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Repertorio stock delle carte Manunzio utilizzate da un decennio e più, tanti gli anni trascorsi a trafficare con stampa e stampanti inkjet, e le Awagami eccelsi supporti giappones (destra immagine con provino-test di stampa). E ogni superficie di brand un modo tutto specifico di scrivere, con gli inchiostri, marcare quanto mai appropriato, un territorio: la superficie. E gocce ink, mille sfumature che siano colori o più ancora bianconero, anche quando c’è da combattere con le carte “martellate” Arches (destra immagine, verde copertina) non trattate, sebbene poi quasi vi riescono paro paro le neo Canson-Arches (retrostante pack a sinistra immagine) brand veramente notevole. E non si dice, a prestito H.C. Bresson, che testa-cuore-occhio, qui supporto, stanno/dovrebbero su lo stesso asse per dire ciò che s’intende, trasmettere quel quid energetico al cosiddetto troppo di sovente acefalo prossimo?



Traslitterazione ancora una e...più

Qualsiasi pezzo di carta, diciamo per capirsi, suscita un certo entusiasmo nello scarabocchiarvi sopra (un tempo lontano) o mo’ come mo’ stamparvi via inkjet questa e quella immagine. Si, vero qui c’è un abisso fra chi scrive e il resto dei cosiddetti, pensa te, fottografi (raddoppio parce que noblesse oblige). Questi figuri morti dentro, clicchete clichete, riprendono il circondario semmai con l’ultimo modello Sony, squallido e cadaverico brand(y) in ogni accezione del termine, o del caso l’ultimo (fine finalmente?) modello di iPhone o Samsug equivalente. E i “fail” che ne resta? Un beato c...ippone di legno come le teste dei richiamati. Capirete che per chi viene dai gloriosi giorni della camera oscura analogica pendant inscindibile: sì, si ci sono e tutt’ora teorici a salve (anche un nostro amico 'nbriaco fracico da mattina a sera) che pontificano sul fatto che la stampa è altra cosa dal negativo, sempre analogico. Disputa del sesso degli angeli o dell’intellettualizzazione del aria, di quei tipi tristi, ecco, pure quando ridono se mai vi riescono. Ma non è il caso se non parlare di carte da stampa. E diciamo subito: una Vandea di tutto di più come il binomio Hahnemühle-Canson. E se tanto mi da tanto nel novero, tuttavia, c’è da mettere Ilford gloriosa come un dì la sua Galerie e l’altrettanto buona Ilfobrom in scatoloni da mille pezzi formato dieciquindici che stampavamo per i clienti dell’allora Foto-Lampo detta pure AGL (Agenzia Giornalistica Lampo citata altre volte). Diciamo, scriviamo quel che sappiamo in corpore vili, ecco, e non de relato casomai via Web delle mirabilia.
Sia come sia carte che restituiscono l’idea aerea (virtuale?) dei “fail”. Sentirne il peso, proprio così: anzi provatevi a scuotere, cosa che facciamo spesso, le carte che è un piacere vibrazionale. Vibrazione Odifreddi cinico zombie matematico, vibrazioni non già numeri che sa dove metterseli!
Vibrazioni tattile e perché no: olfattive. Sì. E last but not least un modo per intrappolare un momento e renderlo eterno, si vabbè, e trasmetterlo al posteriore: o era ai posteri?


Ps. Lungi dal fare l’artista da quattro soldi, di quei conversi più che su la strada di Damasco, eh Paolo di Tarso furbo di tre cotte, fine dicitore inventore del cosiddetto cristianesimo, nonché munifica e remunerata Arte con tanto di sigillo (666 biblico?) Digigraphie, l’incorniciata immagine di frame (cover in alto) acquistata da un Bricofer qualsiasi, dà l’esatta dimensione, non certo fisica, di cosa l'immagine sia, dovrebbe. La traslitterazione CansonArches messa sotto vetro, meglio plexiglas, suona decisamente forse troppo paesaggistica e poco rispondente a ciò che s’intende suscitare nello spectator: sì, quell'imbecille di Roland Barthes intelletualizzatore dell’aria calda fritta o come vi pare. Tant’è vero che una seconda stampa, s’intravvede, sottostante l’incorniciata, meglio s’avvicina all’idea ma che tuttavia sotto vetro non regge. Morale anche la cornice vuole la sua. E meno male che le fotografie, diversa + mente, da quadri ed affini non bisognano di cornici barocche; anzi, queste, più lo sono e più piace alla gente che piace così il jingle dell’allora 126 Fiat, tanto che per soggetto, pure un topo morto (dixit Ando Gilardi sul numero di Progresso Fotografico Luglio-Agosto 1990 pg.27, cazzeggiandomi a mezzo reply di un fatto realmente accaduto a Napoli, però, al critico Lanfranco Colombo in quel di Milano; gallerista della primigenia Canon Diaframma poi Kodak, privata galleria interamente dedicata alla fotografia, senza raddoppio, mica fottografia della Milano da bere formato Mia Fair d’ora in poi in liaison, e nuova Dea Madre direttrice, con Parma Fiera) si mostrerebbe nel suo splendore, di chiavica, o fogna lingua ‘taliana





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