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Banco ottico e dintorni

Immagine cover: Cambo dieci-dodici e pellicola Fujifilm 64T no Kodak Tungsten à la page. Emulsione nipponica bella e talentuosa. E fummo i primi sull'italico suolo a farne prova grazie ad un amico che a Bari ne aveva fatto, come in sordina, prime scorte e anche dell'ottima Fujichrome 100. Anzi di questa una selezione d'archivio ne inviammo ad una di quelle riviste (Bell'Italia?) che ancora lo pigliavano...il plasticone con trenta dia intelaiate. Senonché dovevano essere Kodak perché aggiunse la gentil donzella “abbiamo macchine tarate”. Tara mentale a dir vero. E tutto giocato su abile marketing, equivoco, eterodiretto al solito, anzi la chiameremmo oggi in orizzonti di guerra: sabotaggio. Certo vi era un che di vero nella taratura e stava nel fatto che i cosiddetti lab (uno o due sempre “tarati” per solo Fujifilm nella Milano da...bere all'epoca analogica) che calavano nel brodo simil Pensiero Unico per il terraqueo (lei capisce perfettamente Munari, eh) E-6; vi buttavano, anzitutto Kodak e non si chiede all'oste se il vino e buono. Le Agfachrome stupende stellari e dai grigi squisiti passate le Forche Gaudine del' E-6 unico “trattamento” per il terraqueo (pensare che prima i film li potevi “processare” a casa a venti-gradi ed inversione a luce**). E non così l'eccelsa Fujifilm che doveva stare uno o due minuti in più nella sbianca-fix sempre E-6 per avere colori giusti non affetti da “cast” magenta e bei verdi.Pure quei babbei di Progresso Fotografico lamentavano, in test aumma aumma, il “cast” richiamato.
E qui due cose: incominciammo a sviluppare da noi tanto le Kodak EPR-64: un must in brodo E6, via alternativa chimici Ornano (scomparsa la quale logo e chimica è ripreso da Bellini nazionalpopolare) che le Fujiifilm, allungando il tempo dello sbianca-fix...
La seconda è tragicomica mazzetta non altrimenti: “contrordine compagni” direte dai soliti compagni russi per noi sessantottini? Macché gli Yankee diedero disco verde (confezione Fujifilm lo sono guarda caso, come grigio le Agfachrome non a caso pure questo; giallo Kodak che su le stampe per carità di patria finiamo qui) e fu Fujfilm a sbancare con la gloriosa Velvia50, detta Kodachrome in brodo E-6 “tarato”. Una doppia pagina offset da pellicola trentacinque-millimetri da impallidire quei del National Geographic. E così tutti i lab e rotative a seguire si piegarono, al solito a novanta agli Yankee a gradi, ma vuoi mettere? Ma Fujifilm was is again the best(iale).
E ritorniamo a noi. Dunque l'immagine: Cambo camera si è detto Fujifilm. Luci? Semplice Nitraphoto sul fondo a sinistra e basso destra sebbene schermata. Props “caffettiera” fatta a mano e zampillo di cartone per “caffellatte” in tazza di latta e ovatta a mo' di schiuma: cornetto preso in pasticceria ché ancora non c'erano confezionati come appare, così, l'immagine in Manunzio.it/Still (se vi pare dateci un occhiata altrimenti amici come prima). Il solito Manunzio fra “vero” e finzione scenica. To be or not to be...beh ai posteri l'ardua sentenza, no? Mah che s'adda fa per chiudere il pezzo...

**Lungo a dirsi facile a farsi e per le Agfachrome l'inversione dopo un “normale” sviluppo in tank iniziale bianconero, consisteva nel far “prendere luce” con buona potenza luminosa artificiale: alcuni testi sacri volevano, addirittura srotolata l'intero rullino da le spirali Paterson (e con il piffero rimettere in sito) e continuare poi, al chiuso della tank, il successivo sviluppo poi sbianca-fix e lavaggio terminale va da sé. Il risultato, e che risultato, appagava la fatica di tenere a bagnomaria tutto: chimici e tank




Nb1. Epr indicava su scatoletta e rullino la dia “fresca” di giornata e si consigliava stoccaggio in frigo come per le uova appena munte...oops rilasciate. Senza la r finale, pur sempre Kodak slide, invece le diapositive già “maturate” pronte all'uso: friggi e magna. E fra pro e dilettanti emulsioni solo differenza di prezzo avec allure: archivio Manunzio docet. Vero è che dopo tempo il trattamento domestico con teutonica Jobo tank termostata da paura (!) trovammo il nostro buon Samaritano, non biblico bensì a pagamento, si capisce. Un paese alle falde del Vulture buon Aglianico, il lab che andavamo a trovare di notte quando nell'ora delle tenebre, ecco, si calavano non già strascinati orecchiette o manate caserecce, bensì i 135 e 120 diacolor (così un tempo la dizione e circolava per agenzie stile Grazia Neri la decana, qualcuno lo dica alla “pimpante” Munari: anzi che se vuole le facciamo in qualsiasi workshop a gratis un servizzietto, ma un servizietto da leccare la f...accia) del giorno. E portavamo: doppio corpo Contax e ottiche Zeiss, Asahi Pentax seisette e ottiche, Zenza Bronica...roba che neanche un sergente mangione usavamo dire durante la naja militare oserebbe
Nitraphoto 250 Watt di potenza in lampade opaline per luce artificiale simil giornata diurna velata, opalescente



Stack or not stack

This is question forse così il Bardo. Vabbene da qualche parte bisogna pure cominciare. Certo per i cosiddetti pro della Milano da bere un “anticornonarico” basta collegare il banco ottico al computer, casomai con l’interfaccia Capture One Pro 20 ultima entry, così à la page, e il gioco è fatto. E fintantoché tutto è su lo stesso piano via con il liscio. Prblemi nascono, e non altrimenti per leggi ottiche, quando sul set compaiono più attori, o oggetti che di still life parliamo. Quindi diversi piani, e per farli tutti a “fuoco” non basta diaframmare al massimo (decadimento immagine). Anzi uno dice: ma se dopo un f 16 ipotetico i raggi che già si incasinano (diffrazione) per entrare nel pertugio dell’ottica, perché mai gli f 32, 45, 64, 90 o mi pare ancora di ricordare f 128? E co sti numeri, tuttavia, hai voglia, no? Proprio no. E si ipotizza un banco diecidodici, già l’ottica “normale” è un centocinquanta millimetri, un bel tele sul formato Leica, tanto a circoscrivere la cosa. Insomma un che di poco maneggevole a diaframmi chiusi (decadimento resa ottica) e ne abbiamo passato esperimenti su la Cambo montata su un mastodontico cavalletto Manfrotto che tirato su arrivava sino al tetto! Siché senza ulteriori numeri al lotto, diaframmatura che potrebbe fare al caso per un totale, ma se la composizione è più mignon i problemi là sono e lì restano. E poi se chiudi il diaframma di conseguenza aumenta il tempo di posa, inezia se ci hai il parco lampade: una volta faretti su Kodak 50 T(ungsteno) oppure su Epr-64 Bowens lampo del caso, che doveva scaricare una potenza non indifferente. A chiacchiere, sì, perché il trucco negli studi era di abbuiare il set composto e inquadrato, poi con otturatore su posa B o puristi T(ime) far partire scariche di flash a ripetizione; flashate che si sommavano per avere come unica botta del caso! Quanti esperimenti, grazie al flashimetro che per l’abbisogna dava il computo delle “aggiunte” per l’esposizione, e si era già provato su Polaroid, sorta di pre-view. Manualità ai limiti dell’acrobazia che oggi fa ridere. Tanto è vero che pochi puristi e distillati sedicenti fotografi vi ricorrono ancora, anche su camere elettronizzate al massimo: ricordiamo i primi modelli Sinar del caso. Restano tuttavia, sempre certuni fotografi, che attaccati alle Hasselblad elettriche, ecco, del caso o Mammamia (Mamya gloriosa RZ 67 d’antan oggi acquisita da Phase One) vivono felici di fare bella figura via Thetering con l’Art director immancabilmente femmina del caso, cacio sui maccheroni. Ma sempre più i fullfremmisti CaNikon con lenti shift, ottiche che in sedicesimo ripropongono i movimenti del banco ottico al fine di pareggiare i conti dei diversi attori giacente su piani del set. E qui sarebbe conclusa la disamina, e invece no. Sì perché tutto il resto della ciurma fa a meno di ottiche anzidette, Hasselblad e flash, odierno rentrée di lampade a base Led un tantinello scialitiche, o equivalente dentista, ahi; fotocamere attaccate a computer “teterizzati” neo cordone ombelicale ( si raccomanda l’arancione Tether Tools) per verificare all’istante che tutto è ok (!). Parentesi: con Raw e Pshop che tutto aggiusta, basta e avanza no? No evidente, chiusa parentesi. Insomma oltre i fulfremmisti c’è vita come su Marte?. Sì certo, anzi, lì fuori alla base della “piramide” fotografica volete voi? Un Maunzio che va, al solito, per la sua strada: senza flash e lampade (pisolano da qualche armadio) e manco full frame. Peggio ancora con vecchie ciabatte 4/3 da Paleolitico a base bit. Vabbene, e poi? Un programma come Helicon focus (ci) risolve il “pareggio” dei conti con ottica zoom in manuale anch’essa del Mesozoico. Ma lo si dice qui, se uno poi vede i file: che volemo dì ancora? Il manico pari la classe n’est pas de l’eau mes amis!

Immagine 1
Immagine 2


PS. I file allegati integralmente potrebbe benissimo vedere spazio su un Franco Maria Ricci d’antan; luce bank come si evince alla base del mezzo busto e figura di fondo? Tutt’altro luce finestra, letterale, e come base e sfondo due retro-cartoni utilizzatati, quando è il caso, per il cosiddetto fill-in; ottica 14-54 f 2.8-3.5 prima serie su l'immortale (chapeau!) E1 Olympus la nostra “protesi”. Associato un secondo scatto in verticale prodotto da pari ottica e malandrina Oly E 510 con Live-view feature molto più comoda

Pss. Nel novero dei sistemi di pareggio piani fuochi c'è anche l'interessante Actus Cambo e gli immarcescibili Novoflex, soffietti o macro motorizzate


Immagine iscritta in unico cono di luce apparente, sebbene tra le due immagini corra un trentennio e più: a sinistra lastra 10x15 Fujichrome 64 RTP su banco ottico Cambo (analogico) e luce artificiale di Nitraphoto lampada da 150 Watt in ombrello diffusore; a destra file Olympus E 20 (digitale) con luce naturale finestra. Tuttavia il sotteso still life, modus operandi, è identico e la E 20 si comporta da "normale" banco ottico


E tra le due camere pari “lentezza” operativa con l’aggravante e non di poco di vedere il mondo sottosopra sul vetro smerigliato del banco ottico; tutto in manuale senza possibilità (tranne all’epoca il test su Polaroid) di fuoco automatico diaframma...di quelle benedette diavolerie viceversa che solo il digitale consente, nell’abbreviare o collegare immaginazione e scatto finale in pochi attimi e manco questo se via tethering!
Lentezza che significa, poi, concentrarsi su quello che si sta componendo, che è molto più della “previsualizzazione” di Ansel Adams memoria: uno scatto e via. O c’è o non c’è. Scuola di fotografia tant’è vero che il buon Gastel (stavolta lasciamo al palo l’insulso Jovine a pendant) riciclatosi sedicente artista con le stesse Polaroid per sarti una volta oggi appese in Gallerie ruffiane e mezzane, lo ricorda nella sua agiografia scritta da sé medesimo.
Operatività o lento pede, ecco, si trova anche in quel ordigno a nome Olympus E 20, acquistata a scoppio ritardato (all’epoca era un botto sebbene abbordabile senza accedere a mutuo ipotecario) e in sorta di “verifica” delle cose lette e ascoltate: si ricorda ancora del fotografo fiorentino, e sue immagini con la Olympus ad una sfilata di moda (!) mentre attendevamo in quel di Alberobello con tanti fotografi di giro, tra cui l’intramontabile GB Gardin, lì per workshop sotto l’egida del Curtis in salsa milanese.
Tutto vero e all’inizio abbastanza sconvolgente, tranne l’autofocus reattivo all’istante e con luce di abatjour, la E 20 digitale di vent’anni addietro un discreto miracolo. Quanto al resto, c'è anche l’oscuramento del mirino, tipico ribaltamento specchio di ogni reflex Anni Settanta: proprio così ed esposizione impeccabile e colori che fa Agfachrome 50 (inversione doppia esposizione non chimica) nota per la sua resa lieve e non chiassosa Yankee style delle Kodak: tutte.
Insomma la E 20 digitale dal cuore analogico, tuttavia, sforna file Tiff incredibilmente nitidi. Sì scritto Tiff, che anzi avvento del fasullo Raw (tanto poi si aggiusta tutto in Pshop o noblesse oblige Lightroom, uso dire i cretini falliti) era la codifica "ordinaria" su le Olympus di ogni ordine e grado: lossles al netto di 15Mb di peso! Si è possibile anche lo Jpg SHQ ed Orf l’equivalente Olympus Raw…mai demosaicizzabile come Iddio comanda e mai usato. Gamma dinamica? Stile diapositive e ci fermiamo qui per chi intende di fotografia: quante altre volte si scriverà che le immagini prodotte da qualsiasi digitale poi finisce per essere “vista” su schermettucci di iPhone Android e compagnia cantando? A muro dite? Vi ci si dovrebbe mettere con davanti il plotone di esecuzione! A muro…pensa te che visto a decine se non centinaia di metri di distanza più che i dippiai è l’occhio che va a puttane, e non distingue più un c…artellone stradale dall’altro. Quanto al sottovetro di Galleria, figurarsi se l’acquirente gli frega dei dippiai, basta sia copia “certificata” (si chiede all’oste se il vino è buono) da Epson via Digigraphie, con tanto di timbro a secco! Consigli per gli acquisti va che gallina vecchia che fa buon brodo a patto che il manico dello chef…

Man fotografo sin dal 1969




Polaroid de 'noantri. Per i minchiapixellisti che volessero cimentarsi con l’Arte, naturalmente con obbligo di maiuscola, esistono due soluzioni alla portata. La prima è la carta autopositiva della Harman** che ha (ri)preso da Ilford know-how: insomma caricate lo chassis (camera oscura) il “negativo” nel formato carta che preferite e dopo lo scatto sviluppando l’immagine viene invertita automaticamente in “positivo”. Giochino che costa.
Viceversa se usate la (normale) carta fotografica, caricata sempre in camera oscura!, anche nel formato 20x24 o cinquanta per sessanta più o meno vi potrete divertite a fare i “verifine” o sedicenti artisti in bianconero. Una volta in camera oscura sviluppate il finto negativo e, una volta asciutto meglio usare la politenata*** casomai da invertire su Fiber baritata c’est plus chic, a contatto di simile foglio di carta date fuoco: no, no niente fiamme quanto banale esposizione a contatto sotto vetro. E quel che è nero diventa bianco e viceversa con tutti i colori del…grigio. Ma anche per i minchiapixellisti c’è Speranza (sebbene le vie del Signore non siano infinite!) non proprio proprio da vecchie tecniche di stampa, ma insomma… moltiplicato per 10 100 1000 vi farà fare la grana e sperare sia battuta (la vs. Opera con maiuscola per chi intende) da Sotheby’s!

** Harman_1

** Herman_2


***“lift” stile Polaroid 20x24
E’ possibile altresì “simulare” il Polaroid spellicolato su carta “very fine” con una inkjet qualsiasi: le prove fatte con la compianta Hp 1220 C sono ancora ben conservate. Il trucco se così si può dire è stampare su carta trasferibile per T-shirt: si avete inteso bene. Siché ne staccate la pellicola è invece del tessuto (idea da sperimentare) la sistemate su cartoncino artistico. E con un po’ di pazienza (arte eh!) taglierino e/o bisturi ci fate i segni bucherellati della Polaroid che perde “pezzi” nel trasferimento!


Embroidery and Polaroid, a beautiful combination

20x24" Polaroid - Taking the worlds largest Polaroid photo

20×24 Polaroid camera part 1

Par condicio (!?) al femminile
Elsa Dorfman Polaroid 20x24 Camera


Ps. Il macchinone Polaroid 20x24 fu inventato per verificare in presa diretta i lavori di restauro della Cappella Sistina quand’ancora non ammorbava l’aere il digitale “terrestre” codifica in minchiapixel
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