Manunzio



Pan' & Curtiedd'

So intendere i Sordomuti e loro alfabeto. Manunzio è speciale. Avevo un collega (in questo maledetto Paese mai e poi mai qualcuno che ne parli e dei fotografi dello Stato che si potrebbero scrivere scaffali eroici) a tutti gli effetti che sviluppava e stampava a...Ministero Beni Culturali ai tempi dei “mitici” Sessanta del Secolo alle spalle. Stampatore provetto ed instancabile: uno schiavo. Vabbene flash back. Soprintendenza...non c’era giorno che Pippo (gli sia lieve la terra) Chief Commander Lab sindacalista e di idee “verdi” ante litteram si trovasse in Laboratorio, preso ed invischiato nella ragnatela (a cambiare il Mondo!) Pci-sindacalista e Consigliere comunale ripescato, dopo che quello davanti lui si era rotto i coglioni delle liturgie di “sinistra”. E capirete, almeno sino a quando non arrivarono truppe di rincalzo il sordomuto presidiava la camera oscura.
Scatti di reperti seguito di scavi che di malavoglia Pippo eseguiva a limbo di plexiglas per avere lo scontorno in ripresa (Pshop nessuno se lo sognava) rigorosamente su Hasselbad e faretti e accese discussioni circa il dotarsi di più moderni Bowens monotorcia al posto delle lampade in padella! Negativi per agli studiosi che così potevano concentrarsi sui “cocci” del III secolo o II o chissà quale Epoca, anche su questo ero testimone di “opinioni” sostenute fra archeologi, mentre davo una mano all’amico fotografo insieme sin da ragazzi.
Il sordomuto, allora, per niente fotografo quando entrava in Camera oscura non era secondo a nessuno, anzi. Scatti su trediciperdiciotto e carta Ilford dalle riprese di Pippo.
E qui apriamo doverosa parentesi: carta cartoncino che non sono per niente sinonimi e trattamento negativo. In Era analogica il bianconero, boss della situazione, era Agfapan 100 lo standard, altro e diverso dalla Plus-X di Kodak: senza storia. Negativi che sviluppato in vasche verticali da trentacinquelitri (altre discussioni per arrivare ad usare le Patterson multi-rocchetti maneggevoli ed economiche) a farla da padrone il Dektol o DK-50 di Kodak, mentre il fissaggio si faceva a mano miscelando acqua iposolfito + metabisolfito di sodio. Materiale e ancora una che veniva stampato, infine, su Agfa Varioscope automatico per i fuochi e marginatore parimenti auto per la posa, al fotografo solo passare il negativo ad ingranditore in automazione. E si consideri che passare ore e giorni in camera oscura non è uno scherzo, quindi una manna il tutto automatico, e possibilità di intervento manuale: fuochi tempi esposizione alla bisogna. Scatti su fogli Ilford a chiudere la triade per il terraqueo: Agfa-Kodak-Ilford. Fogli di carta alla lettera (Agfa faceva meglio in formato in A4 adatto agli stampatori di negativi d’archivi microfotografici italici) utilissimi per poi essere incollati su schede tecniche e conservati per l’archiviazione (nessuno sognava Access). Viceversa e della stessa Ilford i cartoncini fotografici usati in quasi tutti i Fotolab del Belpaese, anche se per certo periodo funzionò la Ferrania poi divenuta 3M Minnesota, allorché la Famiglia Agnelli la “regalò” dal suo immenso portafoglio agli Usa, e non fu mai più il blasone fotografico italiano: quello corrente è un nostalgico re-brand che nulla sparte. E le bellissime carte Agfa, no? E come no: Portriga docet!
Sordomuto, ancora una, che giostrava in camera oscura senza dire una parola...vabbè il calembour è partito e ve lo tenete. Ore. Poi finalmente la finestra (rigorosamente in nero schermata con ventilatore cambio aria ad hoc) s’apriva sul giorno: per chi è mai stato in camera oscura la stessissima sensazione di quando ci si alza da letto la mattina, certe onde cerebrali Alfa Beta..E le copie finivano nella turbo-lavatrice, cestellone ove l’acqua via pompa idraulica vi entrava da basso per fuoriuscire da l’alto. No eh? Immaginate la lavatrice a ciclo finale...Infine la lucidatura con smaltatrice Alf (Officine di Alta Precisione) un cilindro (rotativa) enorme tirato a specchio e internamente riscaldato da resistenze elettriche: serviva ad asciugare le copie e dare lucido alla stampa finale. Avremmo chiuso le parentesi? Boh e sai che novità, Manunzio!
E pan’ e curtiedd’? Quasi dimenticavo, traslitterazione senza senso alcuno in italiano: pane e coltello. Ci si capisce e si rende giustizia all’espressione popolare, di quando gli operai o salariati a vario titolo a mezzogiorno, quando la vicina manovalanza sul pane metteva un pomodoro schiacciato, della verdura da casa, i più fortunati il cucinato di mezzogiorno: paste e carne. E c’era chi manco tutto questo, un pezzo di pane più ancora raffermo e coltello/companatico: taglio di coltello e fetta di pane in bocca: pan’ e curtiedd’. Pausa pranzo, diciamo così, e sino a sera quando poi “ papànonn’ ” di ritorno a casa trovava pasta, verdura e...vino non dei migliori perché quello buono si spillava nelle ricorrenze


Ps. La lampada in padella non è nuova di Chef stellato televisivo a tutte le ore. Quanto una lampada generalmente Nitraphoto opalina da 300 watt all’interno di porta-lampada simile a “padella” profonda, cui asse la lampada poteva muoversi avanti/indietro, non proprio Fresnel quanto concentrare o meno il flusso luminoso. Uso di lampade che visivamente consentiva di “vedere” la luce e conseguenza. Cosa non possibile con i flash monotorcia e/o a generatore a parte, anzi per questo erano equipaggiati, i flash, di cosiddetta luce pilota, tanto per avere un idea alquanto vaga ma meglio di niente. Veramente per verificare luce e pure esposizioni si faceva ricorso ai Polaroid bianconero o colore in caso di dumping diapositive. Il bianconero era anche riutilizzabile, il negativo, una volta tolto il positivo e fissato in modo adeguato era un ottimo “negativo” adatto alla stampa sotto ingranditore

Pss. Lo mettiamo alla fine per chi ne vuole. Su la faccia della Terra quel giorno c’era Mister Carter, from Usa cousin of President Jmmy. Well. E presso il sopraddetto Lab tutti ma proprio tutti si erano squagliati (dati alla macchia) tranne il sordomuto che diede il mio numero telefonico (nessuno sognava iPhone e quando c’è da rompere i santissimi, si chiami Manunzio) alla centralinista che parlava, certo, ma cieca lo compose via Breil! Insomma avevano bisogno di me perché un americano...arrivai più per curiosità che altro. E siccome, detto, non c’era nessuno dei “fotografi” mi si para davanti sto corazziere di Carter, non in camicia a fiori tipica degli Yankee in viaggio, ma blu flanella a righe: una scacchiera per camicia. Breve ora siccome il mio inglese è di certo grado superiore a The Queen e il Carter italiano da non dirsi, a tratti sembravamo due sordomuti! E faticai non poco a far intendere all'americano che la sua Nikon F era poco adatta a riprendere certi “cocci”, meglio un Hasselblad, che però non aveva. Capì al volo il vero sordomuto collega anzidetto, aprii l’armadio blindato e tirò fuori ogni ben di Iddio che manco a Goteborg sede della Hasselblad aveva! Caricai i magazzini di Agfa e...tutto andò per verso giusto. Chi pagò il tutto non lo so e mai chiesto, d’altronde fra amici degli amici archeologi: che dire? Niente. E infatti


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Quadrato magico

Co.ma.f Roma che non esiste più come grossista di macchine fotografiche: siamo a cavallo degli Ottanta e Novanta secolo alle spalle, detto per inciso “breve” mah! Siamo in compagnia di amici che devono sbrigare servizi nella Roma di giugno torrido. Siché entrati nello store un breve scivolo antisdrucciolo, ecco l’immenso e scaffali di ogni ben di Iddio che un fotografo vorrebbe per sé. Su ripiano in bella vista la Zenza Bronica- Q (in certe review è posta anche una i, che non sappiamo esattamente cosa sia, considerato che Zenza funziona a batteria, diversamente da un Hasselbad meccnica) con otturatore controllato a “elettricità”. E poi la giapponese e la svedese, ecco, sono due universi distinti sebbene “quadrati” che è un fatto esoterico che qui ci riguarda poco.
Breve ne uscimmo dalla CO -mmercio - MA – cchine - F- otografiche dopo esborso su l’unghia di quattromilioni d’epoca, enormità e minimamente ipotizzabile se fosse stata una Hasselblad e non Bronica.
Borse del copro macchina, l'ottica ottanta millimetri detto “normale” e poi il cemtocinquanta e il padellone quaranta millimetri (uguale uguale a quello Zeiss per Rollei Sl 66, e più aggraziato e nella bella livrea grigio matt l’incarnazione per Hasselblad) e dorsi intercambiabili (scatti su pellicola colore dia e bianconero sostituendo per l'ppunto dorso in corso d’opera) e Polaroid…
Il vano bagaglio dell’auto della “gita romana” si riempi quasi tutto, altra parte è di libri che l’amico-autista preleva da un grossista capitolino per la sua libreria lucana.
La Zenza fu venduta in un momento drammatico di Manunzio, ma restano le immagini in archivio su Epr-64 Pro di Mammasantissima Kodak, pellicole 120 conservate in frigo prima dello scatto come da “letteratura”tecnica!

La schiatta Zenza Bronica
Zenza Bronica SQ-A
Zenza Bronica componenti



Stack or not stack

This is question forse così il Bardo. Vabbene da qualche parte bisogna pure cominciare. Certo per i cosiddetti pro della Milano da bere un “anticornonarico” basta collegare il banco ottico al computer, casomai con l’interfaccia Capture One Pro 20 ultima entry, così à la page, e il gioco è fatto. E fintantoché tutto è su lo stesso piano via con il liscio. Prblemi nascono, e non altrimenti per leggi ottiche, quando sul set compaiono più attori, o oggetti che di still life parliamo. Quindi diversi piani, e per farli tutti a “fuoco” non basta diaframmare al massimo (decadimento immagine). Anzi uno dice: ma se dopo un f 16 ipotetico i raggi che già si incasinano (diffrazione) per entrare nel pertugio dell’ottica, perché mai gli f 32, 45, 64, 90 o mi pare ancora di ricordare f 128? E co sti numeri, tuttavia, hai voglia, no? Proprio no. E si ipotizza un banco diecidodici, già l’ottica “normale” è un centocinquanta millimetri, un bel tele sul formato Leica, tanto a circoscrivere la cosa. Insomma un che di poco maneggevole a diaframmi chiusi (decadimento resa ottica) e ne abbiamo passato esperimenti su la Cambo montata su un mastodontico cavalletto Manfrotto che tirato su arrivava sino al tetto! Siché senza ulteriori numeri al lotto, diaframmatura che potrebbe fare al caso per un totale, ma se la composizione è più mignon i problemi là sono e lì restano. E poi se chiudi il diaframma di conseguenza aumenta il tempo di posa, inezia se ci hai il parco lampade: una volta faretti su Kodak 50 T(ungsteno) oppure su Epr-64 Bowens lampo del caso, che doveva scaricare una potenza non indifferente. A chiacchiere, sì, perché il trucco negli studi era di abbuiare il set composto e inquadrato, poi con otturatore su posa B o puristi T(ime) far partire scariche di flash a ripetizione; flashate che si sommavano per avere come unica botta del caso! Quanti esperimenti, grazie al flashimetro che per l’abbisogna dava il computo delle “aggiunte” per l’esposizione, e si era già provato su Polaroid, sorta di pre-view. Manualità ai limiti dell’acrobazia che oggi fa ridere. Tanto è vero che pochi puristi e distillati sedicenti fotografi vi ricorrono ancora, anche su camere elettronizzate al massimo: ricordiamo i primi modelli Sinar del caso. Restano tuttavia, sempre certuni fotografi, che attaccati alle Hasselblad elettriche, ecco, del caso o Mammamia (Mamya gloriosa RZ 67 d’antan oggi acquisita da Phase One) vivono felici di fare bella figura via Thetering con l’Art director immancabilmente femmina del caso, cacio sui maccheroni. Ma sempre più i fullfremmisti CaNikon con lenti shift, ottiche che in sedicesimo ripropongono i movimenti del banco ottico al fine di pareggiare i conti dei diversi attori giacente su piani del set. E qui sarebbe conclusa la disamina, e invece no. Sì perché tutto il resto della ciurma fa a meno di ottiche anzidette, Hasselblad e flash, odierno rentrée di lampade a base Led un tantinello scialitiche, o equivalente dentista, ahi; fotocamere attaccate a computer “teterizzati” neo cordone ombelicale ( si raccomanda l’arancione Tether Tools) per verificare all’istante che tutto è ok (!). Parentesi: con Raw e Pshop che tutto aggiusta, basta e avanza no? No evidente, chiusa parentesi. Insomma oltre i fulfremmisti c’è vita come su Marte?. Sì certo, anzi, lì fuori alla base della “piramide” fotografica volete voi? Un Maunzio che va, al solito, per la sua strada: senza flash e lampade (pisolano da qualche armadio) e manco full frame. Peggio ancora con vecchie ciabatte 4/3 da Paleolitico a base bit. Vabbene, e poi? Un programma come Helicon focus (ci) risolve il “pareggio” dei conti con ottica zoom in manuale anch’essa del Mesozoico. Ma lo si dice qui, se uno poi vede i file: che volemo dì ancora? Il manico pari la classe n’est pas de l’eau mes amis!

Immagine 1
Immagine 2


PS. I file allegati integralmente potrebbe benissimo vedere spazio su un Franco Maria Ricci d’antan; luce bank come si evince alla base del mezzo busto e figura di fondo? Tutt’altro luce finestra, letterale, e come base e sfondo due retro-cartoni utilizzatati, quando è il caso, per il cosiddetto fill-in; ottica 14-54 f 2.8-3.5 prima serie su l'immortale (chapeau!) E1 Olympus la nostra “protesi”. Associato un secondo scatto in verticale prodotto da pari ottica e malandrina Oly E 510 con Live-view feature molto più comoda

Pss. Nel novero dei sistemi di pareggio piani fuochi c'è anche l'interessante Actus Cambo e gli immarcescibili Novoflex, soffietti o macro motorizzate


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Agfa Scala the best(ia)

Anni Novanta passati a miglior gloria, esce una pellicola che è già tutto un programma: Scala dell’Agfa, che una volta terminava in Gevaert nome Belga di produzioni sensibile. Scala di nome e di fatto, se vi pare anche musicale tant’era l’estensione tonale. Una pellicola bianconero, sì, ma invertibile: un must incredibile. E volete voi? Scriviamo ad Agfa in quel di Milano, ad Erminio Anunzi factotum della Multinazionale germanica, anch’egli fotografo (si trova ancora a sua firma articoli su Progresso Fotografico). Breve presentiamo la richiesta di provare la new entry collegata ad un progetto fotografico: oh da non credere viene sponsorizzato e via con le riprese. Gli scatti sono ancora conservati e, nel riproduzione o meglio conversione digitale bisogna prestare molta attenzione a quella sua intrinseca tenue nuance sepia che la rende unica.
Una buona quantità di rullini 135, quindi, arrivati dall’Agfa e caricati in macchina (Contax Rts e 139) partono, alla lettera, per certe contrade che impresse in un famoso libro della Letteratura italiana del Novecento, sono rimasti intonsi, merito della scrittura come pennellate poetiche su tela se oggi, infami giorni da Coronavirus eterodiretto, ottant’anni dai fatti narrati lo rende tra gli Immortali Libri di tutti i tempi; luoghi e culture tutte per il terraqueo capiscono tanto va diritto al cuore, sede secondo gli antichi filosofi (lasciate perdere gli Aristotele e sua mala genia a-varia-ta) greci sede dell’Anima, noblesse oblige.
Scala dalla linea di sviluppo particolare va da sé, e vicino noi si fa per dire che sono pur sempre quattrocento kilometri dalla Capitale, tramite corriere mandavamo (ritorno na decina di giorni spesato da Agfa) a sviluppare. Inscatolate al punto giusto i telaietti, grigio bianco, restituiscono a tutt’oggi trent’anni dopo la stessa emozione d’allora: generalmente con le dia non è mai così scontato, quasi una avversa reazione iniziale di pur ottime (tenute in frigo come le Scritture prevedevano, scritture tecniche si capisce) Epr-64 Kodak e ancor più il Terribile Kodachrome pellicole usate in tandem per il progetto che, poi, non si è concretizzato: coincidenze mancate ob torto collo del Manunzio.
Eppure già scattavamo in diapositiva bianconero e della Ilford Fp4. Un momento: Ilford ha mai prodotto diapositive del genere Scala; eravamo noi provetti chimici su le le orme di Namias alias Progresso Fotografico ad invertire il negativo bianconero. Difficile a scrive e dirsi, divertente a farsi con tutta la tragedia del caso: inversione di film negativo presuppone un substrato pellicola resistente agli “acidi” o sostanze chimiche aggressive a tal punto da distaccare l’emulsione dal supporto, e di quei esperimenti non è conservata traccia alcuna se non qui che si ricorda.
Scala che da qualche parte leggo essere in (ri)produzione sotto altra sigla, e che su formato 120 o Rollei che dir si voglia, senza offesa di Hasselblab-Mamya-Pentaconsix-Kovasix-Minolta…, sarebbe in tutto e per tutto una mini fotografia da portare in giro, casomai imbustata acetato trasparente come quei santini familiari che, almeno una volta, si portava nel portafoglio ed oggi su gli schermettini di Mele & Satanas verdi, non a caso chiamati: Android!


Re-born Scala

New Scala
(scheda tecnica)

Sviluppo diapositive bianco e nero 1
Sviluppo diapositive bianco e nero 2

Last but not least


Ps. Quasi dimenticavo, ne conservo questa sì una scatola tredicidiciotto piena, che con le Lith Kodak d’antan, già usate in tipografia arti grafiche e serigrafia, si ottenevano buone diapositive esposte in camera oscura come normale cartoncino fotografico, manipolabile di conseguenze. Belle dia senza dubbio ma prive di quello charme che solo Scala riusciva



Le prime Fujichorme 64T 4x5 RTPII diecidodici me le passò per una prova un collega stampatore che aveva minilab e poco tempo a disposizione. Il primo lotto in assoluto veniva dalla vicina Puglia mi pare, così a memoria, il grossista Antonelli in quel di Bari, mentre in giro regnava la Ektachrome 50 T(ungsteno) pure 160 Asa, odierno Iso; emulsioni per lampade e faretti a K 3200 non già flash, pur presenti in ogni studio e usati per il Belpaese su Epr 64 fra Todde (generatori costruiti a Milano) Bowens dagli ottimi monotorcia, Elinchrome e altro.
Il set simula ciò che sarebbe dovuto essere su brochure in formato A4 per una nota azienda nazionale, così l'amico fotografo stampatore notturno: sì, quante volte a sera inoltrata consegnati i rullini di negativi, subito la stampa, o lo sviluppo delle Epr 64 Ektachrome Kodak su formato Leica e, soprattutto, Zenza Bronica ottima alternativa alla Hasselblad.
Caricato lo chassis del test su la Cambo e con ottica centocinquanta millimetri il “normale” del caso, l'esposizione è prodotto da due Nitraphoto (grosse lampadine opalescenti) una per lo sfondo su la sinistra, l'altra a destra per dare “rotondità” alla scena. Su la sinistra la sagoma in cartone di cuccuma e filo di latte della stessa materia con “schiuma” che è pezzo di batuffolo per l'abbisogna


Ps. Milano da bere, città decisamente virale in tempi andati era “tarata” su materiale Kodak(chrome) e la difficoltà della Fuji di farsi degna strada, cosa puntualmente avvenuta e succhiatasi sin all'osso Kodak, era dovuta essenzialmente al diverso tempo di sbianca-fix: due minuti in più del classico calderone E-6 (forma di pensiero unico anch'esso). E poi perché le riviste poco gradivano, ne ricordiamo Bell'Italia quando provai a mandare un servizio su due plasticoni (poco più di un formato A4 in plastica opalescente con tasche per contenere 20 telatietti 135) proprio perché “tarati” sul Kodak e non già su Fuji; fintantoché non arrivò ordine dalla Amerika: contrordine compagni, dissero, d'ora in avanti (Bel)Velvia 50 l'anti Kodachrome che ne decretò la fine poiché si trattava, la giapponese dagli splendidi verdi riprodotti, ad ogni angolo del terraqueo, nel calderone E-6 si capisce. La superficie, lato emulsione, del Kodachrome è a “sbalzo” cesellato e si nota subito, così l'impressione della Velvia 50 Asa/Iso




Archivi della memoria

Serie di seipersei Rollei d'anatan riesumate nel sistemare l'archivio analogico trasposto in digitale; quando immagini simili sul finire degli Anni Sessanta erano etichettate o incasellati su riviste di fotografia nella categoria “terza età al sud”. L'importanza del casellario veniva, secondo questi maître à penser, prima di ogni altra cosa e come cassetta di lepidotteri infilzati.
Tuttavia qui preme ricordare di come, anche con una poco agevole Rollei, era possibilissimo costruire “storie” con meno di niente, poi in camera oscura il quadrotto fotogramma sotto ingranditore Durst poteva essere “tagliato” e riquadrato secondo necessità o gusto espressivo personale con tutta la “nitidezza” degli Zeiss a corredo delle Rollei. La pellicola una collaudatissima Agfapan 100 trattata nel calderone (non era ancora in uso le tank su rocchetto nylon alla Paterson) Kodak, in lunghe vasche verticali termostatate e da 35 litri di sviluppo, che a cadenza di materiale negativo bianconero trattato, si provvedeva ad integrare con pari quantità di soluzione fresca

Ps. Il formato Leica noto come 135 aveva ed ha controparte, simil colonne di Tempio, nel codice 120 che significa Rollei anzitutto, Hasselblad Mamya etc verrà dopo, e diversamente da quello si utilizzava per cerimonie in particolar modo, e cronaca tout court. E presso Foto-Agenzia Lampo dove chi scrive ha fatto gavetta, in sorta di Agenzia Carrese strapaese, a cadenza regolare capitava un giornalista che firma il pezzo poi infisso con le foto su la bacheca anodizzata della Pretoria o Main street cittadina, e il giorno seguente, via fuori sacco postale su la tratta per Bari, le pagine interne della Gazzetta del Mezzogiorno (a volte il Roma, Mattino di Napoli o Tempo della Capitale) cui redazione cittadina era a pochi metri di distanza.


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Cibachrome (e non chiamatelo Ilfochrome)

Infatti così è passato alla storia (fotografica). Ciba e basta. Correva l’anno 1978 quando con due altri caballeros (fotografi) arrivammo a Mlan’ per il Sicof, così si chiamava il fotocinesalonedituttoedipiù.
Entrata a gratis per i fotografi di Mlan’ ma con noi a far cresta: sto piffero. Tanto facemmo e dicemmo e forse per disperazione altrui entrammo senza scucire un solo dané nella casba. Babele al confronto un giardino diciamo fatato per chi intende.
Breve allo stand di Ilford ci regalarono un borsone color “cacchina” lieve e con dentro tutti i manuali della Casa, e naturalmente del Cibachrome da trattarsi anche chez nous. Solo che i due caballeros si involarono allo stand di Hasselblad…i soliti esibizionisti a la page! Viceversa girammo in solitaria, sai che novità, alla ricerca di qualcosa che somigliasse a vaschetta termostata per il trattamento del Ciba. E lo trovammo, esausti, a fine giornata: mi rifiutai di tornare il giorno seguente in quella bolgia infernale, loro, sempre i caballeros e la Hasselblad! Insomma lor signori si erano mossi per la “svedese” e noi per tutto il resto e pure l’inglese, ecco, Ilford.
La prima serie di Ciba era dannatamente contrastata quella lucida (un filo di poliestere a mo’ di carta da stampa) un po’ meno la millepunti più maneggevole. Esperimentammo la Ciba e con discreti risultati, considerato che il Ciba era il supporto per le dia a muro, o gallerie fotografiche. Una pazzia se si immagina che la dia è già contrastata per costituzione fisica, diciamo così, e accocchiata al Ciba: ma l’arte è arte e va si rispettata! E sì era very nice per le gallerie fottografiche che già all’epoca fottevana alla grande (esempio Lanfranco Colombo Diaframma-Kodak in Via Brera de Milan’) e che digerivano la “plastica” Ciba per il semplice fatto che era carta di lunga conservazione grazie alla sbianca e non come la normale carta colori: si vabbè si fa tardi e per chi vuol sapere c’è Internet apposta. Uffa ai gradi, diceva il piccolo Principe, bisogna proprio dire tutto!
C’erano, tuttavia, dei lab che per la stampa Ciba creavano dal seipersei ai diecidodici (Gastell faceva eccezione con i ventiventicinque!) le “unsharp mask” che abbassavano il contrasto…ah come dite? Unsharp mask in Pshop et simila fa l’esatto contrario? E ben vi sta: fosse rimasta Urbi&Orbi la detta “maschera di contrasto” ok. No gli stramaledetti anglo-sassoni l’esatto contrario: allora atta taccatevi a sto c…ontrasto!
E tra i lab il mitico Graficolor all’epoca in Via della Bufalotta dell’Urbe. Uno degli stampatori filtrava (filtri colore per stampare) ad occhio nudo per stampe alla perfezione, indolenza romanesca a parte! E pure noi, s’è detto, ci provammo: senza testa colore ma inserendo di volta in volta nella “testa” dell’ingranditore o sotto l’obiettivo le gelatine, sempre della Ilford ché quelli di Kodak costavano un botto! Risultati artigianali nel senso autentico (a volte deteriore) di discreta fattura. Immagini a stampa che poi finivano su le riviste patinante e non: mica si poteva mandare in giro gli originali (nostri) seipersei di Zenza Bronica (altro mito). Vero è che i 135 si potevano duplicare a Mlan’ con la Duplicating Kodak, sebbene stramaledette filtrature poiché la pellicola era Tungsteno e bisognava filtrare né più né meno come per la comune stampa colore…eppure con un filtro di conversione (per capirsi la odierna taratura del bianco digitale!) anelli macro ottica Zeiss…casomai la prossima volta e se riesco a recuperare le prove, che stanno da qualche parte dell’archivio!
Man

Ps. La Ilford in seguito mise in commercio la seconda serie di Cibachrome, molto ma molto più morbido del precedente cui chimica andava smaltita in appositi bidoni e reagente per non far saltare, letteralmente, le tubature!


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NO WORD



Sdoganamento

La giostra non s’arresta casomai si converte, forse più di Saulo su la famigerata Via di Damasco. Strada maledettamente indigesta alla “grande” coalizione che l’ha preso in quel posto ma che Stampa& Regime che il giorno prima a reti omologate veicolava i liberadores Al-Qaida et simila ante cattivone Assad il siriano, si guarda dal “obiettivare” al popolo bue e teldipendente.
A capo, quindi, il fatto che i telefonini sempre fotografici & videografici possono far benissimamente le scarpe alle altrettanto famigerate Dsrl, anche i cosiddetti ambiti, quali le cerimonie tout court. A latere ma non troppo, il matrimonio del secondogenito fratello lo si è “fotografato” con Epson 850 Z da due milioni di pixel, tanto a ricordare gli smorex a telecomando. Ora non si sta dicendo che una Epson etc etc etc, s’intende che hic et nuc un telefonino fa cose egregie: provatevi a fare un A3. Quindi anche stampato un matrimonio nel classico album domestico: ci se ne accorge? Vero per i disonesti a telecomando: dovete, però, usare il microscopio per scoprire differenze “abissali” con gli zombie attrezzati fullfremosi o mezzoformaggiosi alla Hasselblad e consimili! Uno si diverte come può, basta intendersi. Di certo la “torretta” del nuovo iPhone 11 (che ricorda altri tempi quando su l’Ottomillimetri era d’uso ugual torretta normale-grandangolo-tele) fa buone cose. Dite? No non ricevo mazzetta da Apple…e quello in uso, nella tasca del jeans, è un 4S regalato dal figlio maggiore, che fa cose egregie anche con “occhiali” o lenitine aggiuntive dalle aberrazioni da culo di bottiglia: eccezionale!

Pro Wedding Photographers Compare iPhone 11 Pro to Canon 5D Mark IV

Man fotografo dal 1969



Acqua calda, sì, ma non troppo

Infatti solo per il primo bagno: ok non si parla di mare e annesso “lavaggio” acquatico. Qui ci si riferisce al trattamento fotografico del 135 (detto formato Leica per ovvi motivi diciamo di copyright) e 120 altresì detto dalla primigenia che l'inventò, ossia Rollei, poi a seguire Hasselblad Zenza Pentacon Mamya solo per citarne al volo.
Materiale analogico da trattarsi nelle mitiche tank Paterson e sue rocchetti impossibili in nylon. E per i fiorellini appena sbucati, quelli che vengono abbindolati dalla giostra per gli acquisti corrente bianconero ché il digitale non tira più, prestate orecchio. Infatti le prime spirali dove avvolgere in completa oscurità (!) le pellicole poi da trattare, erano senza “rampa” di innesco. Poco male per il 135: una tragedia per il 120, da scartocciare al buio e provarci non senza ripetuti astemma (imprecazioni o meglio blasfemia a questo e quel santo non meno che le terga di mamme terrestri e celesti!). Tant'è vero che la Paterson poi venne in soccorso con spirale alettate “giganti” dove far passare alla grande sempre il 135 e senza blasfemia accessoria il formato 120. Altri tempi.
Ora saltato a piè pari il consiglio per gli acquisti (se uno sta da mane a sera a smartphone e detti “social” e a mai visto de visu il Mondo in bianconero, l'unica cosa che capisce è il trandy la corrente moda bianconero by Usa e getta per l'appunto) il processo di sviluppo dell'argenteo rullino 135/120 è una relativa passeggiata: leggasi il Negativo di Ansel Adams o vecchi tromboni alla Feininger “Libro della Fotografia” dove pur ci siamo formati su quando era l'unico modo ante Internet natu, libro in traduzione italiana e che non cambia codifica binaria tipico dei vari OS ma che si può leggere e senza alcuna presa di corrente (!) da qui all'eternità. Potenza della carta stampata!
E dunque trattamento chimico/alchemico che prevede uno sviluppo bagno intermedio di sola acqua, o secondo certuni canoni addizionato con Acido Acetico Glaciale: na puzza indicibile! Infine il fissaggio, che diversamente da altri canoni, non è come per il trattamento carta carta fatto di un pre-fix o chiarificatore, e fissaggio finle: na rottura di...
E invece cosa accade per il revival dei cretini in bianconero che fa tanto moda? Alla vaschetta perfetta di Paterson, cui inserire più spirali/film contemporaneamente, di base due 135 alla volta, han tirato fuori uno scatolotto en plein air. Vabbene ma il costo è di 150 euro, poco più poco meno. E con quella cifra comprate una multi tank Paterson, cilindri in plastica graduata per chimici e...vi divertite anche! Gioco come altro così vi vogliono la giostra degli acquisti.
Ah già sti furbacchioni di “invetor” scoprono l'acqua calda, si, perché una soluzione originaria era la vaschetta Agfa Rodinax Daylight: niente di nuovo sotto il “sole” massonico si capisce!

Man fotografo sin dal 1969


Ps. Libidine voleva all'epoca di trasmissioni via telefax degli avvenimenti di cronaca, già anatra zoppa la fotografia rispetto al tubo catodico, tout court quando i reporter in zone di accadimenti rientrati in albergo, nelle toilette attrezzate per l'abbisogna si apprestavano allo sviluppo del bianconero da teletrasmettere: i più very fine con trasmittenti portatili plugin e presa doppino telefonico mentre il resto della ciurma si recava presso trasmettitori pubblici e/o di sedi distaccate dei giornali per cui lavoravano. E c'erano tecniche, rintracciabile su vecchi numeri di Progresso fotografico e Tutti fotografi così a memoria, con doppia libidine e fiocco per trattamento del rullino 135 già nel suo caricatore (!) in bicchiere (!!). In seguito e con tank ordinaria il prezioso e azzeccatissimo Mono-bagno, vale a dire sviluppo e fissaggio contemporaneamente: terminata l'azione chimica del primo interveniva il secondo. E la Ornano chimica italiana in Milano (dalla stazione centrale si vedeva il cartellone pubblicitario) offriva il suo Monofino ST 47...quarantasette? Ah bella questa, si, perché nella Smorfia è...il Morto che parla!

Pss. Si è detto che il trattamento del bianconero è in tutto e per tutto assimilabile a rito alchemico, da perdersi solo all'inizio per le innumerevoli variabile, Ansel Adams docet, e diluizioni e marche e scuotimenti di tank e l'ibibente finale il bagnetto della pellicola per essiccazione perfetta e senza macchia di calcare: temerario e temibilissimo per il piccolo 135, inutile e fuorviante per il gigante 120 alla Tazio Secchiaroli e dei Paparazzi di tanti estati fa!
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