Manunzio




E vabbene un’ancella della Dea Madre, fotografa, siamo buoni in questa giornata che sia ringraziato una qualche Potenza Numinosa volge al termine a nome otto marzo. Ahi, però. Il video è in sé divertente con due perle: prima mai e poi mai i rulli 120 vanno aperti al volo e poi introdotti nella Rollei del caso, Hasselblad pure etc. E questo perché: piglia e ti scappa di mano? Secondo non meno importante con il banco ottico l’ottica va sempre (senza se e senza ma) protetta anche con il volet dello châssis pellicola che fa ombra; estrema ratio il palmo della mano contro sole o sorgente luminosa che dir si voglia!
Beh certo la nostra fotografa sul campo, non prima che a casa, si porta sul set na Moka, proprio così però di quelle, molto rare, da dodici tazze! E ne beve, sarà la flemma British ma, insomma, con quella coppa di café da salire a mani nude su gli alberi che fotografa…

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Ps. La nostra usa un Sekonic, mirando posa come un normale apparecchio fotografico, tanto analogico che digitale: luce riflessa, quindi. Ahi ahi ahi l’ortodossia vuole l’incidente luce. Ahi

Pss. A precedente collegato non sappiamo se la Ilford, benemerita bianconero del caso rullini 135, ha risolta il problema della carta protettiva che s'attacca/va all’emulsione 120. Noi all’epoca non a caso preferivamo l’ottima Agfapan 100, che aveva tra l’altro la linguetta di sigillo rullino finale, al sapore di menta!





Ubi major minor cessat

Nove o tre volte tre. Al sodo via non foss’altro che si batte il ferro quando è caldo. Dunque nel precedente, cui si rimanda c’era già la prova provata sempre del Nove che tutto l'ambaradan che ci ammorba, fottografico, è distrazione di massa della giostra per gli acquisti. E poiché qui sul Diary, invece, si cerca di dire (argomentare?) qualcosa su la fotografia, senza raddoppio, ecco che i conti tornano. E cosa? Semplice con i file allegati ai precedenti post richiamati ci si è recati dal Service che tutto fa tranne stampa fotografica: AutoCad. Sennonché anche la cartaccia per Cad risultante l’immagine d’ una pimpante Epson, da chissà quanti anni lì a macinare file e stringhe alfanumeriche, e “buona” l’immagine del set natalizio in cover. Ebbene i colori lasciamo correre, ma la definizione? Da non credere per una stampa cm 40 x60 che va vista a debita distanza, e non lo dice Manunzio che certo non è l’ultimo arrivato, bensì la Pisicologia, che errore non ma si fa notte, e sue regole di visone: prezzolate si capisce.
Sia come sia niente sorprese ché il 24 ML Yashica ha colpito, e affondato: si ma chi? Ma la Munari & Co, affondata con i suoi compari di Loggia e grembiulini del Pensiero Unico. Nove si è detto e Numerologia a parte, dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che lo Yashica, via adattatore su Ep-2 Olympus Micro 4/3 è una accocchiata pazzesca.
Vero sotto la Contax (a sinistra) con Zeiss 50 mm a bordo la stampa del file di foglie post precedente; anche qui niente sorprese quanto a dettaglio pur sempre venuta su cartaccia per Cad. E il buon Zeiss 50 mm 1.8 non smente la sua bontà ottica, pur venendo dall’Analogica Era. Viaggiatore del tempo…
Qui termina il trittico o dei due Mondi che non si fanno guerra, bensì in mani sapienti da, non altrimenti, più che buoni risultati ad una frazione di ottiche à la page, per chi pratica la Fotografia che non è stessa cosa del Think-Thak Munari & Co. Anzi se la richiamata fosse onesta, a sto punto, dovrebbe chiudere baracca e burattini lasciare il condominio Myphotoportal e raggiungere un eremo per il resto dei suoi giorni accompagnata da nostra prece, e altro...amen!

Ps. Ne sono trascorsi ben cinquatacinque di anni, più di mezzo secolo c'est très chic, da quando ripresi la prima cerimonia e di battesimo con Rolleiflex e Agfapan 100 bianconero: sembra ieri!



Immagine © Archivo Fratelli Alinari


Un mondo
Era una volta la lingua italiana: offrire il destro (braccio) per cogliere il pretesto, qui d'immagine trovata, a caso, su la Rete.
Il brusio degli astanti “è arrivato il ritrattore” materializza, su la soglia di casa, la silhouette del fotografo in abiti da cerimonia. E non si sa se il giorno del si, matrimonio che di lì a breve immortalerà, sia la figura più importante ed elegante del resto; sottotraccia la tensione percorre i futuri sposi, anche perché a lui è demandata la memoria visiva del fausto evento, formato album, che oggi è sostituito da telefonini usa e getta. Fotografie, pattuite da tempo con caparra, in bianconero trediciperdicotto per “sparagnà” qualche soldo, diciotto per ventiquattro per chi gode di certo status e, approfittando dell’evento, mostrare agli altri (l'album fotografico poi come edicole votive richiudibile girava di casa in casa) il suo “avanzamento” sociale, per di più posto fisso in questo o quell’Ente, Anni Sessanta del Novecento.
Si veniva scaricati (non eravamo patentati ché squattrinati dal patron dello studio fotografico nelle masserie più sperdute, piccoli paesi; vigeva allora la regola non scritta ma concordata in “assemblea” di categoria per la spartizione, zona d’influenza, luoghi di “conquista” cui si ricavava rendita dalle cerimonie tout court, come più o meno usanza medievale grazie soprattutto al compare locale, iscritto in una più vasta rete familiare e di compari San Giovanni; sensale, factotum, in accordo con il fotografo vi ricavava “ringraziamento” formato cartamoneta, o servigi di varia natura, patrocinato sempre dal patron lo studio fotografico, nel Capoluogo: visure catastali, ricette mediche e simila per sé e la rete di amici e famigli del clan) già di buon mattino quando tutt’intorno sembrava ed era la camerata allo squillo della tromba: chi di qui chi di là, mezzo calzati e vestiti usava dire. Un vai e vieni discretamente spaesato. E la “capera” al solito che tarda ad arrivare e preoccupazione. Tutto il tramestio avveniva fra mura domestiche della sposa, figura preminente dell’evento.
Frammisto a profumi di toilette, aleggiava per la masseria, casolare, altrettanto aroma di cucina con i suoi addetti, scelti fra le migliori della zona o da altre convicine e rinomate per preparare il pranzo nuziale, da lasciare con tanto di occhi di meraviglia, e panze piene all’inverosimile: ‘ann gì cu li man’ p’ ‘nderra. Tanto venivano “riempiti” gli invitati da tornarsene, poi, nelle proprie abitazioni satolli, sazi e pieni da "strisciare" su le ginocchia, il massimo dell’ospitalità. Crepi l’avarizia almeno quel giorno!
Nella borsa (da stadio, baule enorme) del fotografo, tra rullini 120 Agfapan bianconero, Rollei biottica doppia si sa mai, e Metz gemelli per ogni evenienza, controllato e verificato con maniacale fare il giorno prima dell’evento, trova posto finanche il bouquet per la sposa, “pensierino” da parte dello “studio fotografico” e sornione compare di San Giovanni lì presente, a sottolineare…
La mattina si presenta già calda, afosa, il sole fa la sua, ma il Metz/Multiblitz flash montato su staffa alla Rollei, e lì proprio per il fill-in ed evitare ombre sui volti (s'immagini il lieve candore della sposa e l’abbronzatura, ecco, dello sposo-zappatore e quand'altri più bianconero di così!) soprattutto all’aperto.
Il corteo finalmente avanza tra ali di folla dei paesani. Una processione elegante. Si, a volte le macchine (auto anche a nolo) sono indispensabili per il tragitto verso la Chiesa Madre, e tanto per sottolineare l’importanza del giorno e l’evento; più sovente è un procedere lento (anche troppo) del corteo con la sposa in abito bianchissimo e poco strascico (mica quei filmati bianconero Rai di regine, nobili e parvenu, spose dagli strascichi chilometrici e paggi scoglionati per la cosa!).
La sposa al braccio del babbo, del fratello nel caso avverso, finanche zio diretto muove verso destinazione. E l’ora dello scampanio e l’ingresso in chiesa addobbato lungo navate. E poi...lo sposo che prende in “carico” la sposa e…Fleshate si susseguono: scambio anelli, rituale della firma da non mancare per nessuna ragione è per questo il doppio corpo Rollei: una raffica non motorizzata ma meditata al momento giusto.
L’usciata fra scampanio, un’altra, e riso su gli sposi. Riso? Una pioggia torrenziale pure pericoloso ché era d’uso menare manciate su i poveri sposi, chini la testa a protezione del riso e “confetti” e monete auguranti, ma contundenti non poco!
Flash a seguire, manovella della Rollei un giro avanti uno dietro per “armare” l’otturatore e spingere in avanti la pellicola d’un altro fotogramma.
La sala, l’ammuina da stadio, bambini a rincorrere su l’acciottolato ancora confetti e monete; l’ingresso degli sposi con “brinns’” in coppe di metallo poi vetro pretenzioso. Tutto fra mura domestiche, tutto al più di “ristoranti” bardati, o en plein air di masseria tirata a "specchio" come non mai. Così lo sposalizio dello zio da somigliare a quei festini all’aperto stile “’mericano” come se ne vedono negli odierni schermi televisivi, a puntate, da Dallas in poi.
A sera (notte!) mezzo distrutto per il giorno, eccoti pimpante il patron azzimato ed impomatato da paura, mellifluo avvicinarsi agli sposi per i convenevoli del caso, sotto lo sguardo, a latere, del compare di San Giovanni, e rituale: “A posto?” e rimando “Si, tutt’apposto!” draconiane parole. Saluti, infine pacche su la spalla a questo e quello, infilato la macchina il fotografo di lato con il patron giusto due battute e il sonno cala inesorabile, così sino al Capoluogo. Domani è un altro giorno con sviluppo dei negativi, poi la stampa...



Ps. Tutti i giorni venivano dalla provincia ‘ncapa a lu monn’” le seicento multiple, millecento fiammanti d’autisti noleggiatori, portavano gente per i servizi più vari e disparati da sbrigare ne Capoluogo lucano. Un’avventura che si leggeva sui volti dei “forastieri” fra l'incredulo e spaurito come certi passi di Lauzi, Genova per noi.
Non c’erano liste nozze, sicché ogni regalo era per di più pensato per “praticità”. Si, i parenti più stretti chiedevano cosa abbisognasse gli sposi, per il resto si è detto.
Capera/pettinatrice/parrucchiera a domicilio la donna esperta per “aggiustare messa in piega” della sposa e della mamma, zie e…
Ritrattore con voce guttural-sguaiata sta per ritrattista fotografo






Fresco di stampa

Beh certo quando fu “accattato” acquistato in prima edizione: AD 1970. E del perché presto detto: fotografo mica poi dozzinale, o com'era d'uso da “scattin'” dalle foto seriale senza un minimo di impronta propria, da flashata in faccia tipo casellario giudiziario. Già 'na botta di luce flash Metz e pacco batteria portato in spalla, mentre la parabola grigioverde da “sbirro” fissata con staffa all'immancabile Rollei biottica caricata d'inimitabile Agfapan 100 by Agfa ca va sans dire.
Senonché il prurito di vendere le foto, eh, contrastava le distanze sino a Milano, piazza d'armi delle agenzie, troppo lontana assai, almeno sino ai primi del Novanta: “ventennio” dopo, oh in Italia sono famosissimi i “ventenni” da Piazza Venezia in poi!
E così, su le pagine di Progresso Fotografico, d'una volta prima di subire il re-branding da compulsivo consigli per gli acquisti; mensile del linguaggio fotografico, inchieste e retropalco, per scritto per lo più da Tomesani, sì, quello di Tau Visual, e che una volta abbiamo visto vis-a-vis alla “Sala degli specchi” a Milano, mi pare il ritrovo della Stampa presente l'istrionico Lanfranco Colombo per un incontro che manco ricordiamo più. Lanfranco che si spinse, pensa te, sino a queste contrade (!) a Rionero in Vulture sede d' un pimpante Lab colore, e presso cui dopo mezzanotte e un centinaio di chilometri andata e ritorno, portavo le EPR-64 Kodak, 35 millimetri e rulli 120, scattati la mattina, ora qui ora là slide che stanno (pisolano?) nell'archivio di Manunzio religiosamente in plasticoni: dodici tasche trasparenti opaline per seipesei.
Libro formato mignon, dunque, che tracciava quello che era il “excursus” per vedere le benedette foto: si vabbè non prima di “oliare” gli ingranaggi. Mazzetta cui il Tomesani richiamava ed intendeva per l'unzione...Mai piegati all'andazzo: da Grazia Neri decana delle agenzie, cui pure provammo il “giro”.
Libro a dir vero che, tuttavia, è ritornato utile a tener la “fiamma” accesa per quelle volte (vedi Ventiquattrore supplemento al Sole Ventiquattr'ore) anche se al corrente, ultima decade il Manunzio, s'è dato all'Arte inkjet e carta cotone, Ah com maiuscola, si capisce. Mah!



Pan' & Curtiedd'

So intendere i Sordomuti e loro alfabeto. Manunzio è speciale. Avevo un collega (in questo maledetto Paese mai e poi mai qualcuno che ne parli e dei fotografi dello Stato che si potrebbero scrivere scaffali eroici) a tutti gli effetti che sviluppava e stampava a...Ministero Beni Culturali ai tempi dei “mitici” Sessanta del Secolo alle spalle. Stampatore provetto ed instancabile: uno schiavo. Vabbene flash back. Soprintendenza...non c’era giorno che Pippo (gli sia lieve la terra) Chief Commander Lab sindacalista e di idee “verdi” ante litteram si trovasse in Laboratorio, preso ed invischiato nella ragnatela (a cambiare il Mondo!) Pci-sindacalista e Consigliere comunale ripescato, dopo che quello davanti lui si era rotto i coglioni delle liturgie di “sinistra”. E capirete, almeno sino a quando non arrivarono truppe di rincalzo il sordomuto presidiava la camera oscura.
Scatti di reperti seguito di scavi che di malavoglia Pippo eseguiva a limbo di plexiglas per avere lo scontorno in ripresa (Pshop nessuno se lo sognava) rigorosamente su Hasselbad e faretti e accese discussioni circa il dotarsi di più moderni Bowens monotorcia al posto delle lampade in padella! Negativi per agli studiosi che così potevano concentrarsi sui “cocci” del III secolo o II o chissà quale Epoca, anche su questo ero testimone di “opinioni” sostenute fra archeologi, mentre davo una mano all’amico fotografo insieme sin da ragazzi.
Il sordomuto, allora, per niente fotografo quando entrava in Camera oscura non era secondo a nessuno, anzi. Scatti su trediciperdiciotto e carta Ilford dalle riprese di Pippo.
E qui apriamo doverosa parentesi: carta cartoncino che non sono per niente sinonimi e trattamento negativo. In Era analogica il bianconero, boss della situazione, era Agfapan 100 lo standard, altro e diverso dalla Plus-X di Kodak: senza storia. Negativi che sviluppato in vasche verticali da trentacinquelitri (altre discussioni per arrivare ad usare le Patterson multi-rocchetti maneggevoli ed economiche) a farla da padrone il Dektol o DK-50 di Kodak, mentre il fissaggio si faceva a mano miscelando acqua iposolfito + metabisolfito di sodio. Materiale e ancora una che veniva stampato, infine, su Agfa Varioscope automatico per i fuochi e marginatore parimenti auto per la posa, al fotografo solo passare il negativo ad ingranditore in automazione. E si consideri che passare ore e giorni in camera oscura non è uno scherzo, quindi una manna il tutto automatico, e possibilità di intervento manuale: fuochi tempi esposizione alla bisogna. Scatti su fogli Ilford a chiudere la triade per il terraqueo: Agfa-Kodak-Ilford. Fogli di carta alla lettera (Agfa faceva meglio in formato in A4 adatto agli stampatori di negativi d’archivi microfotografici italici) utilissimi per poi essere incollati su schede tecniche e conservati per l’archiviazione (nessuno sognava Access). Viceversa e della stessa Ilford i cartoncini fotografici usati in quasi tutti i Fotolab del Belpaese, anche se per certo periodo funzionò la Ferrania poi divenuta 3M Minnesota, allorché la Famiglia Agnelli la “regalò” dal suo immenso portafoglio agli Usa, e non fu mai più il blasone fotografico italiano: quello corrente è un nostalgico re-brand che nulla sparte. E le bellissime carte Agfa, no? E come no: Portriga docet!
Sordomuto, ancora una, che giostrava in camera oscura senza dire una parola...vabbè il calembour è partito e ve lo tenete. Ore. Poi finalmente la finestra (rigorosamente in nero schermata con ventilatore cambio aria ad hoc) s’apriva sul giorno: per chi è mai stato in camera oscura la stessissima sensazione di quando ci si alza da letto la mattina, certe onde cerebrali Alfa Beta..E le copie finivano nella turbo-lavatrice, cestellone ove l’acqua via pompa idraulica vi entrava da basso per fuoriuscire da l’alto. No eh? Immaginate la lavatrice a ciclo finale...Infine la lucidatura con smaltatrice Alf (Officine di Alta Precisione) un cilindro (rotativa) enorme tirato a specchio e internamente riscaldato da resistenze elettriche: serviva ad asciugare le copie e dare lucido alla stampa finale. Avremmo chiuso le parentesi? Boh e sai che novità, Manunzio!
E pan’ e curtiedd’? Quasi dimenticavo, traslitterazione senza senso alcuno in italiano: pane e coltello. Ci si capisce e si rende giustizia all’espressione popolare, di quando gli operai o salariati a vario titolo a mezzogiorno, quando la vicina manovalanza sul pane metteva un pomodoro schiacciato, della verdura da casa, i più fortunati il cucinato di mezzogiorno: paste e carne. E c’era chi manco tutto questo, un pezzo di pane più ancora raffermo e coltello/companatico: taglio di coltello e fetta di pane in bocca: pan’ e curtiedd’. Pausa pranzo, diciamo così, e sino a sera quando poi “ papànonn’ ” di ritorno a casa trovava pasta, verdura e...vino non dei migliori perché quello buono si spillava nelle ricorrenze


Ps. La lampada in padella non è nuova di Chef stellato televisivo a tutte le ore. Quanto una lampada generalmente Nitraphoto opalina da 300 watt all’interno di porta-lampada simile a “padella” profonda, cui asse la lampada poteva muoversi avanti/indietro, non proprio Fresnel quanto concentrare o meno il flusso luminoso. Uso di lampade che visivamente consentiva di “vedere” la luce e conseguenza. Cosa non possibile con i flash monotorcia e/o a generatore a parte, anzi per questo erano equipaggiati, i flash, di cosiddetta luce pilota, tanto per avere un idea alquanto vaga ma meglio di niente. Veramente per verificare luce e pure esposizioni si faceva ricorso ai Polaroid bianconero o colore in caso di dumping diapositive. Il bianconero era anche riutilizzabile, il negativo, una volta tolto il positivo e fissato in modo adeguato era un ottimo “negativo” adatto alla stampa sotto ingranditore

Pss. Lo mettiamo alla fine per chi ne vuole. Su la faccia della Terra quel giorno c’era Mister Carter, from Usa cousin of President Jmmy. Well. E presso il sopraddetto Lab tutti ma proprio tutti si erano squagliati (dati alla macchia) tranne il sordomuto che diede il mio numero telefonico (nessuno sognava iPhone e quando c’è da rompere i santissimi, si chiami Manunzio) alla centralinista che parlava, certo, ma cieca lo compose via Breil! Insomma avevano bisogno di me perché un americano...arrivai più per curiosità che altro. E siccome, detto, non c’era nessuno dei “fotografi” mi si para davanti sto corazziere di Carter, non in camicia a fiori tipica degli Yankee in viaggio, ma blu flanella a righe: una scacchiera per camicia. Breve ora siccome il mio inglese è di certo grado superiore a The Queen e il Carter italiano da non dirsi, a tratti sembravamo due sordomuti! E faticai non poco a far intendere all'americano che la sua Nikon F era poco adatta a riprendere certi “cocci”, meglio un Hasselblad, che però non aveva. Capì al volo il vero sordomuto collega anzidetto, aprii l’armadio blindato e tirò fuori ogni ben di Iddio che manco a Goteborg sede della Hasselblad aveva! Caricai i magazzini di Agfa e...tutto andò per verso giusto. Chi pagò il tutto non lo so e mai chiesto, d’altronde fra amici degli amici archeologi: che dire? Niente. E infatti




Archivi della memoria

Serie di seipersei Rollei d'anatan riesumate nel sistemare l'archivio analogico trasposto in digitale; quando immagini simili sul finire degli Anni Sessanta erano etichettate o incasellati su riviste di fotografia nella categoria “terza età al sud”. L'importanza del casellario veniva, secondo questi maître à penser, prima di ogni altra cosa e come cassetta di lepidotteri infilzati.
Tuttavia qui preme ricordare di come, anche con una poco agevole Rollei, era possibilissimo costruire “storie” con meno di niente, poi in camera oscura il quadrotto fotogramma sotto ingranditore Durst poteva essere “tagliato” e riquadrato secondo necessità o gusto espressivo personale con tutta la “nitidezza” degli Zeiss a corredo delle Rollei. La pellicola una collaudatissima Agfapan 100 trattata nel calderone (non era ancora in uso le tank su rocchetto nylon alla Paterson) Kodak, in lunghe vasche verticali termostatate e da 35 litri di sviluppo, che a cadenza di materiale negativo bianconero trattato, si provvedeva ad integrare con pari quantità di soluzione fresca

Ps. Il formato Leica noto come 135 aveva ed ha controparte, simil colonne di Tempio, nel codice 120 che significa Rollei anzitutto, Hasselblad Mamya etc verrà dopo, e diversamente da quello si utilizzava per cerimonie in particolar modo, e cronaca tout court. E presso Foto-Agenzia Lampo dove chi scrive ha fatto gavetta, in sorta di Agenzia Carrese strapaese, a cadenza regolare capitava un giornalista che firma il pezzo poi infisso con le foto su la bacheca anodizzata della Pretoria o Main street cittadina, e il giorno seguente, via fuori sacco postale su la tratta per Bari, le pagine interne della Gazzetta del Mezzogiorno (a volte il Roma, Mattino di Napoli o Tempo della Capitale) cui redazione cittadina era a pochi metri di distanza.



Matrimonialisti


Ve ne state a guardare il vostro video su Youtube quando: zacchete la réclame che spegnete subito. Però stavolta…è Sony che presenta sue digicamere per mezzo dell’occhio del fotografo, in caso di specie italiano! L’ambientazione dovrebbe essere sul Lago di Como, Maggiore Minore…ma che ce frega. L’atmosfera è quella giusta di una giornata di nuvole poi “colorate” di grading à la page. Il video.
Fotografo avec le fisique du role in barba e capello corrente che fa Ottocento style: mah! Vestito di scuro come s’addice al momento del matrimonio, dove tutto ma proprio tutto gira intorno alla sposa: il mondo ancor più oggi è donna…c’avanza più d’un dubbio ma non sottilizziamo almeno qui.
Perché se ne scrive direte là fuori (ancora vivi)? Certo non per Sony che ci sta sui c… questo no. Quanto per quei giochi di rimandi che lo spot mena per l’aere di nebbie. Quando negli Anni Settanta venivamo lasciati (dal boss Agenzia Foto Lampo unico che aveva l’auto) in sperdute masserie di paesi nel circondario. A casa della sposa (!) e senza sale ristorante, casomai un bar locale un po’ più grande e manco questo come accadde per il matrimonio dello zio: in campagna non ancora à la page anche qui, di quelle odierne ville mezzadrili o signorili "ristrutturate" che una volta era scandalo e arretratezza (di chi?) ed oggi…vedi le grotte dei Sassi materani. Oggi very nice. Ah besenisse di un besenisse.
Scaricati, di ritorno, sul luogo e di cert’ora mattutina seguivamo (fotografando) l’intera giornata di matrimonio poco meno di ventiquattro ore con Rolleiflex e Metz in livrea da questurino grigioverde. Agfapan 100 bianconero (!) e pochi scatti a colore in rigoroso tredici per diciotto e diciotto ventiquattro Ilfobrom quello. Parsimonia di costi e inquadrature, giusto l’indispensabile senza far assumere alla sposa e consorte pose dal “rotocalco” d’epoca o corrente odierno Grande Fratello, Sorella e reality ammiccando.
Sony, infine, e suo mentore in barba e capello acconciato in tono con sue digitalcamera, e pippe, purtroppo, quando accenna ai 42 megapixel dei file, daje, o doppio slot per le card (Sony nasce telecamera…). Uniche cazzate a man salva. Il resto sono immagini molto belle d’atmosfera e di un gusto reportistico che condividiamo appieno e senza luce flash: tombola!

Wedding photographer Cristiano Ostinelli
Ostinelli site


Manunzio fotografo sin dal 1969

Ps. Dettagli del “matrimonio”? Evidente chi ne reclamizza beve e/o cirrotico cronico. Morbidezza la misura del matrimonio, tant’è vero che al posto del Planar seisei di Rollei preferivamo il “morbido” si fa per dire di Yashica Mat 124 G (!) casomai non accoppiata a Kodak film ma a 3M (ex Ferrania al corrente ri-esumata). Lasciate perdere erano i “sacri” testi di Tutti Fotografi a darne conto del mix el curatore la sezione colore Renato Macrì…e sperimentato in corpore vili!



Riproduzione con iPhone 4

Memorie sperz'. Sparite. Da fotogramma seisette di Asahi Pentax una volta poi solo Pentax. Gran macchina solo il doppio, pesi ed ingombri, di
normale reflex analogica d'antan.
Fotogramma su Agfapan 100, una signora pellicola, a sua volta stampata su Lith (detta fotomeccanica) Kodak da farne “dipositiva” in formato diecidodici simile a lastre di banco ottico, ed usavamo una Cambo leggendaria.
L'immagine (su in alto) è uno “spettro” bianco e calcinato con due occhi e porta per bocca l'ingresso laterale d'una fornace di mattoni, dove per troppo tempo visse e lavorò come cane uno zio con famiglia, fintantoché si trasferì e nei “mitici” anni Sessanta (ognuno ha le sue migrazioni e quando a Nord su cartelli era impresso “non si fitta ai meridionali”) a Varese con più dignità e prospettiva per la famiglia. Oggi il luogo non esiste più, in sua vece un lungo casermone con portico dove si aprono negozi e ricevitoria dove bivaccano giovani senza futuro. Ai piani alti tanti gli appartamenti vuoti, celle d'alveare che mai vedranno ombra umana

Man

Sotto l’ombrellone: Figaro & Minolta


Vabbene è un'altra storia degli anni Settanta trascorsi, d'un figaro limitrofo, meglio ancora coiffeur pour dames. E si sa nei piccoli borghi bisogna inventarsi di che vivere quotidiano. Senonché il nostro è abbastanza intraprendente e viene a trovarci allo Studio FotoLampo (Agenzia fotogiornalistica Lampo) che oltre le classiche foto di cerimonia, è anche vera e propria agenzia like Carrese Pubblifoto. Infatti il giornalista (Saro Zappacosta e altri) sagace nello sbertucciare il potere volatile locale: volatile nel senso autentico, poiché notorio feudo di Colombo (alias Balena bianca e/o Democrazia Cristiana). E quindi l'Agenzia Lampo con bacheca sulla main street, o detta Pretoria su modello accampamento romano, pure ammanigliata con la Rai, e suo operatore Mimì Abbatista sodale del boss Rocco Abriola della Lampo...Un bel focus di provincia italiana.
Ma che c'entra il figaro? Eh quanta fretta! Intanto il figaro era certo Lorito cui a quasi cinquant'anni è difficile associane nome: poco importa. E dunque veniva dal paese per commissioni nella “città capoluogo” e per apprendere di fotografia, pensa te. Il che consisteva nell'imparare a caricare la Rolleiflex, con cui il nostro eseguiva, anche, i famosi o famigerati fototessere per documenti...e cerimonie: battesimi cresime e matrimoni, pure questo.
Siché il boss della Lampo gli impartiva che la biottica ha un solo tempo (?!) di sincrono 1/125 e “solo” due diaframmi: ossia f8 fino a due metri o giù di lì, mentre f5.6 per il resto. Tutto qua la ripresa fotografica! Quanto allo sviluppo e stampa si stende un velo pietosissimo.
Poi certo ad una tedesca (Rollei biottica) potevi far mancare un Agfapan 100 teutonica? No di certo. E con un po' di menta, che uno dice: sarebbe? Ahh paisà...quando si estraeva dalla biottica il fatidico 120, nome in codice, con mano destra, così come si farebbe d'una cartina e tabacco per farne, ancora oggi, sigaretta à la page (!) bisognava chiudere il rollfilm, sigillarne tutt'intorno il rocchetto finale. Niente di trascendente, infine, ma leccare, inumidire con lingua la fascetta intorno alla carta protettiva del rollfilm. Più pratica veloce a farsi che a scriverlo! Figaro Lorito, va. Senonché il coiffeur del paesello, non certo un'aquila, si fece “abbindolare” dal sardonico boss, e invece della Rollei gli “consigliò” una Autocord Minolta. Verbo, abbindolare, un po' forte esagerato ed irriverente poiché qui si parla pur sempre di quella Casa della mitica Srt101: Minolta appunto, e sue più che degne lenti Rokkor! Vabbè preistoria e però…
E particolarità saliente della Autocord del Lorito figaro il fatto che, mentre Rollei ha manopola laterale per i fuochi, al pari della mitica Yashica 124 G, la Minolta sottostante la seconda ottica (cui deriva il termine, appunto, di biottica) leva per i focheggiare. Non sapremmo dire se “very fine” o user friendly ché mai provata sul campo, spiace

Man


Il nome biottica
Publifoto
Autocord Minolta

Territori fotografici



Maggio periodo di cerimonie religiose, battesimi prime comunioni ed anche matrimoni, che segna l’inizio della cosiddetta bella stagione. Siché senza gli smartphone rituali, si parla della fine anni Sessanta e inizi successivo, quei momenti venivano immortalati, ecco, dai fotografi da studio.
Dunque gli studi fotografici che avevano, diciamo, loro sensali procacciatori sparsi per il territorio. Ecco ci siamo. Si perché oltre lo studio cittadino, in un'altro post se ne raccontato ammontare ad una decina nel Capoluogo, i fotografi avevano spartito la Provincia lucana in territori fotografici: ognuno “marcava” il suo e per gli intrusi eventuali ne avrebbe pagato conseguenze non da poco.
Maggio partiamo di primo mattino e siamo in quattro. Un serpente di strade e poi come una rocca turrita e lontana, Acerenza baluardo della piana pugliese sottostante. I contrafforti e opere murarie a contenere la stabilità del piccolo comune la fanno, appunto, somigliare a città fortificata di quelle per intenderci che si vedono nelle scene di film prima dell’assalto degli invasori.
La giornata è limpida ed al collo porto - finalmente dopo mesi a lavare vetrine e copie dieci quindici passate alla smaltatrice, roba da “apprendista” – la Rollei e nelle tasche una manciata di rollfilm Agfapan 100, emulsione che è un cavallo, meglio mulo, e se la cava sempre (nel fotostudio sono addetto al trattamento delle pellicole e come iniziante non è cosa da poco).
Dopo il caffè attendiamo la processione, una volta era così, che dalla Matrice si dipani per l’intero paese: il boss del fotostudio indica dove sistemarci per fotografare il tutto. Mi sento come di quei film di guerra a “rastrellare” la zona. Finisco i rollfilm ché dalla mia postazione e il sole e il tutto mi consente delle buone inquadrature ai ragazzi e ragazze della Prima comunione. Adesso non ne posso più dopo ore e me ne vado per il paese, gli altri continuano gli scatti con il flash in pieno giorno (si dice fill-in, no?) Metz dalla livrea grigioverde e con tanto di “palle” che si è detto un’altra volta a verifica carica batteria.
Sotto un’aria che si è fatta calda gironzolo per vicoli del paese, quando ad un tratto una vecchia intabarrata nel costume paesano, mi chiede una foto: non una qualunque ma p’ document’ mi dice. Attimo di panico e come la risolvo senza padelle della diffusa, lo spot e la seinove da studio? Meno male che c’è un muro calcinato di fresco: accomodo la “nonna” davanti al muro, la sedia ce l’ha già essendoci seduta sopra tutto il tempo del prima dopo posa, e tanto da farla sembrare figura mitologica metà impagliata/seduta e metà sembiante umano. Il flash fa la sua rischiarando il volto e saturando (sovraesposto) il muro già bianco di per sé (in camera oscura provvederò ad equilibrare meglio la scena, sebbene poi si capisce che lo sfondo non è il “limbo” dello studio…). La posa c’è e tutto “regolare” come gli scatti fatti alla processione: non uno sgarrato. E il boss che dice? Muto come un pesce palla, data la circonferenza del suo giro vita…E’ invece Luciano (alter ego del boss) a sfottere dicendomi che si aspettava di peggio…mentre i clienti dal paese vengono con il postale (la corriera) e rare automobili, allo studio a ritirare i trediciperdiotto bianconero dei propri figli nel giorno della Prima comunione.
E dei matrimoni? Paisà alla prossima e di quando i pranzi nuziali si allestivano in…casa come quello dello zio scapestrato che…e della zia di Neve Iorche venuta apposta e di un omaccione con Leica al collo che scattava per Life…

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