Manunzio





Il richiamo della Foresta
O che tu dici? Toscanaccio baffiforme come certe immagini (non imbiancate dal tempo) di Carabinieri d’antan, a prendere il poro Pinocchio di Collodi memoria, Dio bonino.
Richiamo che è na sirena e va dritt’ dritt’ al cuore e delle cose non mercificate LGBT+: camera oscura “trasmutazione” alchemica (siamo massoni inconsapevoli, ecco) della materia. Vero o men che sia la camera oscura, tanto “scienza” quanto e soprattutto “artigianato” amanuense, è un altra dimensione, diciamo, spazio-tempo. Sì, certo poi i soliti gallerioti con benda all’occhio, non quello di Horus mi raccomando, auto-prezzolati certo eterodiretti da Capo Bastone o Loggia, o due al prezzo di uno (!) le cose marciano così, dietro compenso rizzano (certi curatori e culattoni) agli oneri della cronaca internazionale; cumpariello meglio cumpariella di sti tempi della Dea Madre (Zoccolata e Zolfanel altro che Chanel fetore) fotografo, cui certe maîtresse da giornali “femminili” reubblic + ano per chi intende delinea artista-fotografo: soldi e vai alla cassa di mostre et simila! Oh e iniziano tutti e due, bastone/loggia, con M come la Mamma...un tempo molto andato o forse mai su le bande incrociate bretelle bianco e calzoncini e/o blusette i Balilla, sì, ma di Mussolini: Eja Eja alalà pesce fritto e baccalà!

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L’immagine di Pinna (a destra) è del 1952 presa con Rolleiflex durante i festeggiamenti della Madonna di Pierno, Santuario importante tant’è che prima di entravi bisogna percorrere e per tre volte l’intero perimetro sacro. Pierno (indagata da De Martno ed altri della sua equipe in pari epoca, la località in Provincia di Potenza) dove un tempo e adesso non sapremmo della cosa, si svolgeva il Rito e in certo senso apotropaico lungo a dirsi; rituale che affonda, naturalmente, nei precedenti secoli pre-cristiani, infatti, tutti luoghi detti antichi, come in staffetta, assurgono poi a luoghi sacri del cristianesimo che “ricicla” solo (soltanto?) le apparenze pagane



Un rovello che non trovava requie
E cosa? Lo spot di Alce Nero girato in superbo bianconero (via Premiere o DaVinci Resolve) e la camera mostra un bimbo al seno succhiare, poi allargando il campo la giovane mamma, che seduta sorseggia bevanda del Brand.
Ora sento già più che ‘mbé di rito il beeee-lare degli eterodiretti minchiapixellisti (mettiamoci pure Munari: salve, come va?) senza passato presente e figurasi futuro: zombie.
Sicché pensando al breve ma intenso spot la mente richiama analoga inquadratura ma del fotografo Franco Pinna, già di De Martino l’antropologo socialisteggiante che all’indomani della persa guerra seconda mondiale, forse anche su la scorta del famoso libro-inchiesta-autobiografico Cristo si è Fermato ad Eboli di Levi memoria, va al Sud "arretrato" di Lucania/Basilicata. Fotografo in seguito su i set di Fellini e amico di quell’altro “felliniano” Tazio Secchiaroli, fotografo paparazzo, conosciuto durante un workshop analogico su la Riviera del Conero nelle Marche.
Ma il ricordo è na brutta bestia e l’immagine di confronto (Pinna) dove sarà mai? La monografia, sfogliata dalla libreria su in alto sovrastante il computer cui si scrive e già di malavoglia, non ne fa presa. Allora? Giro per Web: manc’ pa capa venire a capo! E allora giorni e giorni fino alla “lampadina” finale: Archivio Pinna. E scrivo, e mi rispondo, e sfoglio e non trovo incazzato nerissimo. Riscrivo, mi rispondo: guardi che così e così. Vero eccola lì l’immagine, santi numi!
Nulla altro da dire...vostro onore. Fiuuu è andata pure sta vorta 'bbona grazie alla proverbiale capa (!?) tosta di Manunzio

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La realtà del cinema nel suo farsi tra Federico Fellini e Franco Pinna
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Il fascino discreto del banco ottico
(disciplina e forma mentis essenziale)



Quando venivano (clienti) per fototessere...sì, interno lo Scalo Inferiore ex Ferrovie (reali) dello Stato, qui in questa umida landa di lampi e tuoni mentre scriviamo, uno scatolone consentiva già d’ auto-fotografarsi, e dopo pochi minuti (tre) la striscia di quattro (1+3 per i grembiulini all’ascolto pruriginoso) pronte tessere per documenti d’identità. Certo dal fotografo avevi un lavoro fatto a mestiere (arte) più “levigato” di matite e mattolina.
Sia come sia era la piroettante 6 x 9 Fatif su colonna, appunto, per fototessere. Colonna con saliscendi a filo via pomello, cui asse orizzontale era la fotocamera, tutt’altro semplice da usare. L’immagine, infatti, come da camera oscura scolastica (sottosopra per leggi fisiche per ovviarvi in uso e negli studi à la page di Milano un visore a specchio, quarantacinque gradi, capovolgeva la scena pur con lati invertit sinistra destra) bisognava d’essere mossa, su ruote sottostanti colonna, focheggiata (senza autofocus) e sul vetro smerigliato (niente mirroless FF o trequarti e na gazzosa) quadrettato per guida, in basso a capa sott’ (in giù) vi avevamo disegnato apposta la sagoma per “inquadrare” il soggettone uso dire, un dì, per cliente. Poi? Beh si caricava lo châssis al buio completo; una tacca su pellicola Ilford, Ferrania o Agfapan a sto punto non ricordiamo più, per i bordi si lasciava scivolare in scanalatura ad hoc, mentre in luce il resto della ripresa.
Vero al buio tutto è difficile e gli “occhi” sono le mani/tatto. Senonché un nostro amico, fotografo dell’Antichità sottostazione, così detta l’allora, Ministero della Pubblica Istruzione ché I Beni Culturali o pomposamente al corrente della Cultura (!?) senza mitico oltralpe Jack Lang verrà, ad opera del Senatore Spadolini nel millenocentosettantaquattro, il distacco definitivo dalla Pubblica Istruzione, e trasmutato in Beni Culturali tout court.
Ebbene il nostro veniva a trovarci, armato di Leicaflex ché la classe n'est pas de l'eau (!) il flash monotorcia grigio lieve Rollei, e rare volte con Rolleiflex. Viceversa chez-lui ministeriale Hasselblad e luci elettriche; i flash Bowens chiesti con insistenza dal suo assistente arriveranno agli inizi degli Ottanta, fra rimostranze di Pippo, questo era il suo nome, che guardava come “americanate” il tutto, sebbene funzionassero e bene.
Dunque, Pippo qualche volta si prestava a la posa, d’altronde era di casa o liaison con FotoBaffo, alias Rocco Abriola alias FotoLampo già ricordato altrove, simil Publifoto di Carrese memoria in Milano. Pippo, allora, entrava in camera oscura e ci stava tempo, tanto quanto a smontare alla lettera lo châssis, pezzo a pezzo, caricare la pellicola e, finalmente, novello Lazzaro venire di nuovo alla luce. Oh l'avessimo provato a fare noi “ragazzi di bottega” si sarebbero sentite le campane della circonvicina Chiesa S. Michele on main-street a coprire la “litania” di rimbrotti, termine pulitissimo e in lingua ‘taliana, lontana miglia e miglia...
Banco ottico e non solo per fototessere, l’usavamo anche, visto il soffietto estensibile oltre misura, per riproduzioni in un angolo dello studio su bacheca. Sicché l’ incombenza spettava a chi scrive e non altri, ché avevamo fatto callo e occhio, allo sviluppo negativo in base a matrimonio, ritratto eccetera. E di sti tempi con pioggia gelo e freddo il “bagno” (please not translate toilette or wc) di Dk-50 Kodak in vasche verticali di famigerati trentacinque litri (rigenero una volta ogni tanto aggiungendovi altro bagno più contrastato, Dekotol per carta fotografica, però) standard dell’epoca. Vasconi in bachelite rinforzata. Tempo di sviluppo s’aggirava per un ora causa freddo anzidetto (niente termostato se non...un’altra volta). E infine l’unico dello studio “abilitato” nel frattempo ad andarmene (la moglie brutta ed arcigna del Baffo, l’aveva sposata per la ricchissima dote, ma riempita di corne, ci provava, querula, a trattenermi) in giro per il centro cittadino. Scaduta infine l’ora, altri “canonici” quindici minuti di fissaggio senza bagno intermedio d’acqua e/o acido acetico, usato solo e soltanto durante la stampa; puzzo insopportabile di aceto!
E di banco ottico un po’ strano venne la Technika Linhof trediciperdiciotto a fotografare, tra l’altro, i “lucidi” disegni tecnici piante edifici e sezioni per conto, all’epoca, Soprintendenza Beni Paesaggistici e Architettonici in loco.
Infine, Cambo acquisto personale, formato novedodici. Tutto questa lunga promenade, ecco, mentre in giro per il web delle mirabilia si vedono e leggono di “triadi espositive” rumore “grana” che cacciata dalla porta rientra dalla finestra di plug-in emulazione della grana (!) che “gradiscono” i gallerioti con benda su occhio, non quello di Horus sinistro, gamba di legno di filibusteria e LGBT+ a corredo: culattoni come curatori.
E dinamismo di gamma, no? E “taglio” lenti ma che non devono tagliare alcunché se si gira, emulando, la pellicola analogica. Fotografia è una cosa, cine-video altra, quando si usavano i Cooke lens.
A noi vien da sorridere, dall’altro l’inverso a vedere, questo sì, il pollaio di parvenu si raccomanda certi pontefici napulitani e street photography oi né che scrivono baggianate a man salva, su “forum” o quelle cose che bisognano di “campanelle” per essere avvisati di altre baggianate; like sennò a sti pover’ marann’ finti benché imbonitori de facto così campan’ e tengono famiglia. Consigli per gli acquisti...va!

NB. Americani, pensa che ti ripensa, trovano il tempo (vedi link sottostante) di costruire cose fuori tempo: camere (convertibili pure ingranditori!) da banco o fascino e réclame della Giostra, che gli frega di trovarsi in Era digital, del bianconero e camera oscura...E pecunia non olet! Degno di nota l’ibridazione “plastica” via stampa 3D di banchi ottici di sti guagliune

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https://intrepidcamera.co.uk/collections/camera?syclid=clgqhtu5ji7s738d9ukg&utm_campaign=emailmarketing_148971421936&utm_medium=email&utm_source=shopify_email

https://it.wikipedia.org/wiki/Linhof




Chi offre di più? Uno

Banditore d’asta così chiede alla sala di gente à la page, qui, di apparecchi fotografici d’antan. E lo vedete voi? Siamo all’oggetto per l’oggetto: gingillo/ninnolo/knick-knack che in mano ai collezionisti (sempre sadico-anale secondo le scempiaggini del già psicopatico mitteleuropeo ebreo talmudico represso Freud?) ci sta. Possesso con eventuale retro-pensiero: mo’ l’accatta (acheter/to buy) po’ la rivendo, qui macchina fotografica...Fatterelli che, tuttavia, nulla sparte con la pratica fotografica tutto tondo, anche se si chiama, guarda un po’, Leica. A telemetro e pure a pellicola per il club degli amici degli amici, quei cumparielli e sodale Munari a complemento che vogliono l’eradicazione del genere umano, sott’occhi squisito esempio dei talmudici ebrei vs palestinesi, in diretta streaming.
Uomini costoro del Libro (manco i cani fotocopia cattolici e musulmani) per “normare” il terraqueo, medievale caccia alla volpe e robot qui e lì, ventiquattr’ore su ventiquattro, a far da silenti (!?) servi fino al giorno in cui...e noi non ci saremo a sbellicarci dalle risa!
E il sermone è giunto alla fine: tutto il “resto è noia” cantava il “califfo” con ventre pieno e...palle scariche per chi intende!





Storie di carta (fotografica)
Certo si fa presto a dire “carta” agli alogenuri d'argento or english silver halide. Carta che subito viene in mente il classico A4 o poco più. Sennonché solo a ricordare Ilford, che all’epoca dei fatti ne aveva di carta in due linee: leggera appunto e cartoncino più consistente Ilfobrome, no niente Galerie. E pure la germanica Agfa aveva di quei fogli, qui in tutto e per tutto il richiamato A4 e superiore pensati, anzitutto, per copie di microfilm d’archivio per studiosi.
Sia come sia qui la “storia” meglio le storie come gocce d’acqua e infine oceani, la scrive il vincitore di turno, e i babbei si accodano supini o a novanta gradi.
Sfoglio metaforicamente in caso di specie il “nemico” sebbene stesso condominio a nome Vecchio Continente, russo tanto ma tanto cattivo e ferocissimo che ha, hic et nunc, vinto anche un altra guerra patriottica: prima contro il Piccolo caporale blasé scornato alla Beresina, poi il duo fantastico Adolfo e Benito, scornato a Stalingrad e l’altro sul Don. E allora non si deve dire tant’è che è scomparso da tutta la Stampa & Regime: Ucraina cosa sennò? Scornato Occidente o l’Armada invincibile!
E sempre di guerra qui il caso e dell’Armata Rossa: Berlino...bandiera rossa che trionferà, questa è altra musica Manunzio, sia serio! Reichstag finale dell’Adolfo (che ricostruzioni recenti, soliti revisionisti a pagamento o fatti veri non più rimandabili, vogliono fuggito a bordo d’uno di quei terribili U-Boot per il Sud America, o finanche certe fantasie al Polo Sud, sì, quelle cose dell’Ammiraglio americano Bird: nomen omen e non la finiamo più). Insomma le tessere del puzzle della “storia” le virgolette almeno queste necessarie che si incastrava scolastiche “perfezione” mostra, ora manco un secolo dopo, time is money no, tutta la colla per tenerlo unito al resto del collage, ecco.
Berlino dunque. Fotografie della bandiera rossa sul Reichstag falsa come l’oro di Bologna, usava una volta dire l’odierno fake news. Tutta na montatura di propaganda, sai la novità che destra e nel caso sinistra pari sono! Sennonché si vede chiaro che (cover) la foto il soldato (basso a destra) portare al polso, sinistro e destro due orologi, tipico di ogni guerra di rapina! E non stava bene far vedere al terraqueo che i russi sono “rapinatori” di morti e non già brava gente...




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https://it.rbth.com/storia/83385-perché-la-foto-con-la-bandiera


Non c’era ancora l’AI...

https://www.ilpost.it/2016/05/04/foto-iwo-jima/

https://time.com/5788381/iwo-jima-photo/


Le dieci migliori fotografie della Seconda guerra mondiale di Dmitrij Baltermants e soprattutto l’impossibile “Lutto” che non è una foto bensì una stupenda e stellare “messinscena”

https://it.rbth.com/storia/88356-le-dieci-migliori-fotografie


Ps. Guarda tu certe combinazioni, immagine sovrastante, nelle mani del fotografo russo Evgenij Khaldej, Berlino taroccato, e in altra mano il cartoncino fotografico di Iwo Jiima non da meno: falsi ambedue o dalla serie “arrivano i nostri”. Messinscena per beoti planetari. L'acqua è poca e la "papera" non galleggia più






Leica Madonna non finisce più
Ora mettiamola così: Leica mi sta sul c...abassiso destro mentre l’altro è appannaggio di Sony. Vabbene se non ci fosse stato (!?) Solms-Wetzlar-Oskar Barnack, che gli venisse un accidente, non saremmo qui. Immagine, immaginazione immaginifico, figura, apparenza, parvenza, sembianza, copia, visione, personificazione, figura, simbolo, aspetto, esteriorità, look, impressione, facciata tutto un programma dei soliti Babilonesi - lunga storia quanta l’umana genia e non si può, oltretutto s'incavolerebbero i cumparielli della Stella di David e, certuni si capisce ché non si fa di un erba un fascio...littorio vedasi Zelensky per chi capisce e non fa lo gnorri – e non si può compendiare la storia con maiuscolo o meno a voi la scelta.
Ah dimenticavo Sony la perfetta camera senz’anima ma che tanto piace agli altrettanti privi di essenza vitale: cadavere per cadaveri su le ceneri della mitica Minolta, che gli venga un doppio accidente pure a questi sonysti. Fine.
Sia come sia la nuova incarnazione di Leica M11 P, porta in dote oltre l’allure di tempi andati (si augura non tornino più per tanti e troppi motivi, ma che è lontana mille leghe dagli eterodiretti compari stipendiati del Cancel Culture!) una feature inutile, o della “certificazione” la firma del file unico ed irripetibile: Leica ma ci pigli per culo? Tedeschi inventori, che vi venga un altro colpo e tre, dai tre colori identitaria che è tutto un programma flag (funebre) possibile mai? Lo statuto della fotografia analogica e corrente digital fottografia, scritto così, è la moltiplicazione dei pani e dei pesci (riportato più unico che raro da tutti e quattro Evangelisti e quanto mai parabola calzante assai) in più esemplari: negativo un dì e oggi ad libitum file digitale per il possesso, la sostanza, dell’Unicum. Un quadro via, alla stessa stregua. Unico e c’è l’ho solo io (senza scomodare W. Benjamin e sua "Storia Arte nell'epoca della riproducibilità meccanica). Baggianate non foss’altro che, se in epoca analogica non c’è mai stato una cassaforte (lato traslato) che non fosse scassinabile, immaginate quattro numeri binari…
Infine ancora un richiamo dal Maledetto Libro dell'’ Occidente tutto a base giudaico-cristiano-greco-romano:

“Et datum est illi ut daret spiritum imagini bestiæ ut et loquatur imago bestiæ et faciat quicumque non adoraverint imaginem bestiæ occidantur et faciet omnes pusillos et magnos et divites et pauperes et liberos et servos habere caracter in dextera manu aut in frontibus suis et ne quis possit emere aut vendere nisi qui habet caracter nomen bestiæ aut numerum nominis ejus.
Hic sapientia est qui habet intellectum conputet numerum bestiæ numerus enim hominis est et numerus ejus est sescenti sexaginta sex". Apocalisse 13, 16.18

La Fotografia e digital corrente è altra cosa

...il discorso autenticità nell'era dell'informatica è un po' relativo, tempozero si potrà aggirare...
https://www.juzaphoto.com/topic2.php?l=it&t=4652133

Ps1 Siamo aldilà, scritto così in ossequio al passo latino sovrastante, d’ogni cosa visibile ed invisibile preso anche questo da un passo e del Celebrante durante il Rito eucaristico a sottolineare che non c’è più NULLA tranne, ancora per poco, la Giostra degli (ultimi) acquisti prima che cali e per la terza volta il sipario su l’Umanità, tutta anche per i topi che si rifugeranno in bunker antiatomici. Amen

Ps2 “Leica inventa la fotocamera contro le fake news” (trovatevi il link) che detta da la Repubblica detentore insieme a Mentina La7/Open di Stampa & Regime della Verità fa ride a crepapelle: che dire? Il bue chiama cornuto l’asino!

Ps3 Per chi va in Rete tutti i corifei prezzolati osannano tra fumi d’oppio più che incenso la new entry Leica per il controllo subatomico di ogni essere (senziente?)questa la posta: controllo e nient'altro come se non bastasse già Google, Facebook, X ex Twitter i telefonini tracciati, carte di credito...





Immagine © Archivo Fratelli Alinari


Un mondo
Era una volta la lingua italiana: offrire il destro (braccio) per cogliere il pretesto, qui d'immagine trovata, a caso, su la Rete.
Il brusio degli astanti “è arrivato il ritrattore” materializza, su la soglia di casa, la silhouette del fotografo in abiti da cerimonia. E non si sa se il giorno del si, matrimonio che di lì a breve immortalerà, sia la figura più importante ed elegante del resto; sottotraccia la tensione percorre i futuri sposi, anche perché a lui è demandata la memoria visiva del fausto evento, formato album, che oggi è sostituito da telefonini usa e getta. Fotografie, pattuite da tempo con caparra, in bianconero trediciperdicotto per “sparagnà” qualche soldo, diciotto per ventiquattro per chi gode di certo status e, approfittando dell’evento, mostrare agli altri (l'album fotografico poi come edicole votive richiudibile girava di casa in casa) il suo “avanzamento” sociale, per di più posto fisso in questo o quell’Ente, Anni Sessanta del Novecento.
Si veniva scaricati (non eravamo patentati ché squattrinati dal patron dello studio fotografico nelle masserie più sperdute, piccoli paesi; vigeva allora la regola non scritta ma concordata in “assemblea” di categoria per la spartizione, zona d’influenza, luoghi di “conquista” cui si ricavava rendita dalle cerimonie tout court, come più o meno usanza medievale grazie soprattutto al compare locale, iscritto in una più vasta rete familiare e di compari San Giovanni; sensale, factotum, in accordo con il fotografo vi ricavava “ringraziamento” formato cartamoneta, o servigi di varia natura, patrocinato sempre dal patron lo studio fotografico, nel Capoluogo: visure catastali, ricette mediche e simila per sé e la rete di amici e famigli del clan) già di buon mattino quando tutt’intorno sembrava ed era la camerata allo squillo della tromba: chi di qui chi di là, mezzo calzati e vestiti usava dire. Un vai e vieni discretamente spaesato. E la “capera” al solito che tarda ad arrivare e preoccupazione. Tutto il tramestio avveniva fra mura domestiche della sposa, figura preminente dell’evento.
Frammisto a profumi di toilette, aleggiava per la masseria, casolare, altrettanto aroma di cucina con i suoi addetti, scelti fra le migliori della zona o da altre convicine e rinomate per preparare il pranzo nuziale, da lasciare con tanto di occhi di meraviglia, e panze piene all’inverosimile: ‘ann gì cu li man’ p’ ‘nderra. Tanto venivano “riempiti” gli invitati da tornarsene, poi, nelle proprie abitazioni satolli, sazi e pieni da "strisciare" su le ginocchia, il massimo dell’ospitalità. Crepi l’avarizia almeno quel giorno!
Nella borsa (da stadio, baule enorme) del fotografo, tra rullini 120 Agfapan bianconero, Rollei biottica doppia si sa mai, e Metz gemelli per ogni evenienza, controllato e verificato con maniacale fare il giorno prima dell’evento, trova posto finanche il bouquet per la sposa, “pensierino” da parte dello “studio fotografico” e sornione compare di San Giovanni lì presente, a sottolineare…
La mattina si presenta già calda, afosa, il sole fa la sua, ma il Metz/Multiblitz flash montato su staffa alla Rollei, e lì proprio per il fill-in ed evitare ombre sui volti (s'immagini il lieve candore della sposa e l’abbronzatura, ecco, dello sposo-zappatore e quand'altri più bianconero di così!) soprattutto all’aperto.
Il corteo finalmente avanza tra ali di folla dei paesani. Una processione elegante. Si, a volte le macchine (auto anche a nolo) sono indispensabili per il tragitto verso la Chiesa Madre, e tanto per sottolineare l’importanza del giorno e l’evento; più sovente è un procedere lento (anche troppo) del corteo con la sposa in abito bianchissimo e poco strascico (mica quei filmati bianconero Rai di regine, nobili e parvenu, spose dagli strascichi chilometrici e paggi scoglionati per la cosa!).
La sposa al braccio del babbo, del fratello nel caso avverso, finanche zio diretto muove verso destinazione. E l’ora dello scampanio e l’ingresso in chiesa addobbato lungo navate. E poi...lo sposo che prende in “carico” la sposa e…Fleshate si susseguono: scambio anelli, rituale della firma da non mancare per nessuna ragione è per questo il doppio corpo Rollei: una raffica non motorizzata ma meditata al momento giusto.
L’usciata fra scampanio, un’altra, e riso su gli sposi. Riso? Una pioggia torrenziale pure pericoloso ché era d’uso menare manciate su i poveri sposi, chini la testa a protezione del riso e “confetti” e monete auguranti, ma contundenti non poco!
Flash a seguire, manovella della Rollei un giro avanti uno dietro per “armare” l’otturatore e spingere in avanti la pellicola d’un altro fotogramma.
La sala, l’ammuina da stadio, bambini a rincorrere su l’acciottolato ancora confetti e monete; l’ingresso degli sposi con “brinns’” in coppe di metallo poi vetro pretenzioso. Tutto fra mura domestiche, tutto al più di “ristoranti” bardati, o en plein air di masseria tirata a "specchio" come non mai. Così lo sposalizio dello zio da somigliare a quei festini all’aperto stile “’mericano” come se ne vedono negli odierni schermi televisivi, a puntate, da Dallas in poi.
A sera (notte!) mezzo distrutto per il giorno, eccoti pimpante il patron azzimato ed impomatato da paura, mellifluo avvicinarsi agli sposi per i convenevoli del caso, sotto lo sguardo, a latere, del compare di San Giovanni, e rituale: “A posto?” e rimando “Si, tutt’apposto!” draconiane parole. Saluti, infine pacche su la spalla a questo e quello, infilato la macchina il fotografo di lato con il patron giusto due battute e il sonno cala inesorabile, così sino al Capoluogo. Domani è un altro giorno con sviluppo dei negativi, poi la stampa...



Ps. Tutti i giorni venivano dalla provincia ‘ncapa a lu monn’” le seicento multiple, millecento fiammanti d’autisti noleggiatori, portavano gente per i servizi più vari e disparati da sbrigare ne Capoluogo lucano. Un’avventura che si leggeva sui volti dei “forastieri” fra l'incredulo e spaurito come certi passi di Lauzi, Genova per noi.
Non c’erano liste nozze, sicché ogni regalo era per di più pensato per “praticità”. Si, i parenti più stretti chiedevano cosa abbisognasse gli sposi, per il resto si è detto.
Capera/pettinatrice/parrucchiera a domicilio la donna esperta per “aggiustare messa in piega” della sposa e della mamma, zie e…
Ritrattore con voce guttural-sguaiata sta per ritrattista fotografo






Vexata quaestio, ya, Fräulein Munari & Co. E si perché quando esci dall'urbs/street (extra moenia nulla salus?) e ci provi a fotografare...come chiami allora il davanti: cartolina, nein, reportage geographic style National? Nein. Travel? Oh ya wunderbar.
E vada per travel tanto per non fare il Manunzio quotidiano e inchiodare i minchiapixellisti che devono pure inventarsi, storpiando nomi nel barbaro inglese, qualcosa altrimenti la Giostra degli acquisti tout court s'incazza e di brutto. E i nomi, diciamo così, è Potere. Travel da travailler, altro che old english! e fermiamoci qui.
Travel, dunque. E di un luogo cui fatti tengo a tenermi lontano se non per le cose da presso. Arco riflesso, luogo comune dei soliti imbecilli tutti di andata e di ritorno, si mischierebbero nella solita “casella-pensiero” e buona notte ai suonatori.
Mi chiamò il Responsabile all'epoca EPT poi lestamente trasmutato alchemicamente secondo canone dei grembiulini (salve, come va?) in Azienda Turismo Basilicata, che noi vecchi nostalgici e filologico dire: Lucania. Nomen omen, qualche tempo fa.
Breve mi si chiedeva una veloce pubblicazione su Aliano, e non aggiungo altro e vedi sopra anzidetto, per i “camerati” germanici. Tourist für immer.
Ora dovete sapere che ogni volta che Manunzio provasse per una qualche pubblicazione “turistica” eh avessi voglia a filosofeggiare, ché il richiamato responsabile...sembrava un simposio fra Manunzio, lui, e cerchia di impiegati dell'APT, appunto. Si cominciava d'estate e si finiva a chiacchiere sine die; non vi dico per il calendario cui “discussione” iniziava in primavera e finiva, stampato a gennaio successivo. E d'altronde una volta l'anno iniziava a Marzo!
Caricate le Contax, 139 Quartz e RTS che ancora oggi, cinquant'anni dopo, funziona ancora (!) ed in una la EPR-64 Kodak slide, nell'altra AGFA Scala 200 e via verso la Valle dell'Agri di stupendi paesaggi e valle e acque...poi a salire che sembra una mulattiera verso Aliano, in Provincia di Matera, le nostre “Colonne d'Ercole” lungo a dirsi e non oltrepassabile.
Click di qua e click di là, al solito Manunzio non lesina su gli scatti: una decina di rotoli 135 pari a trecentosessanta immagini una enormità in era analogica e di solo colore, non vi dico la mitica Scala, di nome e di fatto d'armoniche note. E finiamo qui la prima parte


A latere nel riquadro il colophon segnato in rosso Manunzio/Michele Annunziata, ché non riferisce e fotografa “de relato” per chi intende





Archivi? Pare vero e proprio no sense nel corrente mondo , dove tutto (immagini suoni breve clip segnatamente) sta su un telefonino non già, appunto, stampate immagini in album e/o cassetti più o meno nobili d’archivio, o cassettiere domestiche d’antan. Storie senza maiuscola dei soliti grembiuli pure “vincitori” della Coppa del Nonno, adusi a camuffare ieri, nascondi oggi, manipola sino a domani che prima o poi il naso lungo di Pinocchio vien fuori.
Questo è ciò che chiamano (chi?) “progresso” dove la Memoria è inutile quanto ancor più dannosa al Carosello degli acquisti eterodiretto tant’è vero che necessita richiamare la filastrocca del “buon” massone di turno Or/well nomen omen:

“Who controls the past controls the future. Who controls the present controls the past”


“La fotografia nel nostro Paese (dice Rete Fotografia ndr) è un bene culturale tutelato, ma per gli archivi dei fotografi la realtà odierna si presenta sfaccettata e soprattutto incerta: pochi sono i progetti che ne favoriscono effettiva salvaguardia e valorizzazione, sporadiche le donazioni e le acquisizioni da parte di enti pubblici o privati, che li collochino all’interno del sistema dei beni culturali, e ne facilitano la loro conservazione e fruizione. In molti casi, inoltre, si assiste a scorpori e dispersioni che ne precludono definitivamente la conoscenza”.

Due casi sotto il naso di Manunzio testimonia che la cosa è drammaticamente vera. La prima il cosiddetto “Archivio Vernotico” a queste latitudini. Archivio fotografico non già di fotografo quanto personale, che travalica tuttavia le mura domestiche, poiché intriso di Storia accaduta e naturalmente vissuta dall’Autore, incontrato per quelle “coincidenze” che se le messe una dietro l’altra…
Breve l’Archivio si compone di immagini del Ventennio fascista, e cimeli, e carte, e timbri e ogni ben di Iddio che solo la caparbietà di chi scrive (c’è un fax al riguardo a testimonianza spedito a un comune qui vicino ne conserva memoria: Municipio a nome Savoia di Lucania originariamente Salvia del Brigante Passavate autore di un fallito attentato alla vita del re Umberto I di Savoia per l’appunto cui in seguito, in segno di riparazione, si chiamò il paese) ha evitato la fine indegna di un pompinoso (fellatio!) popolo italiota che si sciacqua la bocca da Cesare…alla spazzatura della Capitale e non solo! E di un Ministero (!?) della cosiddetta Cultura, appaltata sino a qualche giorno fa, esempio mica estemporaneo, al Camerata germanico Gabriel Zuchtriegel in Pompei. Ministero dato in omaggio, di terza infima categoria, nelle compagini compra & vendi governative italiote, pur di “accontentare” questo e quel amico degli amici. Accontentatore, ecco, che la mattina uscendo di casa alla classica “dove vai” della consorte replica “Al Ministero” e di rimando la querula “Mica dei Beni Culturali, dico, eh!”. Nooo mentre guadagna l’uscita il consorte ministro con fronte madida di sudore per averla fatta franca, almeno sino al giorno seguente…

Secondo e più importante “caso” quello di un archivio fotografico con foto-laboratorio, che stampava a queste latitudini già a colori negli Anni Sessanta: Bucci/Pecoriello detto Zatopec affibbiatogli per il “sotteso” correre in cerca di scoop cittadini come il mitico runner etiope Zatopec, per l’appunto, alle Olimpiadi di Roma Anni Sessanta secolo passato in cavalleria. Archivio sterminato, in mostra e per certo periodo lungo la Main street del centro storico, l'anodizzata vetrinata ne metteva in mostra immagini di “fototessere” ritoccate dallo zio di chi scrive, Panunzio.
Sicché non c’è stato verso per la beduina, animalesca, dedita a traffici poco chiari del Potere: Sindaco, Assessore alla Cultura, pensa te, di questa landa. E poi Ministero….Un muro di niente. Ora sembra che l’archivio sia sotto “tutela” delle figlie del fotografo passato e da tempo a miglior vita. Figlie che stanno a Firenze così ultime notizie. Amen.


Seppure di straforo, mica tanto, l’Archivio fotografico del Ministero sempre "cultura" in Potenza nomen omen da barzelletta...cui ha partecipato in foto chi scrive; soprattutto di un fotografo rinomato e primo “trasvolatore” via Paiper biposto, cui è lungo scrivere se non fosse che tutto ciò che oggi, pompinosamente ancora un’altra fellatio, si sa e conosce de l’Archeologia lucana: dalla costa jonica o Magna Grecia e Matera sino, qui, sotto i piedi di Malvaccaro, Domus pavimentata a tessere monocromatiche lo si deve a queso grande a nome che fu Aldo LaCapra morto tragicamente con la sua compagna di seconde nozze. Archivio ministeriale, ecco, che sta in bella mostra per chi ne vuole, sì, ma nel suttan’ (nome che una volta indicava abitazioni-grotte disotto livello strada, come si possono osservare oggi nei Sassi materani) sottoscala del richiamato Ministero qui da questa sperduta masseria lucana...del petrolio, però. E quanto a questi traffici... ci siamo intesi!




E noi cosa diciamo? Ancora un'altra
Postavamo l'altro giorno della Fujichrome T e, pensa te il caso, proprio i babbioni di Progresso Fotografico (stavo cercando un articolo di un'annata in libreria) confermano alla lettera ciò che si è scritto e più ancora sperimentato di persona. La Verità, uso dire, è sempre rivoluzionaria e dal sostantivo latino re-volutio: quello di sotto gira e viene inesorabilmente a galla cari “grembiulini”. E il Tempo, non da meno, Galantuomo è. Sempre così pure per la Vestale Pensiero Unico Sara Munari & Co.
Qui a lato il testo, Luglio-Agosto 1990 di Progresso Fotografico su le Fujichrome. E citazione non a caso di Diogene circa l'umanoide passato per umano e sua detta onestà, pensa te, intellettuale.
“...cerco l'uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l'uomo che, al di là di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e al di là dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice...”

Diogene di Sinope si aggirava di giorno per Atene con lanterna accesa e viveva, si dice, in una botte-pensiero critico non omologato al Iddio denearo, zoccolato e dai nefasti vapori di zolfo


Manunzio fotografo dal 1969


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