ogni cosa utile, o nel caso di pruriti estetizzanti, ecco, una "mezzoformato" digitale Fuji o Pentax



C'è la pausa come nella musica

Il fotografo siciliano Giuseppe Leone dice una sacrosanta verità, che poi manco andrebbe ricordata: pausa. Come di normalissima partitura musicale, così anche in fotografia, altro che “negative space” dei senza iddio a nome Yankee. Naturalmente l’unica cosa negativa è la loro miserrima esistenza in vita, di un popolo una nazione senza storia né passato. Viventi e si fa per dire in loculi a cielo aperto. Yankee che per chissà mai quale “mission” devono insegnare manu militari, però, come fare o non disfare questo e quello, in delirio di onnipotenza che, guarda caso, li sta eliminando dalla faccia della Terra, insieme con tutto l'Occidente fuori di dubbio: ossia noi altri da quest'altra parte dell'Atlantico Oceano a nome europei.
E non paia un pistolotto, tutt’altro. E proprio grazie alla loro solitudine nei loculi a cielo aperto che si ostinano a chiamare Metropolis, invece che cimiteri, nasce la loro mania di “ordinare” in sorta di still life (forse meglio dire natura morta che è meglio) il Mondo. Certo in questo sono aiutati da nani e ballerini, radiofonisti e certe fotografe senz’arte né parte, solo perché intascano soldi da Cia & Mossad, credono essere portatrici di "progetti di libertà” sebbene congegnato nottetempo a tavolino con latomisti neofeudali. E meno male che un Leone c’è: lato traslato figurato e come ve pare!

Giuseppe Leone- Storia, cultura e pellicole

Man

NB. Al minuto 17.00 Leone parla di un “progetto che stiamo portando avanti”. Ora a parte il plurale majestatis, il contenitore grigiocartonato contiene molto di più che le misere quindici fotografie della Gradizzi. E poi tranne gli astanti, cui fa vedere le fotografie si lì prodotte, non ci pare di cogliere nelle parole dell'autore Leone una sorta di “rilascio stampa” di quanto in itinere sta fotografando: vedete? Ne consegue la giustezza di quanto venivamo dicendo circa il fatto che la Gradizzi ( istruita nottetempo?) serve all'operazione “Donne del Sufismo” per tutto tranne che per scopi “culturali”

Ps. Di Giuseppe Leone abbiamo apprezzato, e tentato di emulare il suo splendido libro "Noto città Barocco", quando proponemmo alla Electa oggi Mondadori editrice, in occasione del Bimillenario oraziano...in Kodachrome64 e Fp4 Ilford, non con Leica bensi Contax Rts e ottiche Zeiss: sic transit gloria mundi!



Eccola qua un'altra giubilata dall'Era analogica: Yashica FX-3 dalla meccanica robusta e senza dipendenza da batterie e scatto più morbido (!) della Contax Rts**. Insomma è un piacere brandeggiarla ancora e sue ottiche, il classico terzetto: 50-24-135 dotazione “standard” al netto di un pesante Zeiss 200 mm poco usato e altrettanto 35 millimetri decentrabile, che al confronto degli shift CaNikon d'una tenerezza...
E della triade il più usato l'immarcescibile 24, gran pezzo di vetro e anche secondo Test Mtf, sempre ad f 8 e, poiché usato all'esterno così le immagine delle migliaia l'archivio analogico dimostra, raramente a muover fuoco data l'elevata profondità di campo prerogativa delle ottiche grandangolari. Infine il 135 vetro senza pregio alcuno ma che tuttavia ha fatto il suo mestiere egregiamente

Man


** Contax Rts

Yashica vs Zeiss




Una di quelle sfide che pare perse già in partenza, eppure non è così. Infatti è questione di “cosa” si misura: patate cipolle ravanelli…o lenti. Vabbene Zeiss è sin troppo noto per chiunque, fanno la réclame delle lenti per occhiali su le televisioni…Certo le nuove leve, già, che se gli levi lo smartphone, si buona notte!
RTS Contax e serie FR Yashica I e II tanto per cominciare. Anni Ottanta del secolo “breve”. O dell’Asse Sino-Germanico meno drammatico, ecco, di quell’altra ante Hiroshima e Nagasaki per intendere.
Insomma di Contax conosciamo vite&opere, figurarsi delle ottiche Zeiss. Planar Tessar...e via così.
Viceversa la Yashica, si parla di Era analogica, aveva una joint venture con i tedeschi, quindi poteva montare anche le blasonate ottiche Zeiss. O per dirla non infrequente (chi scrive) che su le Fr dal nome frusciante, trovava posto ad esempio il Planar 50 mm, e su la Rts l’ottimo 24 mm Yashica, ma…Cosa accade a “vecchi” fotografi che dell’indiscussa supremazia Zeiss ne fanno vanto poiché (usavano) su la Rolleiflex biottica lente Zeiss?
Siché preso il cavalletto Linhof che va benne per palestrate performance…sopra la Rts caricata con Agfapan 25 da tirarci i 50x60 centimetri al bacio, che il gioco è semplice. E alternando l’uno e sette Planar vs lo Yashica equivalente cinquanta millimetri, soltanto a quell’ingrandimento si vide la differenza fra lente germanica (costruita in Giappone, eh!) e il Sino vetro. Abissale? No assolutamente niente di tutto questo, la prova dell’ingrandimento, fatto sul mostruoso 139 Durst a luce “fredda” cosiddetta ché la lampada utilizzava terre rare e di colore blu intenso di una morbidezza unica. In definitiva fu come trovare l’ago nel pagliaio e ben oltre il pelo nel solito uovo. Tant’è vero che sul formato trenta per quaranta, limite massimo del formato 135 o Leica che dir si voglia, era ed è molto difficile vederne differenze tra lenti, anche perché la grana, poi, della pellicola come nel cinquanta per sessanta gioca non poco ruolo, ma è altra storia maledettamente complicata, tipica dell’Era anaologica!

Man


Contax RTS vs Yashica FX-3

YASHICA FR + YASHICA ML 50 1.4

24/2.8 ML - Un ottimo obiettivo che ancora oggi merita di essere acquistato. La resa globale è allineata a quella dei migliori obiettivi della concorrenza con in più un contrasto ed una resa cromatica davvero notevoli
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