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Ubi major minor cessat

Nove o tre volte tre. Al sodo via non foss’altro che si batte il ferro quando è caldo. Dunque nel precedente, cui si rimanda c’era già la prova provata sempre del Nove che tutto l'ambaradan che ci ammorba, fottografico, è distrazione di massa della giostra per gli acquisti. E poiché qui sul Diary, invece, si cerca di dire (argomentare?) qualcosa su la fotografia, senza raddoppio, ecco che i conti tornano. E cosa? Semplice con i file allegati ai precedenti post richiamati ci si è recati dal Service che tutto fa tranne stampa fotografica: AutoCad. Sennonché anche la cartaccia per Cad risultante l’immagine d’ una pimpante Epson, da chissà quanti anni lì a macinare file e stringhe alfanumeriche, e “buona” l’immagine del set natalizio in cover. Ebbene i colori lasciamo correre, ma la definizione? Da non credere per una stampa cm 40 x60 che va vista a debita distanza, e non lo dice Manunzio che certo non è l’ultimo arrivato, bensì la Pisicologia, che errore non ma si fa notte, e sue regole di visone: prezzolate si capisce.
Sia come sia niente sorprese ché il 24 ML Yashica ha colpito, e affondato: si ma chi? Ma la Munari & Co, affondata con i suoi compari di Loggia e grembiulini del Pensiero Unico. Nove si è detto e Numerologia a parte, dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che lo Yashica, via adattatore su Ep-2 Olympus Micro 4/3 è una accocchiata pazzesca.
Vero sotto la Contax (a sinistra) con Zeiss 50 mm a bordo la stampa del file di foglie post precedente; anche qui niente sorprese quanto a dettaglio pur sempre venuta su cartaccia per Cad. E il buon Zeiss 50 mm 1.8 non smente la sua bontà ottica, pur venendo dall’Analogica Era. Viaggiatore del tempo…
Qui termina il trittico o dei due Mondi che non si fanno guerra, bensì in mani sapienti da, non altrimenti, più che buoni risultati ad una frazione di ottiche à la page, per chi pratica la Fotografia che non è stessa cosa del Think-Thak Munari & Co. Anzi se la richiamata fosse onesta, a sto punto, dovrebbe chiudere baracca e burattini lasciare il condominio Myphotoportal e raggiungere un eremo per il resto dei suoi giorni accompagnata da nostra prece, e altro...amen!

Ps. Ne sono trascorsi ben cinquatacinque di anni, più di mezzo secolo c'est très chic, da quando ripresi la prima cerimonia e di battesimo con Rolleiflex e Agfapan 100 bianconero: sembra ieri!





ZZZ…

Lo still life risente gli ultimi scampoli delle feste natalizie. Da sinistra a destra (cover) la cinquantenne RTS prima versione Contax, massiccia e dal peso molto pro, così una volta. Attaccato il 24 millimetri Yaschica, vetro notevole che condivide con lo Zeiss (al centro 50 millimetri incerottato per l’abbisogna) pari bajonetta per l’interscambio ottico e non solo fra i due brand; in alto lo scatolotto, un buon pezzo di metallo K&F Concept Micro 43 (lato camera) e attacco ottica il richiamato Yashica/Contax. A destra la Olympus Ep-2 con attaccato il 12-50 f. 3.5 che alla massima estensione diventa un “buio” f. 6.3 che va bene per l'outdoor tout court.
L’intabarrato 50 mm Zeiss via adattatore, allora, s’innesta senza problemi alla Ep-2 (provato anche su Gh4). E naturalmente tanto i fuochi che i diaframmi sono da impostare come una volta in Era analogica a mano sfruttando casomai invece della M(anual) l’esposizione A o priorità dei diaframmi.
Sia come sia il 50 diventa magicamente “100 millimetri” per crop intrinseco al formato Micro 43. Ora tutto il, diciamo, fotogramma che restituisce è d'una cremosità molto gradevole; viceversa il “piccoletto” della Olympus ha un "taglio" micidiale. Certo parliamo di due ottiche diverse: lo Zeiss oltre gli anni, ma buona ricetta ottica, serviva il formato 24x36 che non è affatto il FullFrame detto, e si tira notte, no. Progettato per l’Analogico bisogna conviverci con il suo “farsi” anche digitale via adattatore, e ne vale la pena. Altrettanto certo il fatto che su cavalletto, non altrimenti e non sperimentato on street, la Ep-2 + 50mm è “a mort’ sua” uso dire o dell'accocchiata (accoppiamento, sinergia) e gradevole pastosità da gustare.
Infine il fatto che il 50mm Zeiss a diaframma “sparato” qui f. 1.8 non avete bisogno di menar trucchetti in Pshop o l’arzillo Gimp (complicato a dovere ma micidiale nei risultati) ché i bordi, considerato agli effetti pratici che è quel che conta in definitiva, il medio tele “100 millimetri” de facto restituisce dal centro alla periferia dell'immagine un godibilissimo sfocato, o Bokeh che dir si voglia. A diaframmi intermedi lo stesso e sino a f. 8 va che è un piacere, dopo c’è diffrazio. Cosa ottima, metti caso, per il ritratto che, tuttavia, fosse stato su pellicola analogica un filtro (fosse pure un pezzo di calzetta di donna uhmmm) per ammorbidire il volto più che consigliato, necessario. Per chi sa di fotografia (eh Munari) gli Zeiss quanto a "taglio" fuguratevi, e siamo la generazione Rolleiflex e Tessar, sì, il famoso Occhio di aquila quanto dire. E sul digitale, ancora, lo Zeiss da una incredibile pastosità lo si ripete. Quanto all'incartamento, o meglio un doppio paraluce “accocchiato” tanto per il test è tassativo per i riflessi ché la prima lente è quasi raso il barilotto. Tuttavia, non ricordo se il lens flare del caso veniva su pellicola, mai fatto caso e mai a dir vero presente grazie, comunque, a quella rossa T con asterisco a testimoniare per l’epoca di cinquanta e passa anni fa, l'eccellete rivestimento lenti Zeiss.
Ultimo ma non da ultimo il “piccoletto” Olympus usato a paragone (non trovate immagine ma vi basti parola) se la cava benissimo e, s’è detto dal buon “taglio” pur essendo uno zoom e gli Zuiko non sono acqua: vero Leica? E Zeiss & Zuiko fan cose turche!

Link immagine originale senza intervento alcuno sul file, Ep-2 adattatore e 50mm Zeiss, cui si apprezza il "pelo" delle foglie senza maschera di contrasto, un'altra notazione non di poco

Ps. Il richiamo a certi attrezzi, lenti e fotocamere nel post lungi dal costituire pubblicità è “roba” di Manunzio: di sua tasca. Zzz titolato è perché sono, le lenti, con pari lettera Z(eiss) Z(uiko) sempre cose turche riescono ambedue!


L’immagine di Pinna (a destra) è del 1952 presa con Rolleiflex durante i festeggiamenti della Madonna di Pierno, Santuario importante tant’è che prima di entravi bisogna percorrere e per tre volte l’intero perimetro sacro. Pierno (indagata da De Martno ed altri della sua equipe in pari epoca, la località in Provincia di Potenza) dove un tempo e adesso non sapremmo della cosa, si svolgeva il Rito e in certo senso apotropaico lungo a dirsi; rituale che affonda, naturalmente, nei precedenti secoli pre-cristiani, infatti, tutti luoghi detti antichi, come in staffetta, assurgono poi a luoghi sacri del cristianesimo che “ricicla” solo (soltanto?) le apparenze pagane



Un rovello che non trovava requie
E cosa? Lo spot di Alce Nero girato in superbo bianconero (via Premiere o DaVinci Resolve) e la camera mostra un bimbo al seno succhiare, poi allargando il campo la giovane mamma, che seduta sorseggia bevanda del Brand.
Ora sento già più che ‘mbé di rito il beeee-lare degli eterodiretti minchiapixellisti (mettiamoci pure Munari: salve, come va?) senza passato presente e figurasi futuro: zombie.
Sicché pensando al breve ma intenso spot la mente richiama analoga inquadratura ma del fotografo Franco Pinna, già di De Martino l’antropologo socialisteggiante che all’indomani della persa guerra seconda mondiale, forse anche su la scorta del famoso libro-inchiesta-autobiografico Cristo si è Fermato ad Eboli di Levi memoria, va al Sud "arretrato" di Lucania/Basilicata. Fotografo in seguito su i set di Fellini e amico di quell’altro “felliniano” Tazio Secchiaroli, fotografo paparazzo, conosciuto durante un workshop analogico su la Riviera del Conero nelle Marche.
Ma il ricordo è na brutta bestia e l’immagine di confronto (Pinna) dove sarà mai? La monografia, sfogliata dalla libreria su in alto sovrastante il computer cui si scrive e già di malavoglia, non ne fa presa. Allora? Giro per Web: manc’ pa capa venire a capo! E allora giorni e giorni fino alla “lampadina” finale: Archivio Pinna. E scrivo, e mi rispondo, e sfoglio e non trovo incazzato nerissimo. Riscrivo, mi rispondo: guardi che così e così. Vero eccola lì l’immagine, santi numi!
Nulla altro da dire...vostro onore. Fiuuu è andata pure sta vorta 'bbona grazie alla proverbiale capa (!?) tosta di Manunzio

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La realtà del cinema nel suo farsi tra Federico Fellini e Franco Pinna
https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/la-realt-del-cinema-nel-suo-farsi/137056.html





Il fascino discreto del banco ottico
(disciplina e forma mentis essenziale)



Quando venivano (clienti) per fototessere...sì, interno lo Scalo Inferiore ex Ferrovie (reali) dello Stato, qui in questa umida landa di lampi e tuoni mentre scriviamo, uno scatolone consentiva già d’ auto-fotografarsi, e dopo pochi minuti (tre) la striscia di quattro (1+3 per i grembiulini all’ascolto pruriginoso) pronte tessere per documenti d’identità. Certo dal fotografo avevi un lavoro fatto a mestiere (arte) più “levigato” di matite e mattolina.
Sia come sia era la piroettante 6 x 9 Fatif su colonna, appunto, per fototessere. Colonna con saliscendi a filo via pomello, cui asse orizzontale era la fotocamera, tutt’altro semplice da usare. L’immagine, infatti, come da camera oscura scolastica (sottosopra per leggi fisiche per ovviarvi in uso e negli studi à la page di Milano un visore a specchio, quarantacinque gradi, capovolgeva la scena pur con lati invertit sinistra destra) bisognava d’essere mossa, su ruote sottostanti colonna, focheggiata (senza autofocus) e sul vetro smerigliato (niente mirroless FF o trequarti e na gazzosa) quadrettato per guida, in basso a capa sott’ (in giù) vi avevamo disegnato apposta la sagoma per “inquadrare” il soggettone uso dire, un dì, per cliente. Poi? Beh si caricava lo châssis al buio completo; una tacca su pellicola Ilford, Ferrania o Agfapan a sto punto non ricordiamo più, per i bordi si lasciava scivolare in scanalatura ad hoc, mentre in luce il resto della ripresa.
Vero al buio tutto è difficile e gli “occhi” sono le mani/tatto. Senonché un nostro amico, fotografo dell’Antichità sottostazione, così detta l’allora, Ministero della Pubblica Istruzione ché I Beni Culturali o pomposamente al corrente della Cultura (!?) senza mitico oltralpe Jack Lang verrà, ad opera del Senatore Spadolini nel millenocentosettantaquattro, il distacco definitivo dalla Pubblica Istruzione, e trasmutato in Beni Culturali tout court.
Ebbene il nostro veniva a trovarci, armato di Leicaflex ché la classe n'est pas de l'eau (!) il flash monotorcia grigio lieve Rollei, e rare volte con Rolleiflex. Viceversa chez-lui ministeriale Hasselblad e luci elettriche; i flash Bowens chiesti con insistenza dal suo assistente arriveranno agli inizi degli Ottanta, fra rimostranze di Pippo, questo era il suo nome, che guardava come “americanate” il tutto, sebbene funzionassero e bene.
Dunque, Pippo qualche volta si prestava a la posa, d’altronde era di casa o liaison con FotoBaffo, alias Rocco Abriola alias FotoLampo già ricordato altrove, simil Publifoto di Carrese memoria in Milano. Pippo, allora, entrava in camera oscura e ci stava tempo, tanto quanto a smontare alla lettera lo châssis, pezzo a pezzo, caricare la pellicola e, finalmente, novello Lazzaro venire di nuovo alla luce. Oh l'avessimo provato a fare noi “ragazzi di bottega” si sarebbero sentite le campane della circonvicina Chiesa S. Michele on main-street a coprire la “litania” di rimbrotti, termine pulitissimo e in lingua ‘taliana, lontana miglia e miglia...
Banco ottico e non solo per fototessere, l’usavamo anche, visto il soffietto estensibile oltre misura, per riproduzioni in un angolo dello studio su bacheca. Sicché l’ incombenza spettava a chi scrive e non altri, ché avevamo fatto callo e occhio, allo sviluppo negativo in base a matrimonio, ritratto eccetera. E di sti tempi con pioggia gelo e freddo il “bagno” (please not translate toilette or wc) di Dk-50 Kodak in vasche verticali di famigerati trentacinque litri (rigenero una volta ogni tanto aggiungendovi altro bagno più contrastato, Dekotol per carta fotografica, però) standard dell’epoca. Vasconi in bachelite rinforzata. Tempo di sviluppo s’aggirava per un ora causa freddo anzidetto (niente termostato se non...un’altra volta). E infine l’unico dello studio “abilitato” nel frattempo ad andarmene (la moglie brutta ed arcigna del Baffo, l’aveva sposata per la ricchissima dote, ma riempita di corne, ci provava, querula, a trattenermi) in giro per il centro cittadino. Scaduta infine l’ora, altri “canonici” quindici minuti di fissaggio senza bagno intermedio d’acqua e/o acido acetico, usato solo e soltanto durante la stampa; puzzo insopportabile di aceto!
E di banco ottico un po’ strano venne la Technika Linhof trediciperdiciotto a fotografare, tra l’altro, i “lucidi” disegni tecnici piante edifici e sezioni per conto, all’epoca, Soprintendenza Beni Paesaggistici e Architettonici in loco.
Infine, Cambo acquisto personale, formato novedodici. Tutto questa lunga promenade, ecco, mentre in giro per il web delle mirabilia si vedono e leggono di “triadi espositive” rumore “grana” che cacciata dalla porta rientra dalla finestra di plug-in emulazione della grana (!) che “gradiscono” i gallerioti con benda su occhio, non quello di Horus sinistro, gamba di legno di filibusteria e LGBT+ a corredo: culattoni come curatori.
E dinamismo di gamma, no? E “taglio” lenti ma che non devono tagliare alcunché se si gira, emulando, la pellicola analogica. Fotografia è una cosa, cine-video altra, quando si usavano i Cooke lens.
A noi vien da sorridere, dall’altro l’inverso a vedere, questo sì, il pollaio di parvenu si raccomanda certi pontefici napulitani e street photography oi né che scrivono baggianate a man salva, su “forum” o quelle cose che bisognano di “campanelle” per essere avvisati di altre baggianate; like sennò a sti pover’ marann’ finti benché imbonitori de facto così campan’ e tengono famiglia. Consigli per gli acquisti...va!

NB. Americani, pensa che ti ripensa, trovano il tempo (vedi link sottostante) di costruire cose fuori tempo: camere (convertibili pure ingranditori!) da banco o fascino e réclame della Giostra, che gli frega di trovarsi in Era digital, del bianconero e camera oscura...E pecunia non olet! Degno di nota l’ibridazione “plastica” via stampa 3D di banchi ottici di sti guagliune

(Copia & Incolla se vi pare)
https://intrepidcamera.co.uk/collections/camera?syclid=clgqhtu5ji7s738d9ukg&utm_campaign=emailmarketing_148971421936&utm_medium=email&utm_source=shopify_email

https://it.wikipedia.org/wiki/Linhof



Immagine © Archivo Fratelli Alinari


Un mondo
Era una volta la lingua italiana: offrire il destro (braccio) per cogliere il pretesto, qui d'immagine trovata, a caso, su la Rete.
Il brusio degli astanti “è arrivato il ritrattore” materializza, su la soglia di casa, la silhouette del fotografo in abiti da cerimonia. E non si sa se il giorno del si, matrimonio che di lì a breve immortalerà, sia la figura più importante ed elegante del resto; sottotraccia la tensione percorre i futuri sposi, anche perché a lui è demandata la memoria visiva del fausto evento, formato album, che oggi è sostituito da telefonini usa e getta. Fotografie, pattuite da tempo con caparra, in bianconero trediciperdicotto per “sparagnà” qualche soldo, diciotto per ventiquattro per chi gode di certo status e, approfittando dell’evento, mostrare agli altri (l'album fotografico poi come edicole votive richiudibile girava di casa in casa) il suo “avanzamento” sociale, per di più posto fisso in questo o quell’Ente, Anni Sessanta del Novecento.
Si veniva scaricati (non eravamo patentati ché squattrinati dal patron dello studio fotografico nelle masserie più sperdute, piccoli paesi; vigeva allora la regola non scritta ma concordata in “assemblea” di categoria per la spartizione, zona d’influenza, luoghi di “conquista” cui si ricavava rendita dalle cerimonie tout court, come più o meno usanza medievale grazie soprattutto al compare locale, iscritto in una più vasta rete familiare e di compari San Giovanni; sensale, factotum, in accordo con il fotografo vi ricavava “ringraziamento” formato cartamoneta, o servigi di varia natura, patrocinato sempre dal patron lo studio fotografico, nel Capoluogo: visure catastali, ricette mediche e simila per sé e la rete di amici e famigli del clan) già di buon mattino quando tutt’intorno sembrava ed era la camerata allo squillo della tromba: chi di qui chi di là, mezzo calzati e vestiti usava dire. Un vai e vieni discretamente spaesato. E la “capera” al solito che tarda ad arrivare e preoccupazione. Tutto il tramestio avveniva fra mura domestiche della sposa, figura preminente dell’evento.
Frammisto a profumi di toilette, aleggiava per la masseria, casolare, altrettanto aroma di cucina con i suoi addetti, scelti fra le migliori della zona o da altre convicine e rinomate per preparare il pranzo nuziale, da lasciare con tanto di occhi di meraviglia, e panze piene all’inverosimile: ‘ann gì cu li man’ p’ ‘nderra. Tanto venivano “riempiti” gli invitati da tornarsene, poi, nelle proprie abitazioni satolli, sazi e pieni da "strisciare" su le ginocchia, il massimo dell’ospitalità. Crepi l’avarizia almeno quel giorno!
Nella borsa (da stadio, baule enorme) del fotografo, tra rullini 120 Agfapan bianconero, Rollei biottica doppia si sa mai, e Metz gemelli per ogni evenienza, controllato e verificato con maniacale fare il giorno prima dell’evento, trova posto finanche il bouquet per la sposa, “pensierino” da parte dello “studio fotografico” e sornione compare di San Giovanni lì presente, a sottolineare…
La mattina si presenta già calda, afosa, il sole fa la sua, ma il Metz/Multiblitz flash montato su staffa alla Rollei, e lì proprio per il fill-in ed evitare ombre sui volti (s'immagini il lieve candore della sposa e l’abbronzatura, ecco, dello sposo-zappatore e quand'altri più bianconero di così!) soprattutto all’aperto.
Il corteo finalmente avanza tra ali di folla dei paesani. Una processione elegante. Si, a volte le macchine (auto anche a nolo) sono indispensabili per il tragitto verso la Chiesa Madre, e tanto per sottolineare l’importanza del giorno e l’evento; più sovente è un procedere lento (anche troppo) del corteo con la sposa in abito bianchissimo e poco strascico (mica quei filmati bianconero Rai di regine, nobili e parvenu, spose dagli strascichi chilometrici e paggi scoglionati per la cosa!).
La sposa al braccio del babbo, del fratello nel caso avverso, finanche zio diretto muove verso destinazione. E l’ora dello scampanio e l’ingresso in chiesa addobbato lungo navate. E poi...lo sposo che prende in “carico” la sposa e…Fleshate si susseguono: scambio anelli, rituale della firma da non mancare per nessuna ragione è per questo il doppio corpo Rollei: una raffica non motorizzata ma meditata al momento giusto.
L’usciata fra scampanio, un’altra, e riso su gli sposi. Riso? Una pioggia torrenziale pure pericoloso ché era d’uso menare manciate su i poveri sposi, chini la testa a protezione del riso e “confetti” e monete auguranti, ma contundenti non poco!
Flash a seguire, manovella della Rollei un giro avanti uno dietro per “armare” l’otturatore e spingere in avanti la pellicola d’un altro fotogramma.
La sala, l’ammuina da stadio, bambini a rincorrere su l’acciottolato ancora confetti e monete; l’ingresso degli sposi con “brinns’” in coppe di metallo poi vetro pretenzioso. Tutto fra mura domestiche, tutto al più di “ristoranti” bardati, o en plein air di masseria tirata a "specchio" come non mai. Così lo sposalizio dello zio da somigliare a quei festini all’aperto stile “’mericano” come se ne vedono negli odierni schermi televisivi, a puntate, da Dallas in poi.
A sera (notte!) mezzo distrutto per il giorno, eccoti pimpante il patron azzimato ed impomatato da paura, mellifluo avvicinarsi agli sposi per i convenevoli del caso, sotto lo sguardo, a latere, del compare di San Giovanni, e rituale: “A posto?” e rimando “Si, tutt’apposto!” draconiane parole. Saluti, infine pacche su la spalla a questo e quello, infilato la macchina il fotografo di lato con il patron giusto due battute e il sonno cala inesorabile, così sino al Capoluogo. Domani è un altro giorno con sviluppo dei negativi, poi la stampa...



Ps. Tutti i giorni venivano dalla provincia ‘ncapa a lu monn’” le seicento multiple, millecento fiammanti d’autisti noleggiatori, portavano gente per i servizi più vari e disparati da sbrigare ne Capoluogo lucano. Un’avventura che si leggeva sui volti dei “forastieri” fra l'incredulo e spaurito come certi passi di Lauzi, Genova per noi.
Non c’erano liste nozze, sicché ogni regalo era per di più pensato per “praticità”. Si, i parenti più stretti chiedevano cosa abbisognasse gli sposi, per il resto si è detto.
Capera/pettinatrice/parrucchiera a domicilio la donna esperta per “aggiustare messa in piega” della sposa e della mamma, zie e…
Ritrattore con voce guttural-sguaiata sta per ritrattista fotografo







Sogno di una notte di mezz'estate

L'inseparabile Rollei, quasi cade a pezzi tanti sono gli anni, il Manfrotto 190 non meno di quella, un paio di rollfilm e lo scatto flessibile mi accompagna.
Portasalza dorme. Tira un venticello fresco sul crinale del Vallone S. Lucia, esposto com'è riceve i quattro venti d'inverno ed estate, proprio come adesso.
L'extramurale che cinge l'abitato antico, i gradoni in pietra nera, ritrovo lo spiazzo Santa Lucia e sua fontana, che risuona del fluire d'acque; da le viscere di Fossa Cupa, laggiù dove la notte tutto avvolge e malapena distingui sagoma; ritma il tempo da milleottocentonovantacinque.
Ma l'odierna, restaurata di fresco, linda e pinta, è triste quinta illuminata da un quarzo che proietta cruda luce di campo spinato; l'illumina senza pietà. E la mano, allora, si contrae e rifiuta l'inganno, la posa, ché sotto quel trucco da avanspettacolo, carica di cerone la fontana è sparita come i sogni, forse della stessa natura.
La ritrovo, dopo ore di cammino notturno e l'alba che dà i primi cenni, lungo la strada, appartata dinanzi lo scalo ferroviario. Sì, è proprio lei, la stessa di quando i grandi, ci apostrofavano d'esserne i suoi incendiari. La fontana, e l'acque




Ferraniacolor


Un popolo di merda l'italiota, e noi siamo napoletani altra cosa. Premessa alla Manunzio, no? Tutt'altro. Ballerini per Costituzione, lato traslato e fate come ve pare, venduti chiappe al vento a Ur-Lodge a base Adenocromo. Belpaese terra molle e natia del “Franza Spagna purché se magna”. Tranchant, si certo. Fotogramma, solo poi si può dire delle diverse pelli d'uomini e donne che non si piegano, ma è altro discorso, ché se messo insieme, qui ed ora, alla fine fa “televisione” dove si dà spazio a tutte (a salve) tesi per la solita conclusione eterodiretta. Manunzio non è della partita.
Dunque, Ferrania italica Fabbrica di pellicole carte e fotocolor “Tempo bello tempo brutto con Ferrania riesce tutto” jiingle d'antan che i minchiapixel non ci arrivano per loro tare e ino + cul + ati (anti) Covid.
Ferrania che ritroviamo in un be libro “orizzontale” s'intende la dimensione meta-fisica per chi capisce. Scrittura e libro scritto in politichese piano e godibile, tanto la prima parte diciamo storica in generale, quanto la seconda “Egregio sig. Direttore”. E per chi ha letto il Revelli ufficiale del Don “Il mondo degli vinti” via Einaudi Editore troverà a josa corrispondenza.
Fabbrica Ferrania o dell'Italia(no) arrangiarsi che non è solo di queste latitudini, “commedia dell'arte” di Partenope magistralità. Ecco allora cosa c'è in un “rullino” di materiale sensibile tout court. E per quanti si dicono vivi (chi?) una lettura piacevole e veloce. Tutt'altro dal mattonazzo, di nome e di fatto, l'andazzo tipico dei fotolibri a kilogrammo, che ci attende (minaccioso?) sul tavolo su Ugo Mulas scritto, in ouverture da lo spocchioso Deni Curtis che si è conosciuto nostro malgrado. Un libro “verticale” da amici degli amici per amici, lo dice il linguaggio squisitamente iniziatico e poi basta il “pensiero” no? Infatti il librone da cinquanta e passa euro non meno che due-chili-e-spicci di stazza richiama, cosa sennò, il Yankee Pensiero Unico: se ne parla la prossima appena terminato il cilicio, ossia leggerlo tanto le fotografie non servono: basta il “pensiero” tutt'altro che boutade alla Manunzio. Amen Ra. Appunto

Ps. Il libro della Pantarei “Egregio sig. Direttore” non si trova nel solito “circuito” libraio e richiederlo alla nostra solita libreria (Manunzio vi si reca ancora come una volta) tempo perso. Solo scrivendo al Editore è stato possibile una copia; soprattutto il recapito brevi manu via macchina di un commesso viaggiatore ad hoc, proprio così! E quindici euro alla mano per “ricordare” quando c'erano uomini e donne e non robot, pur forse senzienti, ma entità a corrente (!) per funzionare, disincarnati corpi a base silicio

Pss. Nell'Era Analogica, avevamo letto su Progresso Fotografico o Tutti Fotografi, dell'accoppiata Ferrania-3M rollfilm, ossia formato Rollei/Hasselbad (usavamo la mitica 124 G Yashica seconda a nessuno quanto a qualità ottica, anzi, adatta alla “ritrattistica” tout court) e stampa su carta Kodak delle mirabilia. E fintantoché si è scattato foto di cerimonia l'accoppiata vincente non ha mai deluso, tutt'altro




Gutta cavat lapidem

la goccia è perseverante, ahh quanto a questo, e se non è oggi domani buco è, pietra o non pietra. Massima che non abbisogna di spiegazione tant'è performante, meglio perforante la sua azione. E di primo acchito chi oserebbe mettere in dubbio la consistenza della pietra? Luoghi comuni che consente allo Star System (stesse iniziali delle SS: certe combinazioni astrali!) di continuare verso l'Infinito, pure oltre sai che noia, e transumano: mezz' ferraglia e mezz' umanoidi immortali. De gustibus.
E noi con l'Hasselblad ci abbiamo avuto poco a che fare, pur con la mitica 500 C, preferendovi la SL 66 di Rollei: carrarmato di nome e di fatto in qualunque situazione meteo e senza ben che minima alimentazione per sue funzioni. Altro tempo e altre storie e “progresso” che avanza, no? No è solo spaccio della Bestia...avanti il prossimo a cadere in nome della obsolescenza programmata




Fresco di stampa

Beh certo quando fu “accattato” acquistato in prima edizione: AD 1970. E del perché presto detto: fotografo mica poi dozzinale, o com'era d'uso da “scattin'” dalle foto seriale senza un minimo di impronta propria, da flashata in faccia tipo casellario giudiziario. Già 'na botta di luce flash Metz e pacco batteria portato in spalla, mentre la parabola grigioverde da “sbirro” fissata con staffa all'immancabile Rollei biottica caricata d'inimitabile Agfapan 100 by Agfa ca va sans dire.
Senonché il prurito di vendere le foto, eh, contrastava le distanze sino a Milano, piazza d'armi delle agenzie, troppo lontana assai, almeno sino ai primi del Novanta: “ventennio” dopo, oh in Italia sono famosissimi i “ventenni” da Piazza Venezia in poi!
E così, su le pagine di Progresso Fotografico, d'una volta prima di subire il re-branding da compulsivo consigli per gli acquisti; mensile del linguaggio fotografico, inchieste e retropalco, per scritto per lo più da Tomesani, sì, quello di Tau Visual, e che una volta abbiamo visto vis-a-vis alla “Sala degli specchi” a Milano, mi pare il ritrovo della Stampa presente l'istrionico Lanfranco Colombo per un incontro che manco ricordiamo più. Lanfranco che si spinse, pensa te, sino a queste contrade (!) a Rionero in Vulture sede d' un pimpante Lab colore, e presso cui dopo mezzanotte e un centinaio di chilometri andata e ritorno, portavo le EPR-64 Kodak, 35 millimetri e rulli 120, scattati la mattina, ora qui ora là slide che stanno (pisolano?) nell'archivio di Manunzio religiosamente in plasticoni: dodici tasche trasparenti opaline per seipesei.
Libro formato mignon, dunque, che tracciava quello che era il “excursus” per vedere le benedette foto: si vabbè non prima di “oliare” gli ingranaggi. Mazzetta cui il Tomesani richiamava ed intendeva per l'unzione...Mai piegati all'andazzo: da Grazia Neri decana delle agenzie, cui pure provammo il “giro”.
Libro a dir vero che, tuttavia, è ritornato utile a tener la “fiamma” accesa per quelle volte (vedi Ventiquattrore supplemento al Sole Ventiquattr'ore) anche se al corrente, ultima decade il Manunzio, s'è dato all'Arte inkjet e carta cotone, Ah com maiuscola, si capisce. Mah!


Ferrania



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Un po' prima della fine Anni Sessanta si andava, da questa landa, sino a Foto Bucci distante poche centinaia di metri, quando la città era ancora confinata entro le mura e delle Porte del Centro storico, grossista e pure laboratorio colore Agfa-Ferrania-Kodak con ognuna propria linea di sviluppo negativo colore non ancora omologate all'universale C-41 degli Yankee Kodak. Si andava, quindi, a fornirsi di sviluppo Ferrania (busta da sciogliere in litro d'acqua) per pellicola bianconero, e quant'altro per la camera oscura: la mamma aveva mandato alla Bagnini di Roma richiesta per l'ingranditore Durst J(unior) 35 adatto al formato detto Leica, una piccola sciccheria, ma non arrivava mai: possibile? Aveva tutto calcolato la mamma e il pacco lo trovai un giorno di ritorno dalle Medie sotto il letto e la Befana (allora e non Babbo Natale portava i doni) già da tempo passata!
Foto Bucci dove "stanziava" lo zio retrostante l'ingresso vetrina di macchine e ogni possibile ben d'Iddio fotografico, con in mano matite e mattolina la speciale “colla” stesa sui negativi seipernove usata per le fototessere: ritocco di visi che oggi Pshop e suoi tool per ammorbidire la pelle e togliere imperfezioni si fa in un click. Matite come bisturi affilatissime nelle mani dello zio e non abbiamo mai capito come provaci, ché una cosa per adepti pure questa, altrettanto erano i “misteri” diaframmi da usare sulle Rollei con i flash. Segreti e li si rubava con gli occhi facendo finta di niente per non prendersi il cazziatone tipico dei grandi!
E in un angolo del negozio la vetrinetta-tavolo ad elle separava, di là Foto Bucci e sua cenere-sigaretta a sfida della gravità: per inciso a dir vero il patronimico era Pecoriello, tuttavia, aveva conservato il “brand” Bucci...di qua del bancone-vertrinetta i clienti e su la sinistra in disparte accatastata FotoNotiziario (oggi solo online) e il mensile Ferrania sfogliata con avidità per apprendere fatti ed attrezzature ante Internet natu est...

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