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Benenisse (loro) su le ali della nostalgia (nostra)
invenzione lessicale svizzera



Kodak e Super8 (dall’altro Fujifilm aveva il Single 8 delle mirabilia e pressa-pellicola del quadruccio in metallo stile Arriflex) lo mette a morte (Kodak poi muore a sua volta, fallisce ed è storia odierna).
Finisce il Super 8 e suoi caricatori Kodachrome, arriveranno alla canna finale gli Ektachrome (anche 160 ASA e caricatori sessanta metri per le cineprese Chinon) e pure altri brand(y) ci proveranno pure Petri ed Agfa. Infatti: compagni si cambia, silicio è bello, sebbne, il motivo è sempre quello: tolto il besenisse analogico mica niente, il silicio che terra è per il controllo finale su la mandria umana; telecamere dappertutto, monitor e desktop etc. Da ultimo, tutt’altro che peregrina idea, ci pensa Leica e suo “copyright” su file seguita al corrente da Sony. No eh?
Un saltino indietro che la storia non è acqua o “fattarielli”. Anagrafe, carte di identità e tanto di foto del proprietario, via, professione….servì alle truppe nazifasciste di arrivare capillarmente a beccare i cosiddetti oppositori/eberei, per camera a gas che di lì a breve doveva portare alla soluzione “finale”. Ma solo di certuni ebrei, diciamo “basso basso” robetta. E se qualcuno ricorda (!?) il Rigoni Stern, mitico Sergente nella neve, in Ritorno sul Don della Einaudi, l’episodio della Segheria “fotografa” due ebrei marito & moglie salvati nottetempo da una nera limousine di Vaticano Spa. Siamo tutti uguali, no? No.
Torniamo a bomba e di sti tempi (!) ecco un altro contrordine: compagni accatevill’. Vabbene ma cosa? Oh il Super 8 risorto più bello e più gaio che pria. Pellicola lillipuziana e ci si lamenta dei sensori che lo tengono “piccolo”!
Il Seupr 8 era una forma tra il casalingo album familiare e l’impegnato (usato finanche da Nanni Moretti saccente e squallido figuro, ma tant’è) noi si è immortalato con i suoi caricatori (You Press the Button, We Do the Rest) da quindici metri standard girato per ritrarre, anche, la nostra città più di cinquant’anni fa. E girammo pure il nostro Giù la testa...coglione con l’amico di sempre ed altre “comparse” alle prese con (sua) vera pipì emulando il film, impazziva per sta scena, girato in una cava abbandonata molto scenografica dove oggi ci crescono le ginestre in estate. Pellicole andate “perdute”.
Super 8 del matrimonio Rai, si, Celeste Rago annunciatrice radiofonica trasmutata poi in giornalista nella scenografia Maratea di qualche decennio anno fa. E finanche i “lupi” non animali bensì la band de noartri qui in questa landa che riprendemmo non altrimenti da catodico tubo bianconero Rai con Canon Super 8 Auto Zoom 518, la stessa della Rago
Supe 8 che si portava a sviluppare da Zatopec/FotoBucci che a sua volta spediva ai lab Kodak, e ritirato 15 giorni dopo…

(Copia & Incolla se vi pare)

nostalgia...entra nel vocabolario europeo nel XVII secolo, per opera di uno studente di medicina alsaziano dell'Università di Basilea, Johannes Hofer
https://it.wikipedia.org/wiki/Nostalgia

https://www.kodak.com/en/motion/page/super-8-camera?CID=go&idhbx=super8camera

https://petapixel.com/2023/11/22/kodaks-new-super-8-is-a-5495-limited-edition-mashup-of-film-and-digital/

https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=cJzz7UwNr9A

https://it.wikipedia.org/wiki/Single_8







A.D.
Millenovecentosettanta
Duemilaventitrè


Finalmente a casa? Certo che il cerchio si chiude e lo ricorda il Logo da poco, ma state a sentire. A sinistra dell'immagine sovrastante, il pacco di cartoncini analogici oramai velato ed inutilizzabile dal trascorrere gli anni che era il classico diciotto-per-ventiquattro, molto smerciabile: vero, a parte i matrimoni ancora in bianconero, certe redazioni con “allure” il ventiquattro-per-trenta la condizione base. Il formato subito superiore a questi era appannaggio dei passepartout da galleria, quaranta-per-cinquanta per “puristi” del formato Leica.
Ilford, in basso a destra dell'immagine, qui, in formato RC o detta auto-smaltante all'epoca per non dire supporto in plastica, che asciugandosi all'aria, diversamente dalla smaltatura a cilindro, era funzionale per le agenzie e loro usuale fretta. E noi di questa landa i “fuorisacco” o l'antesignana della posta celere si permetteva alla Gazzetta di Bari ricevere le immagini per l'impaginato quotidiano in tempo per l'offset; il Mattino di Napoli; il Tempo e il Roma della Capitale. Vero anche a Milano per il Corriere. E d'altronde chi per ventura si è imbattuto su queste pagine, sa che lo (studio) dov'eravamo apprendisti stregoni-factotum o Agenzia (foto-giornalistica) Lampo, una simil Carrese di provincia italiana; immagini di cronaca usate finanche dalla convicina RAI, distante dal centro cittadino e noi poche centinaia di metri.
Ilford, di ritorno, RC e niente Multigrade poco in uso, lo si evince dal 3 che sta per contrasto stampigliato su la scatola (alla destra) cui clown sembra fare il verso (tanto di cappello, eh) all'altra d'eleganza particolare.
Siamo a cinquanta e oltre anni di distanza, non più silver halide, bensì inkjet. Due mondi e lo si vede dalla composizione legati idealmente e con guanti bianchi, pensa te. Le mani in pasta, meglio nella bacinella del bagno di sviluppo analogico con nonchalance al posto delle scomodissime pinze; oggi bianchi guanti necessari a prelevare-sistemare cartoncini nella stampante del caso, Canon, brand che pare va a nozze, sembra, con le carte e matte, verosimilmente per composizione-inkjet.
Ilford in nero (a sinistra) cui interno (si tratta di un sample pack riuscito ad avere rocambolescamente da quando l'Albione patria d'Ilford ha smesso di stare, dicono, in seno all'Europa) è fra l'altro la mitica Galerie baritata, versione “uguale” l'analogica che, tuttavia, pesava molto di più; un'altra interna versione di pari caratteristiche, sebbene stesa su cellulosa, opaca scorre al tatto. Interno Ilford dove pure trova posto, in due versioni che a noi sembra sovrapponibili, le Glossy che provano a fare il verso al mitico Ilford-Cibachrome.
E ora di sample non ne useremo più, d'altronde se la Ilford è diversa (?!) da Canson e questa da Hahnemühle, sodalizio europeo manco a dire franco-tedesco, baryta o meno è esercizio retorico; siamo oltre il piluccare, a sti livelli o si è fotografi stranavigati per capirne le sottili sottigliezze, o viceversa minchiapixellisti & gallerioti, chiappe al vento, ecco!

Ps. Mettiamo qua per non appesantire l'immagine con didascalia. Immagini di due mondi: a destra l'analogico agire di pellicola-sviluppo-stampa. E per arrivare a questa bisognava possedere su le spalle centinaia e centinaia d'ore nell'antro alchemico-camera oscura; fatto di mille accortezze e tanta ma proprio tanta manualità artigianale impensabile oggi ai “pellegrini” pinguini giovani leve che ri-tornano al bianconero, lo riscoprono pur non avendone traccia alcuna nel loro già manomesso DNA. La cosa ben più che boutade, è costatatio di chi ha vissuto mai i tempi in cui tutto era “bianconero” e, quindi, difficilissimo da intendere ed impossibile trasferire su carta, nel caso Ilford Galerie il non plus ultra.
Ilford digitale in bella ed elegante scatola nera, piena di “smooth” surface rag dove il Mastro è l'arcinoto Pshop e “fratelli” tra cui l'impareggiabile e beffardo Wilber mascotte Gimp, mastodonte programma che fa, se restiamo al solo bianconero, cose pregevoli. E d'altro non è caso ché troppo very nice tipo PhaseOne: de gustibus!


Mondi incomparabili, a destra la bellissima Canson Baritata Prestige II, che pare andare a nozze con ink Canon. La somiglianza, mettiamola così, con la classica baritata tipo Gallery Ilford è impressionante per i bianchi e profondità dei neri su superficie con debole riflessione, che esalta ancor più le scure tonalità. Superba per il bianconero, eccessiva per i colori: de gustibus. In questo la “camoscio” a sinistra ha neri lievemente d'ambrato e mai profondi neanche con la 609 Maimeri, spray che ravviva pure le “morti” nuance e che qui si ferma sul “limitar di Dite” restituendo, comunque, un bel Old Style per la parte bianconero del test; su i colori dello stesso giusto effetto “evanescente” che si predilige. A dimostrazione, infine, che la Carta non è data “solo” Brand, anzi, è funzionale alla narrazione. Sicché per Belle Arti o spalmato di Solfato di Bario inkjet, il supporto (acid free senza azzurranti Oba) è una questione di linguaggio/i



Si fa presto a dire carta, giusta

Per chi ha passato i migliori anni in camera oscura e ne conserva ancora i vapori, luci inattiniche, pose e viraggi...resta nella memoria la stanza buia e sue malie alchemiche, cui è del tutto orgogliosamente debitore Manunzio.
Carte Ilford Ilfobrom, soprattutto, e in formato cartolina bianconero per i clienti. E quando nel laboratorio (Agenzia Foto-Lampo cui ero garzone, a dirla tutta, factotum) non c'era anima viva, alé stampavo le cose mie con tutto il tempo necessario a sperimentare: tutto. Bagni (chimici cosiddetti per sviluppo, ma non solo) fuori standard e carte compresa la Oriental: sì, quella di Ansel Adams. E poi la Ferrania, una in particolare, che in epoca sessantottina faceva storcere il naso.
Uno stacco. Negli anni di “piombo” la stampa bianconero, tra l'altro, oltre ad essere estremamente contrastata in accordo con i tempi (bella in questo le Vega della Ferrania, che una volta sottoposta, certi reportage, al Mentore Lanfranco Colombo della prima Canon/Diaframma poi Kodak/Diaframma in Via Brera di Milano, le espose per non so cosa) la stampa aveva, doveva avere, i bordi al “vivo” senza cornice bianca “borghese”. E se vi par strano, ai tempi del digitale terrestre, ecco, si faceva quasi a scazzottate per questo: si era tutti su di giri poiché incombeva la Rivoluzione 'taliana naturalmente all'amatriciana!
Vega, di nuovo, in formato 18 x 24 che poi mandavamo così pure ai giornali stanziale e pure più in là anche al Corriere della Sera by “Foto Lampo Sudio's” per non citare la RAI. Anzi, l' Operatore con Arriflex 16 millimetri Mimì Abbatista, rosso iroso e rubicondo, a cert'ora del giorno veniva in Studio a salutare il Patron Rocco Labriola e il presenzialista Saro Zappacosta giornalista full time. E a volte veniva quasi l'intera Redazione stile happening (l'annunciatrice all'epoca e non già giornalista, Celeste Rago venne da noi per il giorno del si, ne riparliamo un'altra volta tant'è la spettacolarità della cosa). Un'aria di altri tempi, sì, di provincia niente affatto provinciale come a dirne una non a caso: odierna Mlano (scritto proprio così per chi intende) ahhh.
Ma insieme alla Vega, Agfa e se detto Ilford, anche baritata Gallery un mostro di carta silver halide, qualche stampa ci provavo su la Camoscio Ferrania per dare aria da Saloon fine Ottocento: si usava anche per ritratti e la posa, spesso ambientata in Studio, con sposi agghindati come nel reale giorno del sì.
E da allora mai più alcun produttore vi ha pensato ad una "Camoscio": sic transit gloria mundi? Si e no perché l'altro giorno da un pacco di carta per “Belle Arti” sotto una colonna di scatole Canson, Hahnemühle e Moab amerikana (k la scriviamo sempre per killer, non a caso ma qui non è momento) e volete voi? Eccola con echi della "Camoscio" d'antan inimmaginabile a vedersi a video/ monitor che dir si voglia causa proprio la “realtà aumentata”. E finiamo qui








Un punto di ritrovo lungo il cardo che sussiegoso chiamiamo “Pretoria”: sì il riferimento al castro romano palizzato o meno, Cesare squadristi Legionari ed emuli moderni nell’Amerika sempre con kappa. Tutto vero.
Senonché a certa ora del fine settimana , la Rai Lucania che noi preferiamo al bizantino Basilicata, si trovavaa nell’Agenzia Lampo dove imparavamo l’arte fotografica in bianco e nero. Fotolaboratorio e di notizie cittadine (la bacheca su la Pretoria faceva concorrenza a quella della Gazzetta del Mezzogiorno, con in più buone immagini se non alla Weegee là là).
Eccoti il “baffo” patron del fotolaboratorio, Saro Zappacosta estensore dei “pezzi” pubblicista e non RAI, l'impareggiabile Mario Trufelli Capo redattore-bardo-poeta-scrittore e fine dicitore dell’allora Sede lucana che emetteva per lo più radiogiornali; qualche volta sul Canale Unico (poi venne il secondo sempre canale) RAI bianconero Anni lontani trascorsi, reportage da queste contrade, grazie al rubizzo e incazzus’ Mimì Abbattista, l’operatore con l’inseparabile Arriflex 16 millimetri (qualche volta la faceva toccare e noi subito l’occhio al mirino imitando Mimì). Era lui con noi apprendisti stregoni, pur da certa distanza minimamente paragonabile alle castronerie coronariche correnti, a illustrare ora questo ora e qualcos'altro aspetto delle riprese: ottiche diaframmi, zoomate e sincrono sonoro. Quando “pontificava” tutti lì, sempre noi, a bocca aperto presi dall’oracolante operatore RAI, mentre il resto, baffo ed altri si apprestavano per uscire su la passerella della Pretori, a due passi dal Gran Caffè, ma questo è un’altra storia


Un sapiente accostamento fotografico (come quotidiana + mente in onda Stampa & Regime) fa sì che sembri la stessa scena, eppure tra le due ci sono più di quattrocento kilometri di distanza. A destra Roma (Maggio 2018 in Via del Tritone) a sinistra Potenza (Settembre 2019 C.so Garibaldi) eppure la “dinamica” è la stessa: mura cittadine e vecchio edifico, autobus “obsoleto”, gente ordinaria, ed identico panico. Strategia, meglio potere, della paura: possiamo colpirvi come e quando vogliamo. Il piano satanico (decrescita felice ed eliminazione manu militari di seimiliardi di persone) è sin troppo scoperto; certo poi il cosiddetto incidente bisogna “coprirlo” con fatti tecnici (rasoio di Occam) e l’immancabile “errore” umano. E quando la meccanizzazione sarà totale e robotizzata, si darà sempre colpa al “fattore umano” del programmatore che non ha saputo governare le macchine, che a loro volta manipolano gli umanoidi alla console del Pensiero Unico

Mercedes-Benz (da più di un milione di kilometri)

Ore 7.45 Anno Domini 2019 Settembre 19, le fiamme in pochi secondi divorano l’autobus di plastica, pieno di studenti implume: sono verso il fondo davanti la porta che non si apre (il campanello di fermata non risponde come tutto il resto) Esco un attimo prima che la “tragedia” si consumi. Fortuna vuole che dell’aria-pneumatica è rimasta per aprire le portiere e far evacuare tutti i ragazzi. Altrimenti? Avremmo fatto la fine del topo: gasati e arrostiti. Però subito sono arrivati (l’omertosa Rai Basilicata che mica si è peritata ante “tragedia” annunciata delle condizioni del parco autobus, che si chiama ironia della sorte: Trotta, il gestore!) poliziotti di stato (quale?) polizia locale (a affare cosa?) e Pompieri che dopo ore han “domato” l’incendio ma nulla han potuto contro crepature dei negozi prospicenti: vetri antisfondamento! La facciata dell’edifico e macchine in controcampo parcheggiate. E (ri)vedere la scena stamani ventiquattro ore dopo è ancor più agghiacciante in linea con Georgia guide stone: satanisti fregati un’altra volta, e cambiate agenzia pubblicitaria”.


Potenza, in fiamme bus pieno di studenti: tutti illesi, danni a 3 auto
Autobus carico di studenti e pendolari prende fuoco in provincia di Matera sulla Statale 106
Roma, bus Atac in fiamme in via del Tritone: lo scoppio e la fuga

Anno Domini 2019 Man fotografo dal 1969


Ps1 L’incendio è per modalità identico e preciso a quello di Roma (preso ad esempio) associato istintivamente, ma che in realtà si è "materializzato" davanti gli occhi: stessa strategia luciferina globalista (troppi indizi da farne un teorema altro che ipotesi) di “corto” circuito. Lo stesso che un mese fa (come accade ogni estate per lo più in appartamenti detti popolari) mandava in fumo l’appartamento sottostante il nostro: corto circuito. Anzi no, sigaretta (qualcosa devi pur dare in pasto al popolo che altrimenti frigna e la giostra poi non cammina spedita ed oliata per le terga del teledipendente) di un signore che, strano ma vero, non fuma!

Ps2. I genitori dei ragazzi si fossero per caso costituiti in giudizio contro Trotta, nomen omen, autotrasporti? Macché: casualità. E più in là salmodianti note salivano già al cielo (rosso fiamme!) in segno di ringraziamento: “Noi vogliam Dio che nostro Padre, noi vogliam Dio che Nostre Re perepepé; evviva San Gerardo (guardiano della città di Potenza) e San Gerardo evviva, evviva San Gerardo p’ quanta grazia fa…”

Ps3 Armi al plasma esistono per l’abbisogna come il rogo “accidentale” della California e Steppa odierna della Siberia, al netto dell’Amazonia burning: dove c’è fuoco e fiamma, tant’è la tautologia, c’è il Diavolo in carne ed ossa, cui satanismo a mezzo Stampa & regime lo vuole “inesistente”. Bella invenzione!


Storia di mal affare che parte nel lontano 2002 con il fallimento “programmato” della prima ditta che doveva eseguire i restauri dell’ex Biblioteca Provinciale in C.so Garibaldi di Potenza. Diciassette anni dopo non è ancora mai ultimato il cantiere, con forse altre due ditte “fallite”. Anzi doveva essere consegnato nel mese di Aprile del 2013, alla Stazione appaltante Archivio di Stato in Potenza, cui si sono succeduti nel tempo: Donato Tamblé, Valeria Verrastro manco più, anno 2019, Direttore dell’Archivio, rimossa per altro Ufficio; al suo posto l’attuale Paolo Olita, lo stesso che era già segretario verbalizzante dell’appalto, cui commissari erano stati censurati (veniva chiesta la sospensiva della gara per il loro comportamento) così nella Sentenza del Tar Basilicata 2008 attinente la “storia” infinita. E con sei milioni e rotti, tanto l’importo dei lavori, difficile da decifrare. Si noti che il cartello di sinistra, oltre a mancare di importo come previsto da legge, indica la data di inizio e consegna dei lavori: mai avvenuti. Viceversa quello di sinistra è stato sovrapposto nottetempo al primo in occasione della venuta di “funzionari” del Ministero Beni Culturali in Roma, poiché secondo denuncia già in possesso della Magistratura, il cantiere/immobile è stato comprato con comodato d’uso: l Ministero beni Culturali e Provincia di Potenza. E difformante dal primo cartello di cantiere non si legge quale “inizio” e quale “fine” dei lavori mancante ugualmente dell’importo dei lavori (omissione che è reato) da Fondi europei


Lancio di Agenzia
A voi non frega niente ché state dietro il pifferaio Jovine della Milano da bere. E vi accorgerete troppo tardi di come il “nostro” e sodali vi avrà condotto a morte certa, prima l’animaccia vostra poi l’involucro detto corpo. Poi quando siete passati a “miglior gloria” inviatemi una cartolina.
Ciò detto non è per coloro che s’i imbattono nelle “amenità” di un Manunzio quotidiano, ci mancherebbe. No, è che qui vengono a vedere e leggere Carabinieri Polizia di Stato Funzionari…perché mai? Oh bella per una truffa milionaria (miliardi vecchie lire) ai danni dello Stato, che sareste pure voi giovin telecomandati che non frega una mazza. Soldi che non vedrete mai, né lavoro né pensione: in una parola well-fare. Anzi casomai pensate alla famigerata valigia di cartone dei “nonni” anni Sessanta, come una a volta…a Milano e disorni, o Svizzera Germania…buona fortuna fuori dall’Italia.
Dunque e breve questo sono le foto (caro Maresciallo che tieni sotto controllo il mio cellulare e quello del legale!) del “cani etere” XVIII del Capoluogo Lu + cano. Senza aggiungere altro e che doveva essere aperto, certo non in questo stato già il 15. 04. 2013, sei anni fa. Cose di Cosa Nostra che si trascina da diciassette anni grazie alla complicità del Tribunale di Potenza e il tempo Galantuomo è: sempre!

Manunzio fotografo dal 1969

Ps. Ieri 18 settembre Anno Domini 2019 con una pattuglia dei Carabinieri siamo entrati finalmente aa rimirare lo “splendore” del cantiere che la locale massonica Rai Basilicata (già censurato un servizio il 23 Dicembre 2014 (vero Capo redazione Oreste Lopomo?) accredita come prossima alla riapertura, cosa che doveva avverarsi sempre sei anni addietro e con già sette milioni e rotti di stanziamenti, che non si sa come e dove terminati, e che la Rai natural + mente non dice

Pss. Nelle immagini allegate l'interno del cantiere visitato il 18. 09. 2019 con due Sottufficali dell'Arma dei Carabinieri. Senz'altro aggiungere lo "spendore" del cantiere come si presenta oggi a distanza di sei anni dalla consegna "ultimata" e fruibile

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Fate che le glorie, ecco, appunto da diciasette anni poco onorevole monito già di un "buco nero senza fondo" firmato da Verrastro in concorso con terzi


Abbiamo spalle larghe


Ci concediamo qualche giornata di relax alla faccia della sbirra “polizia” che tiene pure il telefono sotto controllo (buon giorno maresciallo come va la famiglia, niente guai?) di chi scrive e del suo legale (!) e che guarda caso, quando si dice il caso, arriva sotto ferragosto (!) una cartella esattoriale comunale del 2014 (!) indirizzata e non si sa per cosa, forse basta la parola dell’estensore come il famoso confetto Falqui, lassativo, usato all’epoca per defecare, in cui si “asserisce” che il Manunzio è “evasore” (così al telefono il proprio legale) nei confronti del Comune Capoluogo (!?). Ah che mente fervida ed immaginifica. E uno dice, riflette, ma se è evasore e da cinque anni (!) come mai gli si concede proroga inusitata a tutt’oggi 20019, senza riscossione coatta tramite (ex) Equitalia? Ma se l’estensore (analfabeta putrido di scalcinata loggia di borgata) aveva bisogna di duemila euro per sue spese (riferisce il legale) c’era bisogno di fare un atto intimidatorio? Bastava chiederle aumma aumma pro manu come è abituato l’estensore della richiesta, e uno metteva (!?) mano alla sacca…e quietanzava. Solo che nel caso le “quietanze” le svolge in mia vece il legale già poco propenso ed incline ad atti mafiosi: intelligenti pauca verba.
Dice: ma a noi cosa ce ne viene? A voi niente! Ma a me si anche perché da ultimo si è depositato (ad ogni azione questi frammassoni di borgata scalcinata fanno corrispondere una sconclusionata ed infantile reazione) ennesimo esposto su un “cantiere” terminato a salve nel 2013, sei anni fa. E tale è il completamento dei lavori che lo stesso deve riprendere…un settembre però sine die! E con quali danari se già quelli stanziati si sono involuti?
Tranquilli da un decennio che teniamo duro: vero Valeria Verrastro ex Direttore Archivio di Stato ex dirigente Stazione appaltante del “cantiere” messa da parte (qualcuno bene informato dice degradata e per altro Ufficio!) dal Ministero Beni Culturali in Roma. Cantiere partito nel lontano 2002, diciassette anni fa, con fallimenti sospetti delle imprese incaricate dei lavori (nella Sentenza del Tar Basilicata 2008 si legge come niente “che la Pouchain srl - prima iniziata - non doveva partecipare alla gara appalto” e più in là scrive ancora della “sospensiva richiesta per il comportamento dei Commissari preposti all’analisi costi-benefici delle offerta" per la Grande Opera” va da sé con grembiulino bianco squadra e compasso! Insomma un buco nero senza fondo…come pure la stampa locale ha titolato (oramai la cosa è patrimonio pubblico e non di solo addetti ai lavori) che inghiotte Ministero Beni Culturali, Direzione degli Archivi afferente, Direzione regionale Basilicata idem, Tesoreria territoriale Basilicata, Avvocatura dello Stato idem, Procura della Repubblica…l’elenco è decisamente lungo come presentato in esposto ai CC a latere il fido avvocato.
Ah insieme, pensa te che testa hanno Procura della Repubblica in Potenza e l’Arma dei Carabinieri (sic e non aggiungiamo altro sul trappole presentato e regolarmente smontato, atomo per atomo altro che viti!) che ambedue, secondo la Verrastro teste molto attendibile, che dichiara tra l’altro il falso finanche alla giudi cessa Tedone (sic) in Tribunale (deposizione canta!) poi trasferita altrove…dopo la parte magistrale…
Dunque ambedue con calzamaglia e mascherina, chi scrive e suo legale, furtivamente introdottosi nottetempo nell’Archivio di Stato in Potenza abbiamo/avremmo sottratto un documento scottante, detto Studio De Bonis (in esposto ai CC) su l’appalto del “cantiere”. Strano poi che l’esposto della Verrastro è stato archiviato, non solo ma che delle sue farneticazione non vi è traccia alcuna sul registro dei custodi/guardie giurate dell'Archivio di Stato preposte a monitorare ogni cosa accade in esso e con telecamere a circuito chiuso: altro che Banda Bassotti. Possibile? Eh in Procura anche ad arrampicarsi su gli specchi bisogna avere discreta arte…
e logica!
Un buco nero senza fondo video

NB. In allegato Cartello cantiere uno & bino (a destra dal giorno 15. 06. 2019 quando dal Ministero Beni Culturali arrivano certuni non meglio identificati per rilasciare intervista costruita, non meno che nottetempo, a tavolino) è priva della data re-inizio e re-termine cantiere (a sinistra per decenza è riportato seppure in modo sospetto) ma in ambedue privi dell’importo che per legge, Dpr n.380/2001 s.m.i. dev’essere riportato. Importo pari a più di sette milioni di euro in una triangolazione Fondi europei (riscontrabile nel primo cartello a sinistra) Regione Basilicata Ministero Beni Culturali e Provincia di Potenza (proprietaria dell’immobile e che dalla sua vendita ricava un bel gruzzoletto cui cifra è poco “chiara” e scarsamente documentabile, almeno leggendo il report della Regione che contrasta notizie a mezzo stampa della Verrastro, degradata ed mandata ad altro Ufficio



Ps. Anche Rai regione Basilicata è parte della partita di giro, già a far data 2014 quando censurò e mai mandato in onda l’intervista che la stessa aveva chiesto a chi scrive: prova documentale la lettera dell’avvocato al riguardo e l’inoltrata ai vertici Rai nazionale e finanche l’allora Presidente Fico della Vigilanza Rai. E nell’ultima di alcuni giorni fa un “coccodrillo” Rai Basilicata che inanella pirle una dopo l’altra. Solo che al riguardo una dura nota sindacale è stata inoltrata alla Sede regionale per contrastare, documentata, le asserzione della “giornalista”. A dimostrazione che quando il gioco si fa duro…

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Cantiere_ex_Biblioteca_Provinciale.jpg (1.61 MB) XVIII_AgostoRpdf.pdf (0.51 MB) Cantiere_XVII_atto_finale.pdf (453.73 KB) Cisal_Rai.pdf (120.24 KB)

Anno Nuovo (truffe antiche ai danni del Pubblico Erario)



Fino a tempo fa il link puntava anche alla pagina omologa del Segretariato regionale Basilicata Mibac (Ministero Beni Culturali) quale “centrale” e interfaccia territoriale verso Roma sede del Mibac. Link altresì che indirizzava anche vs l'Archivio di Stato della dr.ssa Verrastro capo progetto A.d.e.l.mo, che in pratica è la rimasticatura di uno analogo del 1997, joint venturvse tra Regione Archivio di Stato e Deputazione di Storia Patria, dove tra i dirigenti c’era Gregorio Angeli superiore gerarchico della Verrastro. Progetto A.d.e.l.mo che da “progetto” esterno poi vedeva coinvolto altro personale già stipendiato dell’Archivio di Stato, elargizione della Verrasto agli amici per un altro torbido episodio la lei impastato e contraddetto, documenti alla mano, da altri funzionari. L’allora progetto A.d.e.l.mo (Archivio Lucani all'Estero)a costare alla Regione Basilicata 55 milioni di lire, cui affiancati negli anni sino a poco tempo addietro altri 700 milioni in lire, e mai si è saputo la “lievitazione” finale della rimasticatura del progetto cui nominativi "esterni" è a dir poco “anomalo” e gestito dal Segretariato regionale cui vertice il Maurano Attilio è parte in causa. Esposto di OO.SS venne presentato oltre che alla Procura alla Corte dei Conti di Basilicata, dove per breve periodo ha svolto ruolo una delle quattro firme del Progetto A.d.e.l.mo. Miranda. E che insieme a Tamblè-Verrastro Manupelli sono un affiatato quartetto di "arco e compasso". Secondo e terza dell’Archivio di Stato in Potenza, la prima Soprintendenza Archivistica di Puglia e Basilicata Sede di Potenza, ultima già Direttore Archivio Stato Matera. Insomma Maurano è di certo il dio ex machina di ogni cosa si muova in ambito "culturale" in terra dei basilischi.

Maurano Attilio ex Direttore Segretariato Beni Culturali Basilicata da ultimo lo davano vivente in quel di Salerno. Ingegnere verosimilmente (?!) amico degli amici e del Rotary Club para massonica associazione. Maurano che sta dietro il cantiere ormai fermo e prossimo a cinque anni, basta leggere il cartello di cantiere se non fatto sparire nottetempo, dell’ex Biblioteca provinciale in C.so XVIII Agosto in Potenza e di strani multipli fallimenti di ditte appaltanti e, ciliegina, una delle quali sentenzia il Tar Basilicata “non doveva partecipare alla gara” poiché nel frattempo aggiudicatesi i lavori, de facto, mesi prima era già in comodato fallimentare, così scrive il Tribunale Fallimentare in Roma, e riportato in sentenza Tar citato. Banalissima affaire da quindici miliardi in vecchie lire ai danni dello Stato (fondi europei Regione Basilicata pagatore ultima istanza) e che caso “stranamente” l’ameno Tribunale di Potenza ha fatto sparire due denunce al riguardo. Tra amici questo e altro.
E sempre l’ottimate Maurano verosimilmente sta pure dietro il Progetto A.d.e.l.mo (Archivio Digitale Emigrazione Lucana nel Mondo) progetto riciclato già in partenariato 1997 con la Regione Basilicata che arriva sino ai giorni correnti più che ventennale grazie anche a funzionari dello Stato (Valeria Verrastro attuale Direttore Archivio di Stato in Potenza, in joint venture con Soprintendenza Archivistica Puglia e Basilicata e Archivio di Stato in Matera) già stazione appaltante del citato C.so XVIII in compagnia del predecessore ex Direttore Donato Tamblè , in Potenza & Roma allo stesso istante quando si dice il dono dell’ubiquità, anch’egli dietro il cantiere XVIII Agosto in Potenza cui si è detto poco sopra. Insomma controllori e controllati di sé medesimi ai danni dello Stato, già in denuncia da OO.SS. ma prontamente e senza indugio archiviato (!) nottetempo dal sempre “vigile” Tribunale potentino.
Il Maurano, infine si fa per dire, sta ancora verosimilmenete dietro un’altra, notizie da Basilicata24 online, vendita&rifitto degli ex Monopoli di Stato in Potenza, attaccato al Comando Guardia di Finanza. Quando si “immagine” e il caso va da sé.
Siché lei con la con complicità del Tribunale si è inventato finanche un procedimento di condanna di chi scrive a quattro mesi di carcere? Eh bocca buona Maurano, ha venduto la pelle dell’orso prima di catturarlo immaginandosi il Marchese del Grillo e sua battutaccia. Ohh s’è per questo, vedrà, si pentirà molto ma molto amaramente, giacché le carte del Tribunale raccontano fatti, nottetempo trascritti pure a mano (!) al di là di ogni possibile immaginazione, in spregio alla grammatica e le Procedure del Codice Penale: Marchese del Grillo lei si dice? Siamo qui a farle una volta e per tutte pelo e contropelo chiedere i danni oltre l’intervento dei Caschi blu dell’Onu e/o radere al suolo il Tribunale di Potenza e cospargervi il sale come i romani.
Il Tempo è Galantuomo Maurano & sodali. Ah certo buon Anno e quanto “buono” per lei e associati si vedrà molto presto

Man

NB. Una piccola chicca da un documento (ultimo conteggio settecento pagine e documenti) che ricostruisce passo dopo passo ogni minuzia "sfuggita" ai magistruncoli del Tribunale in Potenza:il famigerato Documento De Bonis (nome dall'estensore Studio Legale omonimo) perpetrato da magistruncola del Tribunale e l'Arma dei Carabinieri,di un tranello (ne scrivemmo al Presidente dell'Ordine Forense senza ricevere mai risposta) ai danni del legale che ci assiste da un decennio e più. Documento già in possesso del giornale online Basilicata24, e molto compromettente che in poche riga riassume la truffa di apparati occulti dello Stato ai danni del Pubblico Erario. Documento DE Bonis che compare in denuncia nottetempo dopo la comparsa di notizie a stampa tra cui la citata Basilicata24. Insomma a pararsi le terga sfondate. Tesi mai dimostrata e dimostrabile anche con il concorso esterno (art. 416 Associazione per delinquere che non stonerebbe l'aggiunta di bis o aggravante mafiosa) migliori specialisti cinematografici di effetti speciali, trucchi e barba posticcia potrebbe. E non già si scasso o effrazione che dir si voglia si tratta di chi scrive e suo legale (!), no quanto la parola della dr.ssa Valeria Verrastro, già direttore dell'Archivio di Stato e capo-mastro per chi intende del cantiere dell'ex Biblioteca che si viene narrando. Breve venimmo contattati dalla PG dei Carabinieri in Tribunale ad ammettere della cosa, così il mellifluo Brigadiere. E capita la antifona facemmo mettere a verbale "la facoltà di non rispondere a domande" tra la stizza malcelata del Brigadiere...vistosi sfuggito l'attimo!

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XVIII_Agosto_organigramma.pdf (484.94 KB)

Sotto l’ombrellone: Figaro & Minolta


Vabbene è un'altra storia degli anni Settanta trascorsi, d'un figaro limitrofo, meglio ancora coiffeur pour dames. E si sa nei piccoli borghi bisogna inventarsi di che vivere quotidiano. Senonché il nostro è abbastanza intraprendente e viene a trovarci allo Studio FotoLampo (Agenzia fotogiornalistica Lampo) che oltre le classiche foto di cerimonia, è anche vera e propria agenzia like Carrese Pubblifoto. Infatti il giornalista (Saro Zappacosta e altri) sagace nello sbertucciare il potere volatile locale: volatile nel senso autentico, poiché notorio feudo di Colombo (alias Balena bianca e/o Democrazia Cristiana). E quindi l'Agenzia Lampo con bacheca sulla main street, o detta Pretoria su modello accampamento romano, pure ammanigliata con la Rai, e suo operatore Mimì Abbatista sodale del boss Rocco Abriola della Lampo...Un bel focus di provincia italiana.
Ma che c'entra il figaro? Eh quanta fretta! Intanto il figaro era certo Lorito cui a quasi cinquant'anni è difficile associane nome: poco importa. E dunque veniva dal paese per commissioni nella “città capoluogo” e per apprendere di fotografia, pensa te. Il che consisteva nell'imparare a caricare la Rolleiflex, con cui il nostro eseguiva, anche, i famosi o famigerati fototessere per documenti...e cerimonie: battesimi cresime e matrimoni, pure questo.
Siché il boss della Lampo gli impartiva che la biottica ha un solo tempo (?!) di sincrono 1/125 e “solo” due diaframmi: ossia f8 fino a due metri o giù di lì, mentre f5.6 per il resto. Tutto qua la ripresa fotografica! Quanto allo sviluppo e stampa si stende un velo pietosissimo.
Poi certo ad una tedesca (Rollei biottica) potevi far mancare un Agfapan 100 teutonica? No di certo. E con un po' di menta, che uno dice: sarebbe? Ahh paisà...quando si estraeva dalla biottica il fatidico 120, nome in codice, con mano destra, così come si farebbe d'una cartina e tabacco per farne, ancora oggi, sigaretta à la page (!) bisognava chiudere il rollfilm, sigillarne tutt'intorno il rocchetto finale. Niente di trascendente, infine, ma leccare, inumidire con lingua la fascetta intorno alla carta protettiva del rollfilm. Più pratica veloce a farsi che a scriverlo! Figaro Lorito, va. Senonché il coiffeur del paesello, non certo un'aquila, si fece “abbindolare” dal sardonico boss, e invece della Rollei gli “consigliò” una Autocord Minolta. Verbo, abbindolare, un po' forte esagerato ed irriverente poiché qui si parla pur sempre di quella Casa della mitica Srt101: Minolta appunto, e sue più che degne lenti Rokkor! Vabbè preistoria e però…
E particolarità saliente della Autocord del Lorito figaro il fatto che, mentre Rollei ha manopola laterale per i fuochi, al pari della mitica Yashica 124 G, la Minolta sottostante la seconda ottica (cui deriva il termine, appunto, di biottica) leva per i focheggiare. Non sapremmo dire se “very fine” o user friendly ché mai provata sul campo, spiace

Man


Il nome biottica
Publifoto
Autocord Minolta



Fotogrammi prima parte, Don Gerardo Bucci


Abstract
here I remember an Era analogic in lab B&W, as print portrait in dark room and much more, as develop Agafcolor or Ferrania color negative, made in Italy, and Kodak color. All process that I remember it was make into a lab far town of provence of South Italy in 60's


Il portale corre a filo cardo pretorio da cui via Pretoria. L’esile luce dall’androne archivoltato scintilla su l’acciottolato i tre gradini e l’anodizzata vetrina che precede lo store e fotolaboratorio colore, sciccheria metropolitana anni Sessanta. Di là dalla porta ‘ntallia z’ Nunzio Rofrano “ragazzo” di bottega. Tutt’intorno scaffalature tarlate e vetrinette impolverate dove pisolano macchine fotografiche scatole di pellicole lampadine flash, album e buste dieciquindici accatastate.
Sigaretta, più che altro arco di cenere tenuto a sfida della gravità, mani in fremito continuo sui dorsi di fotocamere di pancromatiche FP4 Ilford, o ribobinati formato Leica P30 Ferrania di tignosi clienti p’ sparagnà, occhiali fumé sul naso adunco incornicia Don Gerardo Pecoriello detto Bucci alias Zatopec, in onore dell’etiope olimpionico di Roma, tarantolato fotografo in cerca di scoop urbani.
Dietro la tenda vermiglio che separa l’ingresso e retrostante sala posa la lampada, lare domestico sembra così, retroillumina l’opalino inclinato a 45° e fila di negativi per il ritocco, mentre mani spennellano mattolina. Nella penombra della sala di posa la camera su colonna ottonata che troneggia a centro sala, ne ammiro i movimenti dello zio sotto il panno nero che imprime su châssis seinove volti in fototessera, a cap’ sott’.
Un misto di euforia e trepidazione m’accompagna tutte le volte che, tenendomi al corrimano della scala a chiocciola, scendo al piano sottostante del lab dove, come in dissolvenza le plafoniere di luce opalina su pareti nero fumo illuminano a giorno, e rifratte nel luccichio cromato d’enormi cilindri (smaltatrici) da cui precipitano cartoncini bianconero, cartoline colore. Oltrepassata la soglia ed immesso in altra sala, sprofondo al centro della terra o l’interno del Nautilus, nell'attimo in cui spente le fioche luci inattiniche, lo scartocciare e buio materico, tanto si può toccare, è tutt’uno con la voce dello zio fotografo che a tratti sembra giunga da destra, ora da sinistra dall’alto finanche remote profondità della camera oscura, sino all’attimo in cui, finalmente, la lanterna rischiara livido tutt’intorno banchi, vasconi e la lunga processione di vasche verticali sormontate da spie rosso arancio per trattamento delle emulsioni sensibili Kodacolor Agfacolor e 3M Minnesota già italica Ferrania della dinastia Agnelli.
Caleidoscopio iridescente nel salone attiguo, dove sono le printer, le creazioni dell’altro “ragazzo” e brizzolato di bottega, stampatore che più dagli slope smanetta “nuance” ventiventicinque, d’un blu elettrico su i volti dei malcapitati sposi in posa e pronti per l’album.


Glossario

‘ntallià, muoversi o procedere a passi lenti, fermarsi e riprendere la routine

dieci (x) quindici, formato cartolina

p’ sparagnà, per risparmiare

sei (x) nove, formato negativo bianconero che poi veniva stampato a contatto (scala 1:1) ricavandone fototessere per documenti, carte d’identità ecc.

a cap’ sott’, sottosopra ed a lati invertiti in ragione della Fisica ottica

smaltatrice, cilindro (ne esistevano anche piane ed a doppia piastra girevole) dotato di resistenza elettrica interna, cui calore dissipato da lastra perfettamente levigata a specchio conferiva ai cartoncini, dalla superfice appositamente trattata e trasportati similmente a catena di montaggio, patina specchiante

ferrania era il brand nazionalpopolare del materiale sensibile, sebbene altre marche come la Tensi o Cappelli ne producessero, del portfolio Agnelli/Fiat, e che venne ceduta alla americana 3M Minnesota (al corrente è stata riacquistata da impavidi imprenditori e, rimessi in funzione i vecchi stabilimenti Ferrania nei pressi di Savona, pare continui con discreto successo la produzione di pellicole fotografiche negative ed anche Super 8 per cineprese d’antan)

slope, manopole che regolano la scala colore RGB o sottrattivi CMY a secondo della marca/modello delle stampatrici automatiche, ed altre regolazioni

venti (x) venticinque il classico formato di matrimonio, anche se agli inizi degli Anni Settanta l’album matrimoniale non di rado era misto: bianconero (18 x 24) e solo per lo scambio delle fedi e firme di rito in color. Ancora, prassi in special modo per i gruppi con gli sposi ai tavoli dei primissimi ristoranti ad hoc, o più sovente, condizioni socio-economiche, presso le abitazioni materne per l’abbisogna, veniva consegnato un congruo numero di stampe (13 x18 bianconero) da consegnare agli invitati ritratti.
Eccezion fatta, non solo per tutta la cerimonia a colori, per la giornalista Rai Celeste Rago nella cornice di Maratea, e dal pranzo faraonico che ne seguì a quei tempi, seguito da quattro fotografi tra cui chi qui lo ricorda.

In Era analogica e prima dell’unificazione sotto lo standard C-41 per il trattamento “universale” delle pellicole negative colore, le diapositive invece l’E6, ogni brand citato poco sopra, necessitava di sua linea trattamento, di vasche parallelepipedi verticali, generalmente da 35 litri, dove venivano processate (to process) le emulsioni.
Negative colori anche bianconero, poi stampate su cartoline dieciquindici, che ogni famiglia poi custodiva nell'album domestico a scandire il tempo e momenti particolari: battesimo cresima diploma, laurea o matrimonio e vacanze ecc,

Ritocco fotografico su pellicola seinove più ancora che semplice “aggiustatura” nel lisciare la pelle, cosa che oggi con Photoshop o plugin ad hoc, fa sorridere era qualcosa che si tramandava in sorta di iniziazione alla fotografia di ritratto tout court, basata ancora largamente in bianconero (impensabile farlo su negativi colore!) si esprimeva in puro e artistico artigianato, sapienziale. Siché le seinove dopo sviluppo ricevevano la mattolina, sorta di collante cui aderivano appezzut’ o appuntite grafite, abilmente mosse da mani che sapevano il fatto loro. A volte quale complemento, sebbene in formato minimo diciottoventiquattro o più ancora in trentaperquarata, il negativo veniva stampato al Siluro, un ottagono in legno a forma di ogiva cui luce morbida, senza condensatore ottico, conferiva alla stampa un che di hollywoodiano, o per meglio dire flou (soft screen) alla Luxardo
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