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"Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai. Perché io il Signore tuo Dio sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione..." Deuteronomio (Antico Testamento o Torah ebraica) 5.8.10 Conferenza Episcopale Italiana


A volte (solo?) i nomi realmente sunt conseguentia rerum, vedi il Paradiso in Terra, Terra promessa, Nazione indispensabile e via con corbellerie a man salva: Stars & Stripes...e Moab

Tu mo vedi la cumbinazione, eh. Cert’ cumbinazione i nomi accà e allà dell’Oceano mare, la Terra promessa in terra per l’appunto creato, meglio inventata (sebbene già le tribù stanziali di indiani, sebbene Erik il Rosso l’avesse calpestano, il suolo americano in quel di Terranova quasi mille anni prima del buon forse italiano, con tanto di appartenenza massonica, a nome Cristoforo (Christo portato in terra infidelis letteralmente e festa nazionale yankee il 12 ottobre 1492, numerolgia che è tutto un programma dopo, seguito, il 1453 o l'assalto mercenario a Costantinopoli odierna Istambul) Colombo, ma che in lingua spagnola suona Cristobal Colon tutt’altro che “genovese” eh belin.
Veniamo a noi. Moab per chi ne fosse poco addentro, tipo Munari Sara in tutt’altre faccende affaccendata shhh non svegliatela, zombie se vi vien facile, è un produttore di carte per inkjet, americana e lì abbastanza conosciuta. Mo’ qualcuno dirà: ‘mbè? Presto detto ché le loro carte han preso nuova veste grafica (in una società, dice McLuhan, in cui la scatola, ecco, è de facto contenuto e non più contenitore causa post-moderno meglio post mortem) discutibilissima seppure non si riferisce più, in copertina e la scatola di sample conservata, a paesaggi Yankee, no. E da quanto si vede, oltre la scritta mastodontica, in basso a destra riecheggia la Caverna dell’Antilopi**, vista e rivista una, cento, milione di volte. Anzi, c’è gente dagli angoli del mondo che va fin lì a fotografare (fottografare che è meglio) fotocopie di fotocopie, d’altronde chi si contenta gode.
Moab dalla discutile veste grafica, quindi, si presta, tuttavia all’incipit della “nazione” indispensabile notoria “esportatrice di democrazia” governata da ebrei sionisti by Is +Ra + El che ,guarda tu il caso capito a fagiolo. Cacio sui maccheroni.
Moab, quindi e i Moabiti sono chiamati così pure chi usa papers ink jet, stampatori del brand(y) omonimo?

**Antelope Canyon l'insieme di due grotte formatesi nel corso di migliaia di anni per l'azione erosiva delle acque. Sono proprietà degli indiani Navajo, che le gestiscono. Si trovano nei pressi di Page, in Arizona, Usa

I Moabiti furono un'antica popolazione semitica che viveva lungo le rive orientali del Mar Morto, più precisamente nell'altopiano di Kerak nella regione montuosa chiamata Moab.
https://it.wikipedia.org/wiki/Moabiti

...La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti che esistono fino ad oggi…Genesi 19.30

https://www.moabpaper.com


Ps. In Europa o il Vecchio letterale Continente di ‘nzallanute europoide è d’uso, prammatica, le carte franco germaniche. Canson & Hahnemuhle Digital FineArt soprattutto e poi vari cespuglietti di altri brand. In Cina-Giappone soprattutto rinomate le Awagami & Co, carte di una consistenza impareggiabile per l’occhio cuore… e pure fegato insieme ad altri organi della Sinestesia





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Repertorio stock delle carte Manunzio utilizzate da un decennio e più, tanti gli anni trascorsi a trafficare con stampa e stampanti inkjet, e le Awagami eccelsi supporti giappones (destra immagine con provino-test di stampa). E ogni superficie di brand un modo tutto specifico di scrivere, con gli inchiostri, marcare quanto mai appropriato, un territorio: la superficie. E gocce ink, mille sfumature che siano colori o più ancora bianconero, anche quando c’è da combattere con le carte “martellate” Arches (destra immagine, verde copertina) non trattate, sebbene poi quasi vi riescono paro paro le neo Canson-Arches (retrostante pack a sinistra immagine) brand veramente notevole. E non si dice, a prestito H.C. Bresson, che testa-cuore-occhio, qui supporto, stanno/dovrebbero su lo stesso asse per dire ciò che s’intende, trasmettere quel quid energetico al cosiddetto troppo di sovente acefalo prossimo?



Traslitterazione ancora una e...più

Qualsiasi pezzo di carta, diciamo per capirsi, suscita un certo entusiasmo nello scarabocchiarvi sopra (un tempo lontano) o mo’ come mo’ stamparvi via inkjet questa e quella immagine. Si, vero qui c’è un abisso fra chi scrive e il resto dei cosiddetti, pensa te, fottografi (raddoppio parce que noblesse oblige). Questi figuri morti dentro, clicchete clichete, riprendono il circondario semmai con l’ultimo modello Sony, squallido e cadaverico brand(y) in ogni accezione del termine, o del caso l’ultimo (fine finalmente?) modello di iPhone o Samsug equivalente. E i “fail” che ne resta? Un beato c...ippone di legno come le teste dei richiamati. Capirete che per chi viene dai gloriosi giorni della camera oscura analogica pendant inscindibile: sì, si ci sono e tutt’ora teorici a salve (anche un nostro amico 'nbriaco fracico da mattina a sera) che pontificano sul fatto che la stampa è altra cosa dal negativo, sempre analogico. Disputa del sesso degli angeli o dell’intellettualizzazione del aria, di quei tipi tristi, ecco, pure quando ridono se mai vi riescono. Ma non è il caso se non parlare di carte da stampa. E diciamo subito: una Vandea di tutto di più come il binomio Hahnemühle-Canson. E se tanto mi da tanto nel novero, tuttavia, c’è da mettere Ilford gloriosa come un dì la sua Galerie e l’altrettanto buona Ilfobrom in scatoloni da mille pezzi formato dieciquindici che stampavamo per i clienti dell’allora Foto-Lampo detta pure AGL (Agenzia Giornalistica Lampo citata altre volte). Diciamo, scriviamo quel che sappiamo in corpore vili, ecco, e non de relato casomai via Web delle mirabilia.
Sia come sia carte che restituiscono l’idea aerea (virtuale?) dei “fail”. Sentirne il peso, proprio così: anzi provatevi a scuotere, cosa che facciamo spesso, le carte che è un piacere vibrazionale. Vibrazione Odifreddi cinico zombie matematico, vibrazioni non già numeri che sa dove metterseli!
Vibrazioni tattile e perché no: olfattive. Sì. E last but not least un modo per intrappolare un momento e renderlo eterno, si vabbè, e trasmetterlo al posteriore: o era ai posteri?


Ps. Lungi dal fare l’artista da quattro soldi, di quei conversi più che su la strada di Damasco, eh Paolo di Tarso furbo di tre cotte, fine dicitore inventore del cosiddetto cristianesimo, nonché munifica e remunerata Arte con tanto di sigillo (666 biblico?) Digigraphie, l’incorniciata immagine di frame (cover in alto) acquistata da un Bricofer qualsiasi, dà l’esatta dimensione, non certo fisica, di cosa l'immagine sia, dovrebbe. La traslitterazione CansonArches messa sotto vetro, meglio plexiglas, suona decisamente forse troppo paesaggistica e poco rispondente a ciò che s’intende suscitare nello spectator: sì, quell'imbecille di Roland Barthes intelletualizzatore dell’aria calda fritta o come vi pare. Tant’è vero che una seconda stampa, s’intravvede, sottostante l’incorniciata, meglio s’avvicina all’idea ma che tuttavia sotto vetro non regge. Morale anche la cornice vuole la sua. E meno male che le fotografie, diversa + mente, da quadri ed affini non bisognano di cornici barocche; anzi, queste, più lo sono e più piace alla gente che piace così il jingle dell’allora 126 Fiat, tanto che per soggetto, pure un topo morto (dixit Ando Gilardi sul numero di Progresso Fotografico Luglio-Agosto 1990 pg.27, cazzeggiandomi a mezzo reply di un fatto realmente accaduto a Napoli, però, al critico Lanfranco Colombo in quel di Milano; gallerista della primigenia Canon Diaframma poi Kodak, privata galleria interamente dedicata alla fotografia, senza raddoppio, mica fottografia della Milano da bere formato Mia Fair d’ora in poi in liaison, e nuova Dea Madre direttrice, con Parma Fiera) si mostrerebbe nel suo splendore, di chiavica, o fogna lingua ‘taliana





Awagami Factory




Cartiera artigiana made in Japan. Vi arrivo tramite la Rete nel tentativo di trovare una carta da stampa (inkjet) come Iddio comanda. Sì perché c’è stato un tempo (che riprenderemo appena possibile) della stampa fatta in “casa” senza nulla togliere ai vari service utilizzati che ne producono di buone stampe, come è accaduto con un noto stampatore in Milano cui ho chiesto due sampler da file inviatogli. Ma. E per chi viene dalla stampa bianconero…intelligenti pauca verba.
Quindi stampa domestica, va. E alla Awagami chiedo pago e ricevo per posta (!) un sacchetto verde che uno dice ci azzecca McLuhan, nel momento in cui già il media scelto…eh.
Insomma un bel giorno arriva sto pacchetto in formato a quattro più o meno, scartocciato già una bella sensazione nel toccare la carta, un po’ come “tastare” ‘na bella guagliona, va pure questa. Anche il tatto (!?) vuole sua. Siché uno dopo l’altro i fogli Awagami entrano ed escono dalla stampante HP 1220 C.
Pausa, ho capito. La stampante” ad acqua” è una di quelle rarissime che han superato gli anni, una decina e più sotto sistemi operativi diversi di Windows: una rarità o miracolo fate vobis. Sia come sia una stampante all’epoca accreditata com’anche possibile di prove colore nella versione Postscript, accessorio.
Quando poi è finita, la stampante, collegata al blasé Mac, questi l’ha vista come “fax”: che dire? E’ Mac, no. No.
Ma collegata a Windows che si è prodotto una serie di prove “colore” e su carta non appositamente “trattata” per inkjet, come il pacco carta direttamente dalla “Cermania” via fratello: Hahnemuhle Rag de facto lo standard dell’odierna e cosiddetta e spacciata “Fine art” smooth smooth come uso dire dei benedetti angli+sassoni riciclatori ottimi di parole e culture altrui.
Sia come sia le carte Awagami per il loro tatto, feeling, e per struttura reggono molto bene la “fine art photography” e pure la pennellata colore (anche questo si è sperimentato mischiando diavolo&acquasanta, pitturazione e fotografia). Una meraviglia che non ha pari.
Certo avremmo voluto provare la Awagami preparata ad hoc per le stampanti inkjet, ma la mia HP Photosmart Pro B9180 delle meraviglie aveva bisogno di serbatoi colore a pigmenti non più facilmente reperibili a mercato

Man

Awagami
HP Photosmart Pro B9180



Ps. Nelle prove colore di carte sottoposte a test anche un pacco di Moab l’americano supporto “trattato” ad hoc, oltre naturalmente alla Fabriano d’uso comune in formato A3+ d’una sciccheria unica, cui prossimamente ne parliamo

Pss. Awagami ha a catalogo apposite carte (credo con solfuro di bario incorporato) per le odierne stampanti a base pigmenti. E però si sente al tatto un gap: non trasmette quasi niente delle “sensazioni tattili” ricavabili da quelle non trattate, limite questo di tutte le “stracciarole” o rag che dir si voglia. Un vero peccato
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