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(Copyright dx side Gianni Berengo Gardin)


Fotografare non è facile così a mo’ di “memento” Ando Gilardi su le pagine di Progresso Fotografico d’antan. Banale diremmo in un orizzonte saturo di minchiapixellisti pure ‘ncazzus’, alticci diciamo così pure questa. E con tanto di medaglia di stagnola al petto.
Gianni Berengo Gardin, va. Una sua immagine (dx) iconica presa a Venezia, due amanti meniamola così. Composizione che di più non si può d’un bianconero essenziale, asciutto. Però Berengo non è fesso, e per chi mastica di fotografia ha visto sue immagine (si è avuto la fortuna di conoscerlo durante un Workshop che all'epopea impazzavano in ogni dove, tracimata la cortina che avvolgeva questi detti mostri sacri inavvicinabili, su la Rivera del Conero in quel di Ancora sul finire degli Anni Ottanta del secolo passata e quale sennò?) si è fatto un'idea tutt’altra che grossolana del nostro, meniamola così, e due. Perché due? Ci arriviamo lemme lemme o festina lente.
La cornice quindi seppure a grosse linee l’abbiam messa, meniamola così. Ancora? Sì e seguite in religioso silenzio poi farete come ve pare.
Porticato, amanti, due colombi in movimento al di là, ecco, del fatto che la posa sia stata di tempi lenti. Meniamola...così. Ora i due pennuti in movimento. Qui un dì con arcaicismo si sarebbe detto, contesto men che sia: “u piccion’ d’ ta suora” gallicismo tutt’altro che peregrino. Resta da capì se vennero qui i transalpini e se ne ritornarono di corsa, o se da queste piagge doje frà (amici) cataper’ capater’ andaro in Francia e ritorno francesizzarono by Jove, sure. Piccion’, quindì o equivalente “pussy-cat” degli isolani inglesi: che Iddio li abbia in gloria. Ma colonne a parte, porticato, si provi lo sguardo in alto: sì, quei lampioni. No eh? Sono tanti condom, tanto ci vuole? Sebbene non ancora, come dire fatti oggetti di...a sinistra l’immagine irriverente di Manunzio d’un porticato appartenuto ad un convento più o meno garibaldino, odierna Stazione CC.
Ora un lampione, ecco, dopo che i due se ne sono andati, come dire, è un po’ più cicciotello causa contenuto. Intelligenti pauca verba. E si qui l’ironia sottile di Gianni Berengo Gardin e quella di Manunzio di tre-cotte. Significa? Semplice che quando si parla di Cancel Culture (sono i funghetti giovani venuti su dopo notte buia e tempestosa, quelli stessi che eterodiretti, macchian quadri abbattono statue etc, e pensano di fare una Dubai terrestre ma che non potranno mai andarci a vivere ché il parco giochi non è per essi, pare ovvio) in ogni dove è fuffa. Illusi e già morti dentro: zombie di BigPahrma Apple Microsoft Fauci Oms Bill Gates…
E poi mica ci vuole tanto. A far che? Ma a “cancellare” cultura però prima ditelo agli Ebrei-Torah non meno che Vaticano Spa! E se è così facile, infatti, basta un solo e solitario tratto di penna, rossa va da sé. Come dite? E qui vi volevo! Cancellare la Proprietà Privata, questa la posta se vogliamo giocare ancora, che ancor prima d’essere un furto e grammaticale è l’abominio primigenio inscritto nella Torah-Bibbia, cui tutti e tutto senza eccezione, è il maledetto quadrilatero: giudaico-cristiano-greco-romano. Meniamola così: no fuc**!


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Storia d’amori e d’anarchia

Va tu mo’ a sapé se non era meglio ricordarlo prima: cosa Manunzio mattutino già alle tastiere fra Win & Mac? Di tre fotografi in mostra che il dottor Covid, ecco, farà mai vedere alla ‘ggente preoccupata a telecomando di quei contatti sociali specchiati, invece, nelle immagini di D’Amico Uliano e Battaglia: due uomini e una siciliana. E di questa a dir vero manco sapevo sino a non molto tempo fa, fotografa (anche) de l’Ora di Palermo. Tano D’Amico lo si trovava quasi quotidianamente sul Manifesto di Pintor Rosanna Rossanda ma pure Luciana Castellina e Valentino Parlato, mica sti utili idioti attuali e ci teniamo alla larga da decenni. Uliano Lucas se ne scritto già. Battaglia che di nome fa Letizia è oramai una “nonna” di ottantacinque anni e sin troppo grossa vista in un documentario dedicatole. Ma della siciliana a pensarci c’è un foto in particolare che è ritornata in mente e che, per altre drammatiche vie, ho visto da ragazzo: non ci ho dormito al ricordo. Le due immagini distanti tempo e spazio, condividono un lenzuolo sotto cui giace un corpo scia di sangue, che al solo ricordo forma nodo in gola. E qui da Battaglia in Trinacria alle nostre latitudini: sera d’estate viale e due ali di folla, che ancora ricordo per silenzio sospeso, un Lupetto (camionabile) e per terra lenzuolo bicicletta e macchia di sangue (pare che il camion in retromarcia non s’accorgesse del dramma). E ogni volta che in passato mi trovavo li, Parco cittadino con transito “macchine”, passavo dall’altra parte per non calpestare quel corpo di ragazzo, oggi avrebbe la mia stessa età. Il volto è impossibile a definirsi per i troppi anni e portavo i pantaloni corti. Forse come di quei passeriformi affacciato ad un balcone e sottostante non ricordo cosa dicevamo, e poche ore dopo il lenzuolo. Sit tibi terra levis
"Le indagini sociali e antropologiche sul lavoro, sulla città e sull’umanità varia che l’abita, sono una parte consistente dello sterminato lavoro di Uliano Lucas, fotografo e insieme storico e teorico della fotografia; l’indagine sul cambiamento di orizzonti e di sguardi negli anni della ribellione è facilmente riconducibile alla straordinaria alchimia che amalgama poesia e impegno civile delle foto di Tano D’Amico; il corpo a corpo di Letizia Battaglia con il mostro della Mafia, nella stagione dei morti ammazzati, dell’escalation della violenza ma anche della risposta indignata, dell’orgoglio antimafia, di chi sa rimanere impermeabile al Male"

https://www.sistemamuseo.it/ita/3/mostre/868/fermo-marche-la-strada-la-lotta-lamore/#.X03wHtwzaM9


Ps. A volte il tarlo torna utile, infatti, non già di Battaglia l’omicidio (immagine sovrastante) bensì lo scatto è di Franco Zecchin, dal libro “Il fotogiornalismo in Italia 1945-2005” edito da l’allora Fondazione Italiana per la Fotografia in quel di Torino




Archivi della memoria

Serie di seipersei Rollei d'anatan riesumate nel sistemare l'archivio analogico trasposto in digitale; quando immagini simili sul finire degli Anni Sessanta erano etichettate o incasellati su riviste di fotografia nella categoria “terza età al sud”. L'importanza del casellario veniva, secondo questi maître à penser, prima di ogni altra cosa e come cassetta di lepidotteri infilzati.
Tuttavia qui preme ricordare di come, anche con una poco agevole Rollei, era possibilissimo costruire “storie” con meno di niente, poi in camera oscura il quadrotto fotogramma sotto ingranditore Durst poteva essere “tagliato” e riquadrato secondo necessità o gusto espressivo personale con tutta la “nitidezza” degli Zeiss a corredo delle Rollei. La pellicola una collaudatissima Agfapan 100 trattata nel calderone (non era ancora in uso le tank su rocchetto nylon alla Paterson) Kodak, in lunghe vasche verticali termostatate e da 35 litri di sviluppo, che a cadenza di materiale negativo bianconero trattato, si provvedeva ad integrare con pari quantità di soluzione fresca

Ps. Il formato Leica noto come 135 aveva ed ha controparte, simil colonne di Tempio, nel codice 120 che significa Rollei anzitutto, Hasselblad Mamya etc verrà dopo, e diversamente da quello si utilizzava per cerimonie in particolar modo, e cronaca tout court. E presso Foto-Agenzia Lampo dove chi scrive ha fatto gavetta, in sorta di Agenzia Carrese strapaese, a cadenza regolare capitava un giornalista che firma il pezzo poi infisso con le foto su la bacheca anodizzata della Pretoria o Main street cittadina, e il giorno seguente, via fuori sacco postale su la tratta per Bari, le pagine interne della Gazzetta del Mezzogiorno (a volte il Roma, Mattino di Napoli o Tempo della Capitale) cui redazione cittadina era a pochi metri di distanza.



Certe coincidenze...Un indizio resta tale, due un po’ meno e tre la prova. Tutto nasce nel sistemare la soffitta (incoscio) cui si è dedicato con “abnegazione e sprezzo del pericolo” il figliol di Sky, anche perché tutte le sue canne…da pesca deve pur sistemarle!
Sia come sia non tutto nuoce se cum grano salis si riesce a discernere, che di questi tempi poi…una gran fortuna per sé mica per il teleguidato detto prossimo felice e fesso: c’è chi si diverte così. E chi siamo per distorglielo? Tanto un giorno farà i conti con la (sua?) cosiddetta coscienza, e non è detto nell’aldilà quanto e più soluzione finale aldiquà.
Giacomelli, dunque, che si rileggeva nel sistemare il mare di riviste di un cinquantennio scampata alla furia “iconoclasta” del figlio che mette ordine in soffitta, si è detto.
Rivista morta nel giro di un mattino inizi Anni Duemila. Fresca e tuttavia inusuale per lunghezza, intervista al Giacomelli nazionale, del quale si dice mai “uscito dai confini di Senigallia” sua terra d’origine. Ecco qui il punto ché il nostro è riuscito a farsi “capire” diciamo universalmente, è riuscito a mettere sul Pentagramma esoterico materiale da poter suonare, vedere ai quattro angoli del terraqueo. Morale? Beh sempre per certi “indizi” siamo anche noi così, anzi, pensiamo sia realmente così quando premiamo il pulsante di scatto. Fine prima parte

Man

Parigi val bene...
A proposito di Mario Giacomelli, da un caos all’altro

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Giacomelli_iterview.pdf (2.76 MB)



A stretto giro di posta e non le mandiamo a dire. E dunque la gloriosissima Forma (Belpaese Taleggio Parmigiano Caciocavallo o cosa?) per la fottografia, non è refuso paisà, questua per il “popolo” ma a gratisssss: shhh aumma aumma. Paisà leggi cosa mi email...

“Dieci fotografi di fronte allo stesso soggetto producono dieci immagini diverse. Infatti, se è vero che la fotografia traduce il reale, esso si rivela secondo l’occhio di chi guarda”
Gisele Freund

Caro amico di Forma, la frase di Gisele Freund riassume perfettamente quello che ho pensato quando ho sognato per la prima volta La Biblioteca dell’immagine: un luogo aperto e accogliente, un luogo in cui andare alla scoperta dei più grandi maestri della fotografia, incontrarli e confrontarsi con loro. Un luogo vivo di tutela e memoria della fotografia, della sua storia e della sua ricchezza.

Oggi iniziamo un percorso che vorremmo si concludesse nel più breve tempo possibile per costituire la Biblioteca dell’immagine, un luogo fisico che avrà sede a Milano e che intende diventare la più importante biblioteca specializzata di fotografia in Italia.

Un luogo aperto a tutti ai fotografi, agli studiosi, a tutti gli appassionati di fotografia. Ma anche a ragazzi e bambini. Saranno loro a inventare il mondo di domani, guardando quello che gli lasceremo in eredità.

Per questo la Biblioteca dell’immagine
• accoglierà un catalogo iniziale di oltre 6.000 titoli dagli anni ’40 a oggi, sempre consultabili, che si arricchirà giorno dopo giorno con riviste, filmati e altri preziosi materiali;
• ospiterà incontri con gli autori, percorsi didattici di approfondimento e gruppi di lettura;
• sarà un laboratorio aperto di condivisione dei saperi sulla fotografia.

La Biblioteca dell'immagine è un luogo necessario per guardare insieme al futuro e immaginarlo senza dimenticare il passato. Un luogo che ancora manca a Milano e all’Italia. Costruiamo insieme! Aiutami con una Donazione a realizzare questo sogno e puoi sostenere il progetto su Rete del Dono cliccando direttamente qui. Grazie per il tuo importante sostegno,

Roberto Koch
Presidente Fondazione Forma per la Fotografia


Da oggi Fondazione Forma lancia su Rete del Dono la sua prima campagna di crowdfunding per la Biblioteca dell’Immagine, un luogo necessario per guardare insieme al futuro e immaginarlo senza dimenticare il passato...



...eh che prosa aulica: aiutami paisà dice Koch il cocchiere con la C però che tengo e teniamo famiglia a Milano. L'operazione “colturale” è na bella impalata (non trovo al riguardo e su pari gratuità, ecco, un articolo di Giuliana Scimè che scrisse su Progresso Fotografico negli anni 90 secolo trascorso, naturalmente) per il popolino (s'immagina) bue che proprio questi propalatori inchiappettadores à la page da mane a sera e da decinaia e decinaia d'anni!
Aiutami supplica il “cocchiere” Koch: tu dare me tua fotografia (tante tante) eh, noi poi fare grana alla faccia tua, berò paisà tu avrai elevato nostro reddito in tempi bui di grisi (per gli altri, i gonzi come te babbeo) miga fessi noi badani della Badania/Lombardia con corne su elmo (solo lì?). Poi noi badani di Milano con fiasco da bere andare in giro e signore/ra danaroso dire: paisà vucumprà mostra colazione e brioches su fottografia 'taliana? Ahah noi della Badania mica fesso come te anello al naso, ah ah noi bravi ne troviamo una giorno: ca nisciuno è fesso. Si breso prestito da brutta barola napulitana, ma fa fare grana. Tanta tanta. Eh brorprio scemo ex Ministro d'un tesoro quel tesoro di Tremonti dire: “Cultura non fa mangiare” Ahah scemo no mangiare poco ma assai assai...ahahahaha Allakbar

Man

Ps1 Nostra risposta via mail a Forma con (senza) anello a naso!

Brava! Era ora uscire dall'ennesimo sottosviluppo "colturale" italiota e della "fottografia" poi nella Milano da bere (cosa più?) e delle Lectio magitralis di certuni "meneghini" a cavallo riciclatisi a "sedicente" foto artista con tanto di Autobiografia & benzodiazepine (banale psicofarmaco) formato Mondadori e coro di  Maîtresse un tot a marchetta serale. Brava! E come possiamo arricchire il patrimonio "colturale? S'intende dire accettate a gratisss opere che non rientrano nei cenacoli fottografici anzi detto? Ne saremo lietissimi di inviare all'Opus Magnum per un Biblioteca per il popolo (s'immagina non populista che allora...l'Europa non vuole) che così potrà abbeverarsi, dopo Mia Fottografia, all'Arte per l'appunto fottografica. Brava Fondazione e che qualche Numinosa Potenza ne conservi in Gloria. Brava!

Ps2 Per chi vuole con o senza anello naso, legga: “Storia culturale della fotografia italiana” di Antonella Russo per i Tipi di Einaudi editore, dove in Prefatio si legge:”Questo volume offre un resoconto ragionato della cultura fotografica italiana dal dopoguerra (1945) e considerazioni sulla condizione fotografia italiana contemporanea”

date » 02-08-2018 12:28

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tags » fotografia italiana, marco moggio fotografo, forme fotografiche, still life italiano,




Circumnavigazioni. A volte il “caso” meniamola così mentre stai a Web. E dove semmai stai in tutt’altre cose preso. E non c’è dubbio che queste apparizioni, al pari d’una flashata, dà modo di conoscere aspetti manco lontanamente immaginabili, di chi con una macchina fotografica riesce con poca spesa a creare mirabili immagini, il che di sti tempi non è poca cosa. Anzi

Man

Fotovisioni




Su la copertina della collana “I Grandi fotografi” quella dedicata a Fulvio Roiter ha un che di sinistro: Venezia imbiancata di neve durante il Carnevale con due maschere truci: nere di strani uccelli, una lei e corrispettivo lui e che pure trovate nel video.
Sia come sia un fotografo passato a miglior gloria uso dire ma che è da vedere ed ascoltare, soprattutto, le sue schioppettate verbali più spesso in godibilissimo venexian. E rispetto le quali molte se non tutte da sottoscrivere

Man

Fulvio Roiter

Discorso sul metodo della Fotografia, Roiter

Romano Cagnoni



© Romano Cagnoni

Un altro della Fotografia italiana se ne è andato pochi giorni fa. E il ricordo va ad alcune sue immagini, se la memoria sorregge, degli anni Settanta riprese con una Minolta Srt101 con ottiche Rokkor: un must che non si deve immaginare solo la premiata CaNikon. Immagini di un parco forse americano, ripreso rasoterra con ragazzi di spalle e in linea di fuga verso l’orizzonte: yuppie? Già figli dei fiori o più ancora di Maria la Maddalena che...Immagini di reportage bianconero quelle di Cagnoni che a noi ancora implume facevano sognare.
E ora che ci penso erano sue anche quei fotogrammi dei cavatori di pietra, lui nativo di Pietrasanta, in uscita su rivista che aveva la pretesa di essere solo in abbonamento per palati fini, poi in tutte le edicole a cadenza mensile e di lì a poco fece la “fin’ di bott’ a mur’”. Aria ma con le firme di Giulio Forti e poi l’insignificante giro circonferenza di un tale Rebuzzini Mario, che per un certo periodo andava in giro vestito alla cacciatora anfibi militari e barba alla Che Guevara: mirabile quella volta che come una Wanda Osiris discese il gradone trionfale di un palazzo nobile di via Fracastoro in quel di Milano - si scolava le ultime stille del jingle Tognoli-Pillitteri cognato di Craxi in Era Regan & Thatcher etc - e il parterre letterale l’accolse con battimano…e se ne già dato conto una volta poiché presente ai fatti. That’s Italy: stupid!

Man


Romano Cagnoni

Romano Cagnoni: in guerra trovi l’essenziale umano
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