Manunzio



Il fascino discreto del banco ottico
(disciplina e forma mentis essenziale)



Quando venivano (clienti) per fototessere...sì, interno lo Scalo Inferiore ex Ferrovie (reali) dello Stato, qui in questa umida landa di lampi e tuoni mentre scriviamo, uno scatolone consentiva già d’ auto-fotografarsi, e dopo pochi minuti (tre) la striscia di quattro (1+3 per i grembiulini all’ascolto pruriginoso) pronte tessere per documenti d’identità. Certo dal fotografo avevi un lavoro fatto a mestiere (arte) più “levigato” di matite e mattolina.
Sia come sia era la piroettante 6 x 9 Fatif su colonna, appunto, per fototessere. Colonna con saliscendi a filo via pomello, cui asse orizzontale era la fotocamera, tutt’altro semplice da usare. L’immagine, infatti, come da camera oscura scolastica (sottosopra per leggi fisiche per ovviarvi in uso e negli studi à la page di Milano un visore a specchio, quarantacinque gradi, capovolgeva la scena pur con lati invertit sinistra destra) bisognava d’essere mossa, su ruote sottostanti colonna, focheggiata (senza autofocus) e sul vetro smerigliato (niente mirroless FF o trequarti e na gazzosa) quadrettato per guida, in basso a capa sott’ (in giù) vi avevamo disegnato apposta la sagoma per “inquadrare” il soggettone uso dire, un dì, per cliente. Poi? Beh si caricava lo châssis al buio completo; una tacca su pellicola Ilford, Ferrania o Agfapan a sto punto non ricordiamo più, per i bordi si lasciava scivolare in scanalatura ad hoc, mentre in luce il resto della ripresa.
Vero al buio tutto è difficile e gli “occhi” sono le mani/tatto. Senonché un nostro amico, fotografo dell’Antichità sottostazione, così detta l’allora, Ministero della Pubblica Istruzione ché I Beni Culturali o pomposamente al corrente della Cultura (!?) senza mitico oltralpe Jack Lang verrà, ad opera del Senatore Spadolini nel millenocentosettantaquattro, il distacco definitivo dalla Pubblica Istruzione, e trasmutato in Beni Culturali tout court.
Ebbene il nostro veniva a trovarci, armato di Leicaflex ché la classe n'est pas de l'eau (!) il flash monotorcia grigio lieve Rollei, e rare volte con Rolleiflex. Viceversa chez-lui ministeriale Hasselblad e luci elettriche; i flash Bowens chiesti con insistenza dal suo assistente arriveranno agli inizi degli Ottanta, fra rimostranze di Pippo, questo era il suo nome, che guardava come “americanate” il tutto, sebbene funzionassero e bene.
Dunque, Pippo qualche volta si prestava a la posa, d’altronde era di casa o liaison con FotoBaffo, alias Rocco Abriola alias FotoLampo già ricordato altrove, simil Publifoto di Carrese memoria in Milano. Pippo, allora, entrava in camera oscura e ci stava tempo, tanto quanto a smontare alla lettera lo châssis, pezzo a pezzo, caricare la pellicola e, finalmente, novello Lazzaro venire di nuovo alla luce. Oh l'avessimo provato a fare noi “ragazzi di bottega” si sarebbero sentite le campane della circonvicina Chiesa S. Michele on main-street a coprire la “litania” di rimbrotti, termine pulitissimo e in lingua ‘taliana, lontana miglia e miglia...
Banco ottico e non solo per fototessere, l’usavamo anche, visto il soffietto estensibile oltre misura, per riproduzioni in un angolo dello studio su bacheca. Sicché l’ incombenza spettava a chi scrive e non altri, ché avevamo fatto callo e occhio, allo sviluppo negativo in base a matrimonio, ritratto eccetera. E di sti tempi con pioggia gelo e freddo il “bagno” (please not translate toilette or wc) di Dk-50 Kodak in vasche verticali di famigerati trentacinque litri (rigenero una volta ogni tanto aggiungendovi altro bagno più contrastato, Dekotol per carta fotografica, però) standard dell’epoca. Vasconi in bachelite rinforzata. Tempo di sviluppo s’aggirava per un ora causa freddo anzidetto (niente termostato se non...un’altra volta). E infine l’unico dello studio “abilitato” nel frattempo ad andarmene (la moglie brutta ed arcigna del Baffo, l’aveva sposata per la ricchissima dote, ma riempita di corne, ci provava, querula, a trattenermi) in giro per il centro cittadino. Scaduta infine l’ora, altri “canonici” quindici minuti di fissaggio senza bagno intermedio d’acqua e/o acido acetico, usato solo e soltanto durante la stampa; puzzo insopportabile di aceto!
E di banco ottico un po’ strano venne la Technika Linhof trediciperdiciotto a fotografare, tra l’altro, i “lucidi” disegni tecnici piante edifici e sezioni per conto, all’epoca, Soprintendenza Beni Paesaggistici e Architettonici in loco.
Infine, Cambo acquisto personale, formato novedodici. Tutto questa lunga promenade, ecco, mentre in giro per il web delle mirabilia si vedono e leggono di “triadi espositive” rumore “grana” che cacciata dalla porta rientra dalla finestra di plug-in emulazione della grana (!) che “gradiscono” i gallerioti con benda su occhio, non quello di Horus sinistro, gamba di legno di filibusteria e LGBT+ a corredo: culattoni come curatori.
E dinamismo di gamma, no? E “taglio” lenti ma che non devono tagliare alcunché se si gira, emulando, la pellicola analogica. Fotografia è una cosa, cine-video altra, quando si usavano i Cooke lens.
A noi vien da sorridere, dall’altro l’inverso a vedere, questo sì, il pollaio di parvenu si raccomanda certi pontefici napulitani e street photography oi né che scrivono baggianate a man salva, su “forum” o quelle cose che bisognano di “campanelle” per essere avvisati di altre baggianate; like sennò a sti pover’ marann’ finti benché imbonitori de facto così campan’ e tengono famiglia. Consigli per gli acquisti...va!

NB. Americani, pensa che ti ripensa, trovano il tempo (vedi link sottostante) di costruire cose fuori tempo: camere (convertibili pure ingranditori!) da banco o fascino e réclame della Giostra, che gli frega di trovarsi in Era digital, del bianconero e camera oscura...E pecunia non olet! Degno di nota l’ibridazione “plastica” via stampa 3D di banchi ottici di sti guagliune

(Copia & Incolla se vi pare)
https://intrepidcamera.co.uk/collections/camera?syclid=clgqhtu5ji7s738d9ukg&utm_campaign=emailmarketing_148971421936&utm_medium=email&utm_source=shopify_email

https://it.wikipedia.org/wiki/Linhof



L'immagine è un suggestivo studio caravaggesco, che esula la presente ma che solo ad arrivare all'acerbo scatto è costato esaurimento nervoso, letterale, si richiama alla seconda Tela di Caravaggio, tema Cena in Emmaus dal passo biblico e quindi molto intrigante: episodio fra due viandanti e il misconosciuto Nazzareno che si rivelerà di lì a poco, a tavola, rifacendo i gesti dell'Ultima Cena agli increduli astanti. Ciò detto e a dar seguito l'argomento luce, qui necessariamente artificiale, un semplice “cobra” su stativo con griglia a nido d'ape rifà, ci prova, con vetri/soggetti tipico di Manunzio la Tela della Cena in Emmaus conservata al Museo di Brera in Milano

FIAT LUX

Luce quindi alla fin fine naturale o, come qui nel caso artificiale, la materia prima per modellare alla lettera ciò che risiede nella mente del fotografo e dargli corpo, ecco: venire alla luce atto di nascita che non distingue fra maschi e femmine, atto creativo, e ché le moderne incubatrici, fabbriche di feti, più che fiction corrente realtà ha tolto di mezzo una volta e per tutte l'utilità generante dell'utero naturale: se ne diano pace le cosiddette “donne” brutta copia del modello, ecco, maschile tutt'altro che tramontato, tutt'altro. Touché.
Infine di cosa sia poi possibile da presso altre due immagini: la bottiglia e il bicchiere immersi in catramoso nero prodotto da foglio di carta disegno plotter (benissimo quella da forno) tenuto su da due stativi simil stenditoio per panni (!) e il solito flash qui il 45 CT4 con parabola retroilluminante il foglio: a fondale orizzontale carta nera lucida panno nero su fondo e tanto lavoro di post-produzione ad eliminare indicibili riflessi, anche questo!
Il violino per sviolinata finale, è venuta così al volo...traslitterazione in digitale di lastra 10 x 12 analogica Fujichrome 64 T(ungsten) su banco ottico Cambo e ottica da 150 mmm; mentre l'illuminazione da sinistra è data da due lampade Nitraphoto (odierne Led che scaldano meno e soprattutto “risparmiano” energia che sia sovietica o d'altro...fate vobis) all'interno di ombrello argentato ultimo residuo “bellico” della saga Bowens, cui oggi si utilizza l'universale attacco per flash da studio etc. Fine seconda ed ultima parte. Buona luce. Link prima parte



Le prime Fujichorme 64T 4x5 RTPII diecidodici me le passò per una prova un collega stampatore che aveva minilab e poco tempo a disposizione. Il primo lotto in assoluto veniva dalla vicina Puglia mi pare, così a memoria, il grossista Antonelli in quel di Bari, mentre in giro regnava la Ektachrome 50 T(ungsteno) pure 160 Asa, odierno Iso; emulsioni per lampade e faretti a K 3200 non già flash, pur presenti in ogni studio e usati per il Belpaese su Epr 64 fra Todde (generatori costruiti a Milano) Bowens dagli ottimi monotorcia, Elinchrome e altro.
Il set simula ciò che sarebbe dovuto essere su brochure in formato A4 per una nota azienda nazionale, così l'amico fotografo stampatore notturno: sì, quante volte a sera inoltrata consegnati i rullini di negativi, subito la stampa, o lo sviluppo delle Epr 64 Ektachrome Kodak su formato Leica e, soprattutto, Zenza Bronica ottima alternativa alla Hasselblad.
Caricato lo chassis del test su la Cambo e con ottica centocinquanta millimetri il “normale” del caso, l'esposizione è prodotto da due Nitraphoto (grosse lampadine opalescenti) una per lo sfondo su la sinistra, l'altra a destra per dare “rotondità” alla scena. Su la sinistra la sagoma in cartone di cuccuma e filo di latte della stessa materia con “schiuma” che è pezzo di batuffolo per l'abbisogna


Ps. Milano da bere, città decisamente virale in tempi andati era “tarata” su materiale Kodak(chrome) e la difficoltà della Fuji di farsi degna strada, cosa puntualmente avvenuta e succhiatasi sin all'osso Kodak, era dovuta essenzialmente al diverso tempo di sbianca-fix: due minuti in più del classico calderone E-6 (forma di pensiero unico anch'esso). E poi perché le riviste poco gradivano, ne ricordiamo Bell'Italia quando provai a mandare un servizio su due plasticoni (poco più di un formato A4 in plastica opalescente con tasche per contenere 20 telatietti 135) proprio perché “tarati” sul Kodak e non già su Fuji; fintantoché non arrivò ordine dalla Amerika: contrordine compagni, dissero, d'ora in avanti (Bel)Velvia 50 l'anti Kodachrome che ne decretò la fine poiché si trattava, la giapponese dagli splendidi verdi riprodotti, ad ogni angolo del terraqueo, nel calderone E-6 si capisce. La superficie, lato emulsione, del Kodachrome è a “sbalzo” cesellato e si nota subito, così l'impressione della Velvia 50 Asa/Iso


Immagine iscritta in unico cono di luce apparente, sebbene tra le due immagini corra un trentennio e più: a sinistra lastra 10x15 Fujichrome 64 RTP su banco ottico Cambo (analogico) e luce artificiale di Nitraphoto lampada da 150 Watt in ombrello diffusore; a destra file Olympus E 20 (digitale) con luce naturale finestra. Tuttavia il sotteso still life, modus operandi, è identico e la E 20 si comporta da "normale" banco ottico


E tra le due camere pari “lentezza” operativa con l’aggravante e non di poco di vedere il mondo sottosopra sul vetro smerigliato del banco ottico; tutto in manuale senza possibilità (tranne all’epoca il test su Polaroid) di fuoco automatico diaframma...di quelle benedette diavolerie viceversa che solo il digitale consente, nell’abbreviare o collegare immaginazione e scatto finale in pochi attimi e manco questo se via tethering!
Lentezza che significa, poi, concentrarsi su quello che si sta componendo, che è molto più della “previsualizzazione” di Ansel Adams memoria: uno scatto e via. O c’è o non c’è. Scuola di fotografia tant’è vero che il buon Gastel (stavolta lasciamo al palo l’insulso Jovine a pendant) riciclatosi sedicente artista con le stesse Polaroid per sarti una volta oggi appese in Gallerie ruffiane e mezzane, lo ricorda nella sua agiografia scritta da sé medesimo.
Operatività o lento pede, ecco, si trova anche in quel ordigno a nome Olympus E 20, acquistata a scoppio ritardato (all’epoca era un botto sebbene abbordabile senza accedere a mutuo ipotecario) e in sorta di “verifica” delle cose lette e ascoltate: si ricorda ancora del fotografo fiorentino, e sue immagini con la Olympus ad una sfilata di moda (!) mentre attendevamo in quel di Alberobello con tanti fotografi di giro, tra cui l’intramontabile GB Gardin, lì per workshop sotto l’egida del Curtis in salsa milanese.
Tutto vero e all’inizio abbastanza sconvolgente, tranne l’autofocus reattivo all’istante e con luce di abatjour, la E 20 digitale di vent’anni addietro un discreto miracolo. Quanto al resto, c'è anche l’oscuramento del mirino, tipico ribaltamento specchio di ogni reflex Anni Settanta: proprio così ed esposizione impeccabile e colori che fa Agfachrome 50 (inversione doppia esposizione non chimica) nota per la sua resa lieve e non chiassosa Yankee style delle Kodak: tutte.
Insomma la E 20 digitale dal cuore analogico, tuttavia, sforna file Tiff incredibilmente nitidi. Sì scritto Tiff, che anzi avvento del fasullo Raw (tanto poi si aggiusta tutto in Pshop o noblesse oblige Lightroom, uso dire i cretini falliti) era la codifica "ordinaria" su le Olympus di ogni ordine e grado: lossles al netto di 15Mb di peso! Si è possibile anche lo Jpg SHQ ed Orf l’equivalente Olympus Raw…mai demosaicizzabile come Iddio comanda e mai usato. Gamma dinamica? Stile diapositive e ci fermiamo qui per chi intende di fotografia: quante altre volte si scriverà che le immagini prodotte da qualsiasi digitale poi finisce per essere “vista” su schermettucci di iPhone Android e compagnia cantando? A muro dite? Vi ci si dovrebbe mettere con davanti il plotone di esecuzione! A muro…pensa te che visto a decine se non centinaia di metri di distanza più che i dippiai è l’occhio che va a puttane, e non distingue più un c…artellone stradale dall’altro. Quanto al sottovetro di Galleria, figurarsi se l’acquirente gli frega dei dippiai, basta sia copia “certificata” (si chiede all’oste se il vino è buono) da Epson via Digigraphie, con tanto di timbro a secco! Consigli per gli acquisti va che gallina vecchia che fa buon brodo a patto che il manico dello chef…

Man fotografo sin dal 1969
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