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Territori...urbani come anima mundi

Territori, quindi, in senso esteso, molto. Ora perché ci interessa il nostro Barbieri? Presto detto, anzitutto, per le parole cui si fa interprete con la fotografia: a modo suo certo. E tuttavia è solo esoterico/esoterismo che spinge molti (idioti?) a rifare l’ennesima fotocopia di fotocopie formato fotocopia va da sé, di luoghi sempre quelli dal gusto omogenizzato Yankee. Il criceto in gabbia, poverino, l’animale mica il minchiapixellisti onanista cui esemplare da circo la solita Munari sacerdotessa del Nulla Stars & Stripes.
E in definitiva questo stare, anche qui, in senso esteso, su cose che per luce atmosfera e orario, che vuol dire energia come insegnano gli orientali, ma pure Mammasantiima Chiesa: Ecclesia è bene ricordare è tutt’altra cosa, tradotta questa per quella grazie ai soliti detti teologie eterodiretti da Logge d'appartenenza sionista-anglo-americane. Chiesa, quindi, ne ricorda la “liturgia” giornaliera modulata su le ore, momenti topici, ad esempio Mezzogiorno detto dell’Anegelo, la sera o i Vespertini etc. Da ridere ché il bieco meccanicismo materialista obietta ma nulla dice se un genocida Benjamin Netanyahu, detto Bibi in quel di Gaza citi Isaia (citazione dalla Torah o Vecchio testamento delle cristiane bibbie, non tutte dipende dal credo cattolico o protestante tout court). Stampa & Regime prezzolata dal sionismo ebraico, anzi, pure esaltata in Mondovisione l'ebraismo genocida, sottolineandone la cosa "ben fatta", e meno male che si vive in un mondo “laico”. Laido è meglio. Ma pari cosa accade quando Manunzio intende sfottere: Om suono cosmico (non certo ex Olympus!) della meditazione, sempre orientale di “religione” squisitamente atea lo si chiami come si vuole: buddista et simila. Prêt-à-porter d’accatto per occidentali che uno ci ha fretta e non tiene tempo da perdere! Insomma dateci, se vi pare, uno sguardo che ne vale la pena il Barbieri di Myphotoportal!


Ps. Non è che Myphotoportal paghi per la cosa, ritengo che quando ci sono autori, ci frega poco la qualifica pro o meno appuntata al petto, i soliti amici degli amici neanche a dire la Munari & Co, tutto è buono diciamo così

Pss. Il modus operanti del Baribieri è “strano” non è anglo-sionista-americano e non andrà lontano come, ad esempio il suo corrilegionario Luigi Ghirri l’altra sera ri-ri-proposto in Tv Cultura. Costui è stato di certi “cenacoli” e poi non a caso le sue fottografie (raddoppio per chi la sa lunga) che ino + cul + ava a gli altri si è ritorto contro, non a caso, in forma di neoplasia: chi la fa l’aspetti e lo si è detto un post fa della Bonino & Francesco il caballero della Pampa Argentina divenuto Pa(ter)Pa(tria) grazie alla Mafia di San Gallo d'Elvetica sede


https://www.enricobarbieri.it


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Agfa Scala the best(ia)

Anni Novanta passati a miglior gloria, esce una pellicola che è già tutto un programma: Scala dell’Agfa, che una volta terminava in Gevaert nome Belga di produzioni sensibile. Scala di nome e di fatto, se vi pare anche musicale tant’era l’estensione tonale. Una pellicola bianconero, sì, ma invertibile: un must incredibile. E volete voi? Scriviamo ad Agfa in quel di Milano, ad Erminio Anunzi factotum della Multinazionale germanica, anch’egli fotografo (si trova ancora a sua firma articoli su Progresso Fotografico). Breve presentiamo la richiesta di provare la new entry collegata ad un progetto fotografico: oh da non credere viene sponsorizzato e via con le riprese. Gli scatti sono ancora conservati e, nel riproduzione o meglio conversione digitale bisogna prestare molta attenzione a quella sua intrinseca tenue nuance sepia che la rende unica.
Una buona quantità di rullini 135, quindi, arrivati dall’Agfa e caricati in macchina (Contax Rts e 139) partono, alla lettera, per certe contrade che impresse in un famoso libro della Letteratura italiana del Novecento, sono rimasti intonsi, merito della scrittura come pennellate poetiche su tela se oggi, infami giorni da Coronavirus eterodiretto, ottant’anni dai fatti narrati lo rende tra gli Immortali Libri di tutti i tempi; luoghi e culture tutte per il terraqueo capiscono tanto va diritto al cuore, sede secondo gli antichi filosofi (lasciate perdere gli Aristotele e sua mala genia a-varia-ta) greci sede dell’Anima, noblesse oblige.
Scala dalla linea di sviluppo particolare va da sé, e vicino noi si fa per dire che sono pur sempre quattrocento kilometri dalla Capitale, tramite corriere mandavamo (ritorno na decina di giorni spesato da Agfa) a sviluppare. Inscatolate al punto giusto i telaietti, grigio bianco, restituiscono a tutt’oggi trent’anni dopo la stessa emozione d’allora: generalmente con le dia non è mai così scontato, quasi una avversa reazione iniziale di pur ottime (tenute in frigo come le Scritture prevedevano, scritture tecniche si capisce) Epr-64 Kodak e ancor più il Terribile Kodachrome pellicole usate in tandem per il progetto che, poi, non si è concretizzato: coincidenze mancate ob torto collo del Manunzio.
Eppure già scattavamo in diapositiva bianconero e della Ilford Fp4. Un momento: Ilford ha mai prodotto diapositive del genere Scala; eravamo noi provetti chimici su le le orme di Namias alias Progresso Fotografico ad invertire il negativo bianconero. Difficile a scrive e dirsi, divertente a farsi con tutta la tragedia del caso: inversione di film negativo presuppone un substrato pellicola resistente agli “acidi” o sostanze chimiche aggressive a tal punto da distaccare l’emulsione dal supporto, e di quei esperimenti non è conservata traccia alcuna se non qui che si ricorda.
Scala che da qualche parte leggo essere in (ri)produzione sotto altra sigla, e che su formato 120 o Rollei che dir si voglia, senza offesa di Hasselblab-Mamya-Pentaconsix-Kovasix-Minolta…, sarebbe in tutto e per tutto una mini fotografia da portare in giro, casomai imbustata acetato trasparente come quei santini familiari che, almeno una volta, si portava nel portafoglio ed oggi su gli schermettini di Mele & Satanas verdi, non a caso chiamati: Android!


Re-born Scala

Sviluppo diapositive bianco e nero 1
Sviluppo diapositive bianco e nero 2


Ps. Quasi dimenticavo, ne conservo questa sì una scatola tredicidiciotto piena, che con le Lith Kodak d’antan, già usate in tipografia arti grafiche e serigrafia, si ottenevano buone diapositive esposte in camera oscura come normale cartoncino fotografico, manipolabile di conseguenze. Belle dia senza dubbio ma prive di quello charme che solo Scala riusciva

I libri di Man




Abstract here to speak of books, and their reliable soul, when everything around seems to fall



Nella stanza “bunker” dove ci sono pure le Olympus, su la mensola la sfinita C 5060 Wz dell’archivio fotografico e di ciò che vedete su Getty Images; le analogiche Rolleiflex Yashica Electro ancora funzionate dopo più di cinquant’anni, poi cavalletti stativi dietro la porta, di fianco il divano la borsa con dentro le ottiche Olympus con la gloriosa E1, E3, E510. E più in là una borsa metallica (quella che serviva ai fotografi a bordo campo per starci seduti sopra e molti filmati d’epoca ne dànno conto) servita il giorno che il Presidente Sandro Pertini (un grande) nel post sisma ottanta venne ad inaugurare la tanto attesa Università di Basilicata (dove zitto zitto pure abbiamo tenuto lezioni di fotografia ma non ditelo a nessuno). E ora nella scatola metallica, passata per borsa, c’è di tutto e di più compreso una mini livella: quella da muratori che uso per riproduzioni. E piena di filtri Cokin con ancora attaccato il prezzo in lire, costavano all’epoca un botto e pure di plasticaccia ma con allure della griffe francese e made d’un fotografo, favore di un fotolaboratorio (un giorno venne a tener lezione tale Lanfranco Colombo da Milano, che rimase di stucco davanti le mie trentaperquaranta bianconero, lamentando solo che, noblesse oblige, erano stampate su Politenata e non su Baryta Ilford che pure usavamo) colore del Vulture che adesso non c’è più.
Bunker con il tavolo, a latere televisione panoramix, e l’immancabile Mac, noblesse oblige pure qua, che fa il paio nell’altra stanza del figlio grafico di Sky. Mentre il portatile Winzoze come uso dire, dell’altro figlio l’usa come…televisore: digital generation.
E ancora bunker (spesso dico ai profani che vi entrano di comportarsi come si va in chiesa e il grafico figlio fa l’esatto opposto, chissà di chi ha preso…) della mia Cancelleria lo scaffalone dei libri e paio del dirimpettaio, con Enciclopedie e saggistica fotografica, sopra la mensola fianco a fianco alle Analogiche macchine cui si è detto. Ma più in là, nella nicchia ricavata che prospetta la cucina (non di solo pane vive l’uomo, no?) altra scaffalatura di classici e su tutti la Storia della Letteratura Italiana e Storia della Fotografia per i tipi, uso dire, della Einaudi. Vero che anche il comodino ne è pieno, finanche la testiera del letto, una volta fatta, come minuscolo scaffale, a contener libri anzi la notte. E riviste fotografiche a tonnellate che un giorno ho regalato alla Biblioteca Nazionale del Capoluogo della regione che si (s)fregia alla Giano bifronte di due nomi: uno aulico l’altro da servo curiale bizantino. Biblioteca dove c’è un piccolo reparto di classici su la Fotografia che ottenni all’acquisto con le “buone” dal direttore, che non fiatò anche perché quando doveva riprodurre sue cose le voleva solo e soltanto da me, sebbene fosse circondato di impiegati “fotografi” o in città da fotonegozianti che si fregiavano del titolo, uno addirittura cacagl’ o balbuziente come Ernesto Salinardi, ladro di fotografo; e un giorno lo vidi fasciato la mano armeggiando, immagino volesse aprire come scatoletta di sardine, il suo pisciatur’ (pitale ma qui in senso lato) Nikon digitale che odiava da cacagl’ come tutto il resto).
Libri che quando c’è stato e per molti anni il cielo congiunto alla linea dell’orizzonte con in mezzo chi scrive, e del tutto innocente, han fatto compagnia più e meglio del pane che a volte è mancato per la pusillanimità di “certuni” che oggi sono stati rinviati a giudizio. E poi certi altri, sodali di quelli, non pensano che il Tempo è Galantuomo. Sempre!

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