Noi del Novecento
La notte aveva nevicato e il babbo (scianco di poliomielite) con un suo fidato aiutante era andato a prelevare, anzitempo, la levatrice ché si nasceva come millenni prima in casa e del tutto naturale fra mura domestiche, anziane a supporto e nessun camice bianco in giro. Poi la levatrice aveva provveduto di suo senza alcuna cosa per la mamma: era nato nella notte della Befana (regali li portava lei non già Babbo Natale anglosassone usanza, barbara come solito loro; ricordo dei doni portati dai Magi all'Epiphanaia del piccolo Nazareno nel Praesepe/Mangiatoia) il secondogenito, che volevo buttare dalla finestra spodestato da primogenito: si può? Cose da ragazzini un giorno di sessantadueannifa, scritto così lungo, intenso, pari al tempo forgiato da uomini e non checche, papponi infamoni ladroni briganti, cornuti e lacchè direbbe ancora il buon Faber:
Ma se la notte era stata di neve il mattino, oggi come allora, e senza più un fiocco di neve: oh a gli africani truppe di occupazione (vero Soros & Schwab da Davos?) non ci piace la neve, per chi intende. Giornata stupenda, allora, per Manunzio che ricevette in regalo un enorme camion blu-celeste-giallo dalle gomme di vera gomma, di quella che riconosci ancora a mille miglia di distanza: emunctae naris, no? Si. Tanto era enorme che a cassone mi ci sedetti e da una piccola balza, alè, zigzagando qua e là fini sottosopra in mezzo ai cumuli di neve ai lati della carreggiata (senza macchine ché solo alcuni danarosi o impiegati, quindi, con reddito certo mensile riusciva ad acquistare firmando un mare di cambiali che mensilmente si andava ad “onorare” pagare/quietanzare in banca non ancora Moloch odierno: Finaziarizzazione). Sic transit gloria mundi